Gli svedesi Goat arrivano così al terzo album. Gli scettici sono stati contraddetti definitivamente, i Goat non sono solo maschere e presenza scenica. Sono, invece, sicuramente uno dei gruppi più innovativi, stimolanti e “vivi” degli ultimi anni. Requiem esce su Sub Pop ed è un disco piacevole, veramente piacevole. Folk rock e atmosfere compresse. Ballate e indagini viscerali. Mettendoci più fiati rispetto al precedente Commune, uscito sempre su Sub Pop, riescono ad amalgamare perfettamente il facile con il difficile, il nuovo con il recondito e la musica popolare con la modernità quotidiana.
Alarms è un mix tra Neurosis e Fluxus: il rito è più importante della performance e l’anima musicale della band divaga uscendo dal movimento dell’intero pezzo, ma già dalle precedenti I sing in silence e Temple Rhythms, nelle quali è evidente l’influenza dei Jethro Tull, il confine tra forza di volontà nell’ascolto e attenzione dell’ascoltatore stesso è labilissimo. Il fascino sprigionato dai Goat di “Requiem” è viscerale e violento, arcaicamente morboso. Violento perché, per esempio, nelle ripetizioni ossessive dei ritornelli e nelle commistioni di voci maschili e femminili riusciamo a percepire la tribalità del mistero che avvolge questi musicanti. Un mistero panteistico che viene messo in evidenza dall’aggressiva All-seeing eye o dall’abbandonica e ritmata Try my robe. Pscychedelic lover è al contempo lugubre e solare: dipende da come il “tutto” che viene raccontato riesce a stimolare i pensieri di chi assiste al lento andamento del brano.
Questo gruppo, che viene da un paesino che conta nemmeno 550 abitanti ma che vive e lavora a Göteborg (o Goatburg, ci sta il gioco di parole a questo punto o no?) sta solcando, forse, impervi sentieri, non ancora percorsi nell’ambito del neo-folk. Come quando stai camminando in montagna e, giunto sul crinale che potevi osservare, verdeggiante, mezz’ora prima da lontano, ne scorgi un altro ancora più lontano, più in là dove le nuvle pomeridiane iniziano a farsi vedere. Non me li immaginavo così. Andrea Vecchio
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