20 dicembre 2008

Morrissey - Years of refusal ****

A 50 anni e in splendida forma torna Morrissey con un nuovo disco, il nono della sua carriera da solista, iniziata un po’ sottotono nel 1988 e costellata da episodi non sempre riusciti negli anni ’90, a parte uno splendido quanto cupo Southpaw grammar.
Years of refusal verrà senz’altro ricordato come uno dei capitoli migliori della discografia dell’ex leader degli storici Smiths. Abbandonate definitivamente le sonorità del celebre gruppo britannico e le atmosfere musicalmente più oscure Years of refusal è caratterizzato da una musicalità solare e brillante, nell’insieme più compatto e omogeneo dei precedenti Ringleaders of the tormentors (2006) e You are the quarry (2004). Pop rock semplice e spontaneo, ma assolutamente non mediocre e di ottimo livello dall’inizio alla fine. Il disco si apre con l’energica e trascinante Something is squeezing my soul, dove chitarre decise e dinamiche scorrono su una vena melodica perfetta. Il singolo, I’m throwing my arms around Paris, sarà anche il brano più di facile ascolto dell’album, ma non rischia di cadere nel melenso o di produrre effetti tipo Elton John. Altri pezzi degni di nota sono senz’altro It’s not your birthday anymore, forse il momento migliore in assoluto e perfino le spagnoleggianti When I last spoke to Carol e One day goodbye will be farewell dove atmosfere un pò barocche segnate da interventi di fiati robusti confermano la stoffa ed il rigore artistico di un musicista che può permettersi ormai di fare tutto ciò che vuole. Prendere o lasciare. Mauro Carosio

11 dicembre 2008

'Ascolti emergenti' dicembre

Diva Scarlet - Non più silenzio ***
Quanta rabbia si respira ascoltando Non più silenzio, secondo disco delle Diva scarlet, quartetto di donne rock da Bologna. E’ un album piacevole e corposo che si rivela nella sua complessità ascolto dopo ascolto. Ad una prima impressione si potrebbe attribuire a queste ragazze che cantano in italiano l’etichetta facile facile di femministe incazzate che incanalano grinta nella musica mietendo fan nella stessa platea delle Bambole di pezza o di una Carmen Consoli rock degli esordi (quando ancora limitava l’uso di vocaboli incomprensibili ed ermetici). Questo disco è invece un azzardo assai più vivace, che mescola con una adeguata sapienza brani più facili ed immediati come Souvenir o Cura di te ad episodi più introspettivi come la title track.Ascoltando tutto il disco resto affascinato dall’ultima traccia, forse quella più distante dalla sonorità grintosa che pervade il disco: La giusta distanza mi regala un brivido lungo la schiena, è una canzone d’amore (?) che immagino urlata a squarciagola fino a spegnersi piano piano con il solo suono delicato della chitarra.Anche Pioggia che cade sfrutta l’evocativa metafora di una pianta inaridita, così come può essere arido un rapporto “ma tu non vuoi darmi da bere e non mi rimane che la pioggia che cade e questo piccolo vaso che non mi basterà”…Dal punto di vista strumentale il livello è elevato e la registrazione appare curata per un disco che pur non aggiungendo nulla di nuovo al panorama della discografia italiana merita sicuramente uno spazio e un ascolto. Non deluderà. Roberto Conti

Blessed Child Opera - Soldiers and faith **
Le atmosfere di questo disco vorrebbero assomigliare all'attuale clima, in cui grigiore, nebbia, foschia e spazio per riflessioni intime e malinconiche spadroneggiano a mani basse. Ma se fuori dalla finestra le condizioni meteo sono piuttosto chiaramente riscontrabili, lo stesso non si può dire per le 11 tracce di Soldiers and faith. Dal momento che gli arpeggi di chitarra, l'accompagnamento acustico, i violini e il piano il loro sporco dovere lo fanno con puntualità e rigore, la responsabilità della non perfetta compatibilità metereologica non sta nella musica ma piuttosto nella voce; poco incisiva, poco profonda, poco intensa. E sebbene a sostegno della voce maschile principale si aggiunga in alcuni brani anche una rispettabile voce femminile, questa non è una sufficiente ancora di salvataggio: complessivamente il lavoro non riesce a decollare nè ad arrivare a toccare le corde interiori a cui dovrebbe ambire. Se si escludono alcuni brani, come Summer waits o A couple of smiles, per il resto questo disco passa via liscio senza colpire nè lasciare il segno, lasciandoti nei suoi riguardi freddo come la stagione che sta per finire. Marcello Colombo

Soul of the cave - Asphalt ***
Questo quartetto di Roma mi piace proprio. Schizzato al punto giusto (senza cioè essere incomprensibile) questo è un disco energico dalle sane e molteplici tinte rock, contraddistinto da una grande originalità e libertà compositiva. La band mischia molto, e prendendo spunti dal grunge, dall'hard e indie-rock, dalla psichedelia, dal punk e da un certo post-hardcore, riesce a creare qualcosa di veramente particolare nel suo genere, particolarità ancor più evidenziata dall'imprevedibilità di alcuni cambi ritmici e melodici che rendono l'ascolto tutt'altro che scontato e noioso. Ma nonostante la varietà e la complessità Asphalt ti arriva comunque immediatamente, spinto nelle orecchie dall'energia a spirale di alcuni riff che non puoi smettere di canticchiare una volta spento il disco. Il cantato dei Soul of the cave, come quello della maggior parte delle band militanti nel panorama del (generico) rock alternativo, è in inglese; in due brani però la band si cimenta coraggiosamente con l'italica lingua, portando a casa oltretutto un risultato davvero onesto, ma che temo difficilmente troverà sostenitori nella nostra penisola. Un difetto per cui va trovato: la cittadinanza italiana sui loro passaporti; se fossero stranieri avrebbero ben altra sorte. Davvero un ottimo disco, buona fortuna. Marcello Colombo

Tonino Carotone - Ciao mortali **
Dopo un lungo periodo d’assenza a livello mediatico e dopo il tormentone Me cago en el amor che gli aveva regalato più di un momento di grande notorietà, Tonino Carotone torna con Ciao mortali, un disco di musica folkroristica e popolare con una bella carica energetica.In questo nuovo capitolo Tonino si avvale di parecchie collaborazioni di nomi assai importanti della scena gipsy-punk, dai Gogol bordello (che dettano con lui in Atapuerta) fino al sempre verde Manu Chao in Pornofutbol.Come consiglio vi direi di partire nell’ascolto dal ‘manifesto’ di questo disco Il santo, oppure dalla splendida Primaverando con la collaborazione della Bandabardò o ancora De vuelt apor Buenos Aires che ha il sapore di una cultura lontana riportandomi alla mente sonorità di un grande gruppo come i Buena vista social club. Un lavoro davvero apprezzabile, così com’è apprezzabile la scelta di vendere il disco ad un prezzo imposto (una scelta coraggiosa di questi tempi).Quindi adesso inserite il disco, mettetevi le cuffie e ascoltate questo saluto a noi “mortali”. Matteo Staglianò

25 novembre 2008

Los Campesinos - We are beautiful we are doomed ***

Nonostante il nome, i Los Campesinos sono una band di Cardiff formata da sette giovani e sfrenati musicisti. Nati nel 2006, dopo un paio d’anni di gavetta escono con un primo album, Hold on now youngster, nove mesi fa’ e ora si ripresentano con un nuovo lavoro che non è composto da b-sides o remake, ma un vero e proprio disco di inediti. Registrato a Seattle, We are beautiful we are doomed, non fa che confermare la fervida e rutilante creatività del gruppo. Un insieme iperenergetico dove fondendo sonorità pop-rock-indie i ragazzi dimostrano come sia possibile conciliare melodie orecchiabili e svagate con una capacità artistica e tecnica che rinuncia a soluzioni facili e ordinarie. Ritmo, fantasia, velocità, belle voci e testi degni di attenzione per un disco da ascoltare tutto d’un fiato e poi ricominciare dall’inizio. I brani più interessanti sono senz’altro la title-track, con un giro di tastiere irresistibile, la splendida You’ll need those finger for crossing che ricorda un po’ i Sonic Youth dei tempi migliori, The end of the asterix e la conclusiva All yor cabe friends dove tastiere, violini e cori perfettamente amalgamati danno prova della totale buona riuscita dell’impresa. Mauro Carosio

15 novembre 2008

Ivano Fossati - Musica moderna ***

Impossibile non lasciarsi trasportare dalle melodie, dalle introspezioni e dai viaggi all’interno degli umani sentimenti, che Ivano Fossati da decenni osserva attentamente. Il suo stile è inconfondibile, in grado di parlare d’amore in un modo unico, usando le parole come carezze che arrivano direttamente al cuore senza indugiare su sentimentalismi melensi o ammiccanti espedienti più ordinari. A tre anni da L’arcangelo arriva un’ennesima autentica opera d’arte: Musica moderna quella che, lui stesso dice, “non passa dalle radio”, rigettando l’avvilente corrispondenza: popolare uguale facile, andante o banale. Questo album potrebbe definirsi una sintesi compiuta e ben riuscita del Fossati style: i singoli pezzi sono perfetti, senza momenti privi di quella tensione emotiva che caratterizza tutti i suoi lavori. Si passa da temi attuali e pesanti, vedi La guerra dell’acqua o Il paese dei testimoni, brani in cui anche la ritmica è più sostenuta, a canzoni che raccontano storie di amori lontani, inafferrabili o felici che scorrono su melodie struggenti e delicate. Difficile non soffermarsi sulle note di Cantare a memoria, L’amore trasparente o Last minute. Senz’altro uno dei dischi italiani migliori degli ultimi tempi, che lascia ben sperare sul futuro della musica nostrana e, a proposito di futuro, Fossati ha idee chiare, che ci espone ne Il rimedio (il brano di punta del disco): “mai più saggezza!” ….. parole sante, maestro! Mauro Carosio