1 agosto 2016

La riviera che non ti aspetti: Il Lungo Addio ci porta nella Romagna del Fuori Stagione

Fabrizio Testa è un cantautore poliedrico, che parallelamente alla propria carriera solista porta avanti da anni il progetto Il Lungo Addio, sorta di vademecum della nostalgia post-balneare che arriva alla sua seconda uscita “ufficiale” (contando le autoproduzioni gli album sono addirittura sei, più un sette pollici), attraendo una valanga di ospiti più o meno famosi (Xabier Iriondo e Bruno Dorella per citarne un paio). Storie di vita romagnola quando sulla costa si spengono le luci delle discoteche, malinconia e disillusione che si mescolano ad un’amarezza sarcastica.

Le sei del mattino, graziata dall’ispirata malinconia della tromba di Paolo Mei, è la descrizione di un mesto post-sbronza, una caratteristica che la assimila alla ben più scanzonata Dancing. Sulla riviera di Fabrizio si trova di tutto, fra ricordi di conquiste mancate in Una tedesca (con tanto di orgasmate teutoniche in sottofondo) e nostalgia di eroi perduti come il Pantani di Residence, bande della Magliana improvvisate (In tre su una uno) ed il mare d’inverno di Fuori stagione.  A guidare la maggior parte di queste avventure balneari atipiche è una vena musicale scarna, pochi elementi catturati con in testa l’estetica lo-fi che vanno troppo oltre in molti casi: ne è un esempio Dancing, sguaiata nel suo incedere che dimentica per strada qualsiasi dinamica e che non trova forza neanche nel testo. Perché, al di là di una componente musicale che a tratti ricorda i Wolfango dell’ultimo periodo autoprodotto, ciò che fatica a funzionare sono proprio i testi: su otto tracce ben poche funzionano, utilizzando frasi banali che, se da una parte funzionano nel dipingere la disillusione nello sguardo dell’autore, dall’altro mancano di una poetica che vada un minimo oltre l’ironia autocompiaciuta. Un esempio? Riprendiamo Dancing, dove la frase “incontro ragazze che mi chiedon l’accendino/ per accender sigarette ancora da fumare” sembra messa lì come riempitivo senza stare a pensarci troppo. Non va meglio negli altri brani, dove anche musicalmente non si riesce ad avere particolari scossoni visto che la svolta elettropop della title track annoia in soli due minuti e venti.
Niente di positivo quindi? Volendo possiamo salvare per le intenzioni il tributo a Pantani, un minuto e mezzo occupato perlopiù dalla registrazione di un telegiornale dell’epoca, ma inaspettatamente c’è anche una piccola perla: l’incalzante Il presidente, unico brano capace di mostrare buona intensità ed uno sviluppo che, pur rimanendo sulla stessa melodia, si arricchisce di elementi man mano che passano i secondi. L’unica pecca? Dura poco, troppo poco.

Fuori Stagione è un album riuscito solo nel suo trasmettere le immagini dello squallore di un posto che vive solo in una fase dell’anno, ma per farlo si affida a suoni e parole ben poco ispirati. Non tutti gli approcci debbono per forza essere poetici come quello dell’uomo che va a prostitute in Via Del Campo di De André, ma qualcosa di più delle quattro righe buttate a caso su una sedicenne tedesca è lecito aspettarsele. Forse il pressapochismo è voluto, ma non riesco comunque a condividerlo. Stefano Ficagna

Tracklist:

1. Le sei del mattino
2. Una tedesca
3. Fuori stagione
4. Dancing
5. In tre su una Uno
6. Il presidente
7. Residence
8. Dentro al blu

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