2 novembre 2016

La via del sale di Michele Gazich, metafora di un mondo alla deriva

Ho scoperto Michele Gazich per vie traverse, ovvero tramite il video di Fiume verticale del duo sperimentale Barachetti – Ruggeri, dove agiva nelle sole vesti di violinista: in La via del sale, questo il nome del disco, scopro invece il cantautore, la voce sofferta ed il fido violino accompagnati da una lunga sequela di strumenti a creare un’atmosfera intensa e suggestiva.

E’ un disco colmo di riferimenti quello di Michele, da quelli letterari (vari i riferimenti biblici, e la teologia in generale si dimostra un terreno caro influenzando, attraverso la teologia negativa di San Giovanni  della Croce, il testo di Viaggio al centro della notte) a quelli musicali (Un tempo la fuga era un’arte si apre citando Bach per poi scivolare verso ritmi balcanici), fino a sfociare nel geografico attraverso La via del sale, titolo della prima traccia oltre che del disco ed intrisa delle fatiche di chi in tempi lontani si sobbarcava faticosi viaggi per portare a destinazione i beni primari, ma non solo: il viaggio sonoro di Michele ci porta infatti in un tragico triangolo fra Spagna, Israele e Grecia con Dia de shabat, canzone in spagnolo ed ebraico composta per il giorno della memoria e dedicata alle vittime di un incendio che, nell’800, colpì il quartiere ebraico di Salonicco, e non pago attraversa la Sicilia (Barcellona, Sicilia, in cui compare anche Salvo Ruolo come ospite) per approdare a Colonia dove, come un monito per ciò che l’Europa è diventata a confronto con i suoi ideali iniziali, racconta in La biblioteca sommersa la triste storia della perdita di svariati testi e testimonianze storiche a seguito di lavori mal eseguiti nella preziosa biblioteca della città tedesca.
E’ un cammino perlopiù dolente quello che Michele ci chiede di fare con lui, dallo scambio madre-figlio (dove la madre ha la voce di Rita Lilith Oberti) che anima la cupa Storia dell’uomo che vendette la sua ombra, in cui la forse eccessiva teatralità appesantisce un racconto suggestivo, al funebre andamento della già citata Dia de shabat, dolente e scarnificata, per giungere alla malinconica La vita non vive dove con pochi elementi (violino, violoncello e piano perlopiù) si narra senza false speranze di un mondo anestetizzato dove il mercato spadroneggia e rende anche noi pura merce di scambio. La speranza rimane comunque viva e permea tutta Una lettera dalla barricata, dove fra zampogna, fiati, archi, chitarre, basso e batteria si crea un muro sonoro a mò di riparo dalle storture della vita moderna: se, come cita lo stesso Michele, Adorno ha detto che “scrivere una poesia dopo Auschwitz è un atto di barbarie” è pur vero che ogni vero artista non può esimersi dal tentare di opporre la sua arte ai drammi dell’umanità. E citando l’arte non posso non elogiare la seconda traccia, Un tempo la fuga era un’arte, dove il testo ed una vitalità musicale vibrante rendono i quasi quattro minuti del brano un piacere intenso.

Un viaggio non per tutti quello di Michele Gazich per le sue vie del sale, antiche e moderne, costellato di momenti forse troppo dilatati ma anche di tanta saggezza e poesia, poesia che spande anche solo con le note di quel violino che un esimio poeta, Giorgio Caproni, spezzò agli inizi di una possibile carriera con quello strumento: a lui è dedicata la strumentale Fontanigorda, ed anche senza parole ci si eleva lo spirito. Stefano Ficagna

Tracklist:

1. La via del sale
2. Un tempo la fuga era un'arte
3. Storia dell'uomo che vendette la sua ombra
4. Viaggio al centro della notte
5. Dia de shabat
6. Collemaggio
7. Barcellona, Sicilia
8. La vita non vive
9. La biblioteca sommersa
10. Una lettera dalla barricata
11. Fontanigorda

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