Il
primo rapporto che ho avuto coi Sick Tamburo non è stato dei migliori, o
piuttosto non lo è stato principalmente per un mio amico: ritrovatici in
macchina il loro primo disco, non so più in che modo, ho assistito ad un
paziente rituale che ha visto il suddetto amico estrarre il cd dal lettore,
abbassare il finestrino e lanciare l'album fuori nella campagna novarese. Non
ebbi molto da ridire allora sulla scelta, ma ora che mi ritrovo a giudicare il
terzo ed ultimo lavoro della band mi sento un po' in colpa. Solo un po' però.
Nati
come costola dei mai ufficialmente scioltisi Prozac + (Elisabetta e Gian Maria
vengono da lì, ed hanno cercato di nascondere questa “parentela” in svariati modi,
non ultimo quello di farsi chiamare Boom Girl e Mr. Man) i Sick Tamburo vedono
un cambio netto alla voce: partiti con la sola Elisabetta ad occuparsi delle
linee vocali e convertitisi col secondo album A.I.U.T.O. ad
un'alternanza fra lei e Gian Maria ora, con l'arrivo di questo Senza
vergogna, rimane proprio solo quest'ultimo ad occuparsi della voce. Una
metamorfosi che cambia solo in parte le carte in tavola, ma che ho sinceramente
apprezzato, anche se non sono molti i pezzi dove Gian Maria dà l'impressione di
impegnarsi più del minimo sindacale in questo ruolo.
Allo
stesso modo del cambio vocale, già intavolato col precedente disco, anche
musicalmente si intravedeva un percorso volto a dare più ariosità ai brani
votati alla pura ossessività dell'omonimo esordio. Da questo punto di vista Senza
vergogna continua su questa strada, anche se l'unico esempio che veramente
può dirsi riuscito nel cercare una vena più melodica è il singolo Il fiore
per te: la forma canzone viene sfruttata anche in brani come l'iniziale Qualche
volta anch'io sorrido, dalle venature stoner piuttosto invitanti, nel
connubio electro-rock di L'uomo magro o nella grintosa Niente ti
dipinge di blue, ma lo stacco fra strofe e ritornelli è ben poco marcato e
la ripetitività degli stessi rimane comunque un problema con cui fare i conti.
L'album intero dà in fondo un'impressione di poca fantasia, tanto che la
seconda traccia Prima che sia tardi sembra al primo ascolto la
prosecuzione del brano iniziale piuttosto che una canzone a sé stante.
Se si
unisce questo quadretto iniziale alla presenza di brani che fanno
dell'ossessività, sia a livello musicale che di testi, la loro ragion d'essere,
si capisce che la situazione non riesce a migliorare col passare dei minuti. La
batteria scarna ed il basso monocorde di Se muori te sono variazioni
musicali che non riescono a donare un alone di interesse ad un brano
semplicemente noioso, Ho bisogno di parlarti azzecca un arpeggio di
chitarra coinvolgente ma crolla sotto il peso di un testo che a furia di sentir
ripetere il mantra del titolo lascia spossati...difetto che la accomuna alla
summa di situazioni alcoliche descritte in Quando bevo. Pezzi come
questi lasciano intravedere il principale problema della musica dei Sick
Tamburo: i brani durano troppo per le idee che vi sono riversate, ed il difetto
risulta ancora più evidente quando si adotta la strategia del finto finale come
in Quando bevo e Ho bisogno di parlarti, rilasciando un effetto
boomerang che porta a dire “nooooo non è ancora finita?”
Forse
Senza vergogna non finirebbe fuori dal finestrino del mio amico, ma non
fa molto per portare la musica dei Sick Tamburo verso un'evoluzione sonora
degna di questo nome: il cambio vocale e una generale voglia di andare oltre i
crismi ossessivi con cui erano partiti sono buoni propositi non suggellati da
un risultato finale che, pur mantenendo una forte dose di coesione, stanca in
più punti già dal primo ascolto. Stefano Ficagna
Nessun commento:
Posta un commento