19 settembre 2012

The Giornalisti - Vecchio


In Italia esistono gruppi definibili “underground”. Una parte di essi si impegna quotidianamente a suonare, cercare di creare quel qualcosa in più,  “sbattersi”, come si suole dire. Un’altra, invece, manda il demo a Rockit. Provando a suonare duro ma con le vocine che sembrano quelle dei camerieri che ti chiedono la zeste de citron nello spritz, scrivendo testi in un modo così sdoganantemente falso che nemmeno Bugo dopo essersene andato da San Martino di Trecate, e vestendosi stretto. In questa seconda categoria rientrano i The Giornalisti, band laziale che sforna agli albori d’autunno un disco troppo lungo per essere “rock” e troppo arpeggiato per essere “roll” dal titolo Vecchio.
Parto dal pezzo migliore, Cinema, perché da punk rocker vado subito a pescare il pezzo che dal titolo sembri più diretto: non male, una cavalcata romantica con stacchi di chitarra Washington da non sottovalutare. Per il resto, invece, l’ascolto è abbastanza tumefatto. Non riesco a finire una canzone: si passa dagli assoli country alle sferzate pesanti di chitarra, dalla battistiana La mano sinistra del Diavolo alla falsamente impegnata e Autostrade umane; dagli stop’n’goes jazzeggianti alle entrèes alla Red Hot Chili Peppers del Dave Navarro più gradevole. Vecchio suona benino ma suona noioso, troppi sfarzi e troppi giri di basso per un full lenght prodotto con evidenti sforzi economici.
 “Fosse stato meglio che non ci fummo mai conobbi” direbbe mi madre: il saper suonare bene non significa divertire suonando, e soprattutto divertirti.
 I testi? “Ma di certo non si può dire che non ci piaccia il bere, che non ci piaccia quando il vino 
filtra tra le vene e il bicchiere” l’exploit migliore. Accordi rubati al più onesto, vivibile e sincero punk rock, ma espressi in maniera forzatamente new wave. 
Finisco con il dire che non sia obbligatorio il “suonare come”. Basta il “suonare”. E purtroppo i The Giornalisti, secondo me, nel 2012, hanno pensato troppo. Andrea Vecchio

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