Angolo cazzi miei, giuro che
c’entra con quanto andrò poi a scrivere del disco (sto mentendo, potevo anche
evitarlo questo spazio onanistico). Quest’estate sono stato cinque giorni al
Rainbow Gathering, un raduno di amanti della natura, della pace e dell’amore
che si è svolto sui monti friulani fra luglio ed agosto, e se non vi spaventa l’idea
lavarvi nei torrenti, cagare in delle trincee ed andare in giro nudi fidatevi:
è un’esperienza da fare. Ovviamente dovete fare a meno anche dell’elettricità
(lasciate a casa il power bank, tanto troveranno un posto dove il cellulare non
prende), il che non significa che non ci sia musica: bonghi, djembé, trombe,
sax, didgeridoo che assomigliavano a zaini protonici dei ghostbusters,
chitarre, bombe a mano, alla festa della luna piena c’era un casino incredibile
andato avanti fino all’alba ed oltre. Scendendo a valle, gustandomi la pace
della natura, vengo investito ad un certo punto da un casino tunz tunz
insospettabile: vien fuori che nel paese di fianco si svolgeva un mega festival
elettronico, la cosa più distante possibile da quanto vissuto negli ultimi
giorni, e per quanto non schifi l’elettronica per partito preso la cosa mi ha
lasciato un po’ perplesso.
Perché tutta questa solfa? Perché
i Saber Systeme qui presenti sono, per la maggior parte dell’album di debutto,
la band che riuscirebbe ad unire sotto la stessa bandiera tanto gli hippy che i
raver.
Il progetto nasce da un’idea
tanto semplice quanto complicata da mettere in pratica: prendere la musica
occitana ed “aggiornarla” con tastiere, synth e suoni da sound system vari.
Flauti che si mischiano con le zarrate da discoteca, ritmi da world music che
mutano naturalmente verso la cassa dritta, voci (tante voci) che cantano
melodiosamente in francese, spagnolo, italiano, occitano e dioulà (lingua della
Costa D’Avorio): un miscuglio energico ed esotico, che soprattutto nei primi
brani raggiunge un equilibrio fra le due anime invidiabile per una band di
ventenni.
Mary coi suoi flauti porta direttamente su delle Ande colonizzate
dai francesi, inserendoci una tastiera mai invasiva ed una batteria che fa fare
su e giù con la testa quando prende velocità, Nuevo mundo ci fa trasferire idealmente in centroamerica a danzare
sensualmente su una morbida base reggaeton, Il
canto dei venti (con testo del poeta Gino Giordanengo) sembra una delle
canzoni folkloristiche che cantavano al Rainbow attorno al falò, con punti in
cui un’iniezione di testosterone tribale le dà una potenza inaspettata e
perfettamente amalgamata col resto, Saber
décalé è la gioiosa tappa africana tutta ritmo e ballabilità. Un senso
della misura invidiabile, che si perde però col prosieguo del disco.
Ikayè aveva già dato qualche avvisaglia, con quella sua aria
sbarazzina che sembra fare il verso a Stromae, ma è dalla seconda metà del
disco che i Saber Systeme cominciano a tirar fuori la loro anima da dancefloor:
La libertat è un brano fatto apposta
per saltare a più non posso nei ritornelli, dove i flauti fanno le veci del sax
in certi pezzi house, L’amitiè
alterna duetti tastiera-flauto a progressioni syntetiche che manco Gigi D’agostino,
Sans peur scatena le frequenze basse
rendendo quasi anacronistici gli inserimenti dei flauti, Parla pas scatena i synth e la cassa dritta risultando il brano in
cui, mescolanza linguistica a parte, meno si sente quell’anima folkloristica
che anima il resto dell’album. Vira la
roa, allegria in musica allo stato puro in cui la tastiera si scatena ed i
flauti ricamano impercettibilmente proprio dove serve, e la conclusione
acustica con La revanche cercano di
ristabilire una rotta comune, ma è innegabile che nella seconda parte del
disco, pur piacevole e scatenata, si perde un po’ quell’effetto di world music
aggiornata per assestarsi semplicemente sulla dance contaminata.
Prendete quanto detto sopra, conditelo
con testi che fanno dell’integrazione il motore principale ed avrete un esordio
che, oltre ad essere fresco e godibile, è forse anche necessario per il periodo
storico che stiamo vivendo. I Saber Systeme si fanno prendere la mano quando
scendono in pista, ma le esagerazioni da dancefloor tolgono solo un’unghia del
fascino che un album come Nuevo mundo sa regalare a chi ha voglia di sentire
qualcosa di nuovo, ben suonato e terribilmente coinvolgente. Stefano Ficagna
Tracklist:
1. Mary
2. Ikayè
3. Nuevo mundo
4. Il canto dei venti
5. Saber décalé
6. La libertat
7. L'amitiè
8. Vira la roa
9. Sans peur
10. Parla pas
11. La revanche
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