Ho scoperto Michele Gazich per
vie traverse, ovvero tramite il video di Fiume verticale del duo sperimentale
Barachetti – Ruggeri, dove agiva nelle sole vesti di violinista: in La via del
sale, questo il nome del disco, scopro invece il cantautore, la voce sofferta
ed il fido violino accompagnati da una lunga sequela di strumenti a creare un’atmosfera
intensa e suggestiva.
E’ un disco colmo di riferimenti
quello di Michele, da quelli letterari (vari i riferimenti biblici, e la
teologia in generale si dimostra un terreno caro influenzando, attraverso la
teologia negativa di San Giovanni della
Croce, il testo di Viaggio al centro
della notte) a quelli musicali (Un
tempo la fuga era un’arte si apre citando Bach per poi scivolare verso
ritmi balcanici), fino a sfociare nel geografico attraverso La via del sale, titolo della prima
traccia oltre che del disco ed intrisa delle fatiche di chi in tempi lontani si
sobbarcava faticosi viaggi per portare a destinazione i beni primari, ma non
solo: il viaggio sonoro di Michele ci porta infatti in un tragico triangolo fra
Spagna, Israele e Grecia con Dia de
shabat, canzone in spagnolo ed ebraico composta per il giorno della memoria
e dedicata alle vittime di un incendio che, nell’800, colpì il quartiere
ebraico di Salonicco, e non pago attraversa la Sicilia (Barcellona, Sicilia, in cui compare anche Salvo Ruolo come ospite)
per approdare a Colonia dove, come un monito per ciò che l’Europa è diventata a
confronto con i suoi ideali iniziali, racconta in La biblioteca sommersa la triste storia della perdita di svariati
testi e testimonianze storiche a seguito di lavori mal eseguiti nella preziosa
biblioteca della città tedesca.
E’ un cammino perlopiù dolente
quello che Michele ci chiede di fare con lui, dallo scambio madre-figlio (dove
la madre ha la voce di Rita Lilith Oberti) che anima la cupa Storia dell’uomo che vendette la sua ombra,
in cui la forse eccessiva teatralità appesantisce un racconto suggestivo, al
funebre andamento della già citata Dia de
shabat, dolente e scarnificata, per giungere alla malinconica La vita non vive dove con pochi elementi
(violino, violoncello e piano perlopiù) si narra senza false speranze di un
mondo anestetizzato dove il mercato spadroneggia e rende anche noi pura merce
di scambio. La speranza rimane comunque viva e permea tutta Una lettera dalla barricata, dove fra
zampogna, fiati, archi, chitarre, basso e batteria si crea un muro sonoro a mò
di riparo dalle storture della vita moderna: se, come cita lo stesso Michele,
Adorno ha detto che “scrivere una poesia dopo Auschwitz è un atto di barbarie”
è pur vero che ogni vero artista non può esimersi dal tentare di opporre la sua
arte ai drammi dell’umanità. E citando l’arte non posso non elogiare la seconda
traccia, Un tempo la fuga era un’arte,
dove il testo ed una vitalità musicale vibrante rendono i quasi quattro minuti
del brano un piacere intenso.
Un viaggio non per tutti quello
di Michele Gazich per le sue vie del sale, antiche e moderne, costellato di
momenti forse troppo dilatati ma anche di tanta saggezza e poesia, poesia che
spande anche solo con le note di quel violino che un esimio poeta, Giorgio
Caproni, spezzò agli inizi di una possibile carriera con quello strumento: a
lui è dedicata la strumentale Fontanigorda,
ed anche senza parole ci si eleva lo spirito. Stefano Ficagna
Tracklist:
1. La via del sale
2. Un tempo la fuga era un'arte
3. Storia dell'uomo che vendette la sua ombra
4. Viaggio al centro della notte
5. Dia de shabat
6. Collemaggio
7. Barcellona, Sicilia
8. La vita non vive
9. La biblioteca sommersa
10. Una lettera dalla barricata
11. Fontanigorda
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