3 aprile 2012

Tra rabbia e disillusione: ecco Wrecking Ball l’ultimo piccolo capolavoro del Boss


A cinque anni di distanza da Magic Bruce Springsteen torna in grande spolvero con Wrecking Ball. Superate le sessanta candeline (è del 1949), il boss propone un album ricco di spunti musicali attorno al quale si sviluppano temi ricorrenti dell’America dei giorni nostri: i sogni, i sentimentalismi, le disillusioni di un paese che sta vivendo la crisi, ma è sempre orgoglioso di capitanare il mondo. Dalle piccole cose quotidiane si trae spunto per creare piccole storie di cui solo Springsteen (così come un altro mostro sacro del Rock come Bob Dylan) è dipingere di costruire con classe artistica sublime un quadro della drammatica situazione attuale.
Non c’è più la E-Street Band ad accompagnarlo (causa la scomparsa dei compianti Clemons e Federici), ma gli strumentisti a fianco del cantautore rock del New Jersey non la fanno rimpiangere più di tanto. Wrecking Ball, album in studio numero 17 di Springsteen, parte con l’inno patriottistico We Take Care Of Your Own, un primo singolo che ricalca molto lo stile di “The Rising” (“Da Chicago a New Orleans / dai muscoli alle ossa / dalle baracche al Superdome / nessun aiuto, la cavalleria è rimasta a casa / nessuno ha udito suonare le trombe / Ci prendiamo cura di noi”) con il pathos di Born in the Usa. Poi è il turno di Easy Money, ballata country con cori gospel si motteggia ironicamente a Wall Street.
Shackled and Drawn è un altro country in cui si sente tutta la fatica e la frustrazione per una vita destinata alla lotta per far valere i propri diritti (“La libertà, figlio mio, è una camicia sporca / Il sole sul mio viso e la mia pala nel fango”), così come Jack of All The Trades è un motivo sulla propensione al sacrificio. Un sacrificio che si trasforma in seguito in debolezza (This Depression), mostrando così un lato molto umano di Springsteen. Ma questo sentimento frustrante è anche capace di tramutarsi in rabbia, come dimostra la title track, piccolo capolavoro in cui emerge un linguaggio molto sincero e diretto (“Qui, dove il sangue viene versato, dove si riempie l'arena / e i Giants giocano / Quindi leva gli occhiali e fammi sentire la tua voce chiamare / Perché stanotte tutti i morti sono qui / quindi scaglia la tua palla demolitrice”). Non mancano anche nuove trovate nel repertorio del boss come il folk celtico di Death To My Hometown e l’R’n’b (!) di Rocky Ground, a testimoniare che al passare degli anni l’ex ragazzo “nato per correre” ha raggiunto una completezza per certi aspetti sorprendente.
In chiusura, l’inno rock in puro Springsteen style Land Of Hope And Dreams, dove chitarre e piano dominano, c’è ancora il sax di Clemons e rispetto alla versione originale del 1999 si sente anche qualche coro gospel. Il tutto ad immortalare un treno di “santi e peccatori, perdenti e vincitori, prostitute e giocatori d’azzardo, anime perse” verso una “terra di speranza e di sogni”. “Wrecking Ball” termina con la marcia mariachi di We Are Alive che sembra dedicata apposta ai lavoratori precari e agli immigrati che urlano rabbia per conquistare la dignità. Per chi ha l’edizione speciale segnaliamo anche la ballata folk American Land in cui viene narrata l’America povera e umile che lavora duro per realizzare con orgoglio il proprio sogno di libertà, quel valore che Springsteen da buon americano ha sempre considerato indispensabile.
Nel complesso “Wrecking Ball” è un piccolo capolavoro di suoni e di sostanza. Meno trascinante di “The Rising”, meno sorprendente dei suoi capolavori “Born To Run”, “Darkness” e “The River” (ma sono anche passati oltre trent’anni), è un album che risente parecchio dell’insicurezza odierna e dei valori a cui è sempre rimasto attaccato il Boss, nato da una famiglia umile nel Ney Jersey: l’abnegazione, la lotta per i propri diritti e l’orgoglio americano. Una vera “sfera demolitrice” che va a colpire le nostre menti e che dà un segnale vitale a chi oggi vive il Rock (e non solo quello) in maniera troppo dimessa. Evviva il Boss, 62 anni e avere ancora più di qualcosa da dire! Marco Pagliari

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