
I tratti più simili alle esperienze precedenti sono riconoscibili. L’uso elegante di cori soul con la maggioranza di voci femminili, alcuni rimandi al rock più allucinato e acido in perfetto stile anni ’70, brani dalla vena melodica particolarmente naive ne sono la dimostrazione lampante e piacevole allo stesso tempo.
Le undici tracce che compongono questo arazzo musicale si mostrano come trame di canzoni a volte sospese su melodie sghembe, delicate e fragili come l’onirica Smiling Black Face o Driftwood Heart, altre volte con strutture solide e definite, dai ritmi decisi e trascinanti come il primo singolo Give Blood o Hold You Holy, un mix di dance e psichedelia.
Chiude l’allucinata e interminabile Winter Song, in cui Malone esibisce spudoratamente la sua splendida gamma vocale, arrampicandosi per dieci minuti su un pentagramma decisamente esteso.
Ci vuole pazienza e una predisposizione particolare per apprezzare totalmente Rain Machine. Al primo ascolto si è colti da un inevitabile senso di spiazzamento, ai successivi prevale lo stupore e la fascinazione che si prova durante un viaggio esotico e fuori dagli schemi. Mauro Carosio
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