Quando ho ascoltato la prima
volta il disco di rOMA, al secolo Vincenzo Romano, ho pensato “ma questo è
Canali!” E invece no, non è quel vecchio pazzo del buon Giorgio, ma ci
assomiglia parecchio. Vuoi per il tono di voce, vuoi per quell’atmosfera da rock
distorto ma senza esagerare che permea soprattutto gli ultimi due dischi del
ferrarese (influenza di Steve Dal Col? Chi lo sa), vuoi per quella metrica che
a tratti se ne sbatte di essere precisa e pensa più all’effetto di pancia, vuoi
per mille altri motivi ma al primo ascolto distratto di Solo posti in piedi in
paradiso mi sono sentito un po’ a casa. Ma era, ahimè, un ascolto distratto.
Il disco a livello musicale
funziona. C’è del mestiere (Paolo Messere, che suona chitarra, basso e aiuta
negli arrangiamenti, non è esattamente l’ultimo arrivato), tanta voglia di
andare al sodo e poca propensione al rischio. Pezzi tirati come Perfetto blu, dove il basso trascina
grintosamente il carrozzone, una ballad ammiccante come Era d’agosto, qualche brano più rarefatto (Fango, Vertigine) ed in generale del buon rock che, con dei testi
di livello, rappresenterebbe un accompagnamento funzionale che non pretende di
essere il fulcro dell’esperienza. E qui purtroppo arriva la nota dolente.
Il primo ascolto distratto mi aveva
impedito di focalizzarmi sulle parole, ma ai successivi ascolti si capisce che
Vincenzo e Giorgio hanno ben poco da spartire. Ci sono le libertà metriche, c’è
quella voce roca e profonda che ammalia, ma i testi sembrano non andare da
nessuna parte. L’impressione è quella di una ricerca affannosa della bella
immagine da vendere al pubblico, dimenticandosi però che funziona solo se è
all’interno di un discorso che fila: in tutto il disco invece queste immagini
vengono sparate senza sosta e senza costrutto, lasciando spesso perplessi. In Lentamente, ad esempio, fatico a capire
frasi come “Nelle vie di fuga ci trovi il perdono/ negli angoli scuri si
schianta il suono/ della polvere spalmata tra le dita”: comprendo che possano
essere immagini originali da mettere in fila, ma non riesco a capire perché
dovrei trovare il perdono nelle vie di fuga, il perdono da cosa (nella parte
precedente del testo non ci sono ragguagli al riguardo), per quale motivo un
suono dovrebbe schiantarsi in angoli scuri e, soprattutto, quale mai possa
essere il suono della polvere spalmata fra le dita. Mi sembra di essere
esageratamente cagacazzo a fare questa disamina, ma se un testo totalmente
surreale lo riesco ad accettare (qualcuno ha detto Verdena?) fatico invece a
far passare per buoni dei testi che sembrano costruiti per dire qualcosa senza
riuscire a dire invece niente, perché alla fin fine è questa l’impressione
finale. Non basta qualche parolaccia qua e là a raggiungere il livello poetico
di un Canali (che pure lui si becca le sue cantonate, ma gliele si perdona di
fronte ad una media elevatissima), e non basta Era d’agosto a riscattare un intero album…anche perché è
musicalmente quella che ho apprezzato meno, ma in questo caso posso dire che è
solo il mio gusto.
Senza focalizzarsi troppo sulle
parole il disco d’esordio di rOMA può passare per un onesto disco di
cantautorato rock, con poca personalità però per risultare interessante sulla
lunga distanza. Mancano veri elementi di spicco, ed i testi fanno di tutto per
evitare che il disco esca dall’anonimato. Piacerà a qualcuno, non penso ai fan
dei Rossofuoco. Stefano Ficagna
Tracklist:
1. Come se fosse facile
2. Lentamente
3. Fango
5. Le dame e la luna
5. Perfetto blu
6. Era d'agosto
7. Solo posti in piedi in paradiso
8. Cuore sano
9. Verticale
10. Linea di sale
11. Sopra di noi
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