7 dicembre 2004

Premio "Provincia cronica" (II edizione - sezione racconti)
Emanuela Bosisio - Un filo di sangue

Non molto lontano da qui ci sei tu, ma per molti anni non mi sono accorta di te e oggi sono venuta per chiederti scusa.
Io sono arrivata in questo paese vent'anni fa, tu molto prima; in realtà non ero ancora nata quando sei passato da queste parti, dove ti sei fermato per sempre, tuo malgrado.
Qui si è svolta gran parte della mia vita di moglie e di madre e prima ancora di giovane donna, quando i miei pensieri erano tutti per lui, gli amici, le feste in questa casa che sembrava fatta apposta per incontrarci, divertirci, costruendo giorno per giorno il nostro futuro; si dice così, no?
Anche se dai giorni della tua breve gioventù è passato tanto tempo e la tua indole maturava nutrendo ben altri ideali, immagino ricorderai quei tempi in cui si individuano i propri sogni e null'altro ha importanza che non realizzarli.
Quelli erano i miei tempi e la tua presenza non mi toccava affatto; il silenzio ti proteggeva, nulla mi suggeriva la tua vicinanza. Inconsapevole, ridevo scherzavo andavo e venivo, il pensiero del tuo essere totalmente estraneo.
Tu, sempre assorto nella tua quiete, nel susseguirsi delle stagioni avrai ascoltato le risate dei miei bambini nel giardino, i miei richiami perché rientrassero alla sera, l'abbaiare insistente dei nostri cani bassotto; e lo scricchiolìo delle ruote dei passeggini nelle uscite primaverili ed estive, poi delle biciclette, che si avvicinavano nella tua direzione per allontanarsene rapidamente fra ingenui schiamazzi e scherzosi rimproveri; io sempre ignara di te, che non sapevi trovare il modo di stabilire un contatto con me.
Mentre i miei anni scorrevano e cominciavano a segnare il mio viso tu non invecchiavi mai, dolentissimo Dorian Gray, ma certo non si può invidiare questa tua condizione. Chissà se con speranza, rassegnazione, disperazione o quale altro sentimento, sotto i pioppi che ti riparavano dall'afa dell'estate e dal freddo desolato degli inverni nebbiosi, desideravi che mi accorgessi di te. Perché tu eri sicuro, ne sono certa, che saperti vicino avrebbe fatto nascere in me un sincero sentimento di affetto.

E' stato quando i tuoi alberi sono stati abbattuti, quando la loro ombra argentea non ha più potuto nasconderti alla mia vista, che sono stata attratta da quella pietra grigia; pur nel tuo perseverante mutismo hai attirato la mia attenzione. E con quale stupore ho scoperto la tua vicenda e la nostra insospettata affinità.
Una storia già sentita molte volte, purtroppo, la tua: ti sei trovato su quel campo coltivato, in aperta campagna, un giorno qualunque dei tuoi 21 anni e quel giorno la tua vita si è arrestata irrimediabilmente.
In un fatidico mattino di guerra è risuonato il colpo di un fucile e tu sei caduto; colpito, spento... per sempre.
Qualcuno ha assistito all'accaduto e, sopraffatto dal dolore e dalla pietà, quando le armi hanno taciuto, ha raccolto il tuo corpo per consegnarlo allo strazio dei tuoi genitori; ma il tuo cuore si è fermato qui e allora il tuo nome, Erminio, è stato inciso su un tronco di pietra reciso, posato nel punto esatto della tua morte, a eterno ricordo dell'ennesima vita spezzata.
Tu però sei speciale per me, perché dopo qualche anno, le nostre famiglie si sono imprevedibilmente unite grazie a una coppia di giovani sposi; e così siamo diventati inconsapevolmente e indissolubilmente “cugini” pur senza poterci mai abbracciare.

Vorrei conoscere meglio chi eri prima di arruolarti; la tua fotografia racconta di un bel giovane dal sorriso aperto: chissà quanti amici avevi, quanti giochi e quante risate al bar o
nella piazza del tuo paese avrai condiviso con loro, quante ragazze ti avranno regalato il loro sorriso; dovevano avere all'incirca la mia età di quando sono arrivata qui: magari la mia voce ti ricordava qualcuna di loro.
Chissà quante lacrime sono scese dagli occhi di tua madre quando hai lasciato la casa dov'eri sempre vissuto per andare a difendere quell'idea che stava ammaliando tanti ragazzi come te; quante sofferenze nei duri mesi di combattimento affrontando, nel pieno della vita, un conflitto che ...giudicavi davvero giusto? ...volevi sinceramente condividere? ...sentivi tuo fino in fondo? ...credevi ti appartenesse? Chissà cosa hai pensato “dopo”, di quella lotta che per te ha rappresentato solo la fine di tutto, mentre a chi è sopravvissuto ha regalato la libertà.

Ed io, che ora passo a trovarti e ti rivolgo un saluto sperando che un giorno tu possa perdonarmi per tutti quelli che non ti ho dato, non trovo niente di meglio che rimproverarmi per averti lasciato solo tanto a lungo e mandarti un bacio affettuoso, perché è grazie a te e agli altri giovani soldati come te se sono nata in un paese libero.
Osservo il tuo sguardo e penso sconfortata che niente ti renderà gli anni che non hai vissuto e quasi mi vergogno del tempo che so di sprecare dietro ai pensieri più stupidi, ai crucci più futili.
E poi, mi fa raggelare la sensazione della tua esistenza che fuggiva da te, dell'angoscia con cui avrai cercato di rimanerle avvinghiato, provando vanamente a gridare che non era giusto andarsene così. Avevi ragione a voler rimanere, avevi diritto a giocare la tua partita con la vita; invece qualcun altro ha deciso diversamente per te, che sei rimasto con un grumo di terra in mano a vedere il mondo oltre i tuoi occhi spegnersi piano, mentre il dolore cresceva e le forze ti lasciavano.Quel giorno un filo del tuo sangue è penetrato nella terra ed è sceso fino alle falde da cui oggi attingo l'acqua che mi disseta, e mi lega ancor di più a te... per sempre.

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