A vent'anni dal suo debutto discografico,
"Tregua", Cristina Donà pubblica lo stesso disco rivisitato da altri
artisti, più o meno emergenti, appartenenti alla cosiddetta "scena
indie" italiana. Nel 1997 ascoltavo, per mia fortuna già da un paio di
anni, Agnostic Front, Discharge e Crass, quindi quando il grande
pubblico iniziava ad osannare la cantante rhodense, che vide pubblicarsi
il primo disco nientemeno dall'idolo del momento, Manuel Agnelli, ero
già lontano (anche geograficamente, nei miei spostamenti musicali) da
quel tipo di concerti e quella maniera radical chic e tenebrosa di
affrontare la seconda metà dei novanta.
Comunque. "Tregua 1997 – 2017
Stelle Buone" è un disco fatto molto bene, curatissimo. Cristina Donà
canta Stelle buone, riproponendo
la soffusa atmosfera di vent'anni fa in chiave elettronica e noise,
mentre le altre dieci "riedizioni" sono affidate a realtà italiche più o
meno note come Io e la Tigre, che aprono il disco schitarrando su Ho sempre me, Il geometra Mangoni e Simona Lorato. Il pezzo che lascia il segno è però senz'altro L'aridità dell'aria,
che mi ricordo aver ascoltato un paio di volte ai tempi dell'uscita di
"Tregua". La cover è affidata alla toscana Birthh, che pesca molto
saggiamente da trip hop e minimal per redigere la sua versione dei
fatti.
Tutto il
disco, però, è ben fatto. Per i grandi fan di Cristina Donà, ovviamente,
ma oggettivamente è un buon lavoro e l'idea, proprio perchè derivante
da un progetto della cantante stessa, è in sè originale ed apprezzabile.
Raso e chiome bionde e Ogni sera riflettono
in pieno le voglie e i desideri di quegli anni, che parevano
eternamente croccanti, sugosi e vivi, soprattutto se confrontati con il
piattume e la banalità della scena di provincia dei nostri giorni.
"Tregua
1997 – 2017 Stelle Buone" è insomma un disco concettuale ma allo stesso
tempo facile, è un modo di esprimersi diverso. Forse un po' troppo
sofisticato e relativo, ma comunque efficace. Andrea Vecchio
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