Di certo non si sentiva la mancanza di un album da solista di Capovilla. Eppure, è arrivato. Obtorto Collo esce su La Tempesta, ovviamente, e viene distribuito da Virgin e Universal. Si compone di quattordici brani che vorrebbero promuovere un certo stile di cantautorato irriverente ed innovativo, ma che ben presto indispettiscono ed irritano. L’atteggiamento dell’ex cantante di One Dimensional Man e Teatro degli Orrori è vanesio, egoista e privo di spunti musicali.
Ma proprio del tutto. Sin dalla prima canzone, Invitami: una supplica fatta ad una donna che dovrebbe invitarlo a cena spinta dal fatto che, tra le altre cose, potrebbe avere con sé persino due spinelli. Dove vai viaggia leggera su un’aria indie-elettronica orecchiabile ed azzeccata ma calca troppo, fin quasi allo sfinimento, sulla rima “vai / fai” del ritornello. Davvero scontato, no? Sì perché penso fermamente che se Capovilla scriva canzoni simili, lo scopo sia non tanto quello di rinnovare uno stile o dare una svolta alla propria carriera, bensì quello di vendere. Ed in modo spudoratamente ambiguo. Obtorto Collo è fatto per piacere a chi non si appassiona per la musica che ascolta, a chi non va ai concerti e a chi non sa cosa significhi supportare un gruppo al di là dell’acquisto di un CD. Per una palude, insomma, di ignavi. Come ti vorrei e Bucharest non decollano, anche se in effetti può essere un’idea intrigante intitolare una canzone col nome di una capitale dell’Est. Fuori tempo. Avete presente quando al TG2 iniziano le notizie di attualità, circa verso la metà del telegiornale, magari subito dopo aver parlato di quanto vadano male le cose per i meno abbienti? Ecco, idiosincrasia allo stato puro. Capovilla gira intorno ad un iperuranio musicale composto da parole a caso, musicalità scontata e mancanza di volontà. E ne viene fuori un disco ingiustificabile sotto ogni aspetto, che si propone, naufragando in luoghi comuni e idee scarne, di risuonare il cantautorato italiano in chiave bonaria e alla moda. Prodotto alla perfezione, ma del quale non si sentiva affatto la mancanza. Basta. Andrea Vecchio
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