29 marzo 2013

Un viaggio nel corpo umano come metafora della vita: riecco gli Albedo con Lezioni di anatomia

Lezioni di Anatomia: gli Albedo ti entrano nel cuore, ti sfiorano con le dita, ti danno anche un bel pugno allo stomaco. Parlano a tutte le pance, respirano suoni attraverso i polmoni, ti fanno scoprire il mondo con i loro occhi, e nel fare tutto questo hanno anche un bel fegato, mentre tu ascolti ti si piega la schiena verso le casse stereo per sentirli meglio ed infine è un album che riesce a portarti lontano con la forza delle sue gambe.
Non ho fatto altro che proporvi la track list dell’ultimo album degli Albedo Lezioni di anatomia (V4V Records - Inconsapevole Records).
Registrato in presa diretta e mixato da Adel Al Kassem al Massive Arts studio di Milano, questa ultima fatica degli Albedo mi ha affascinato quanto i precedenti lavori. Un disco inondato di delay, che sembrano proprio portarti in un viaggio attraverso il corpo e la mente. Sicuramente un concept, davvero emozionante e delicato, che racconta attraverso il nostro corpo le gioie e i dolori di questo incredibile viaggio che è la vita.
Un pop davvero raffinato ed originale che fa di Raniero Federico Neri e soci una delle più belle ed affascinanti realtà della scena indipendente italiana.
Scritto ed arrangiato dagli stessi Albedo, questo lavoro segna un ulteriore passo di maturità della band milanese che anche dal vivo sa regalare forti emozioni. Li aspettiamo, come sempre, alla prova del live, con cuore per emozionarci, dita per applaudire, stomaco stritolato dalle emozioni, pance anch’esse che sentono la tensione emotiva della band, polmoni per urlare ancora bis... occhi per ammirare gli artisti nella loro performance, fegato, quello necessario in questo mondo massificato negli ascolti ad andare a cercare e scoprire queste realtà, schiena perché a volte vorremmo caricare sulle nostre spalle tutti i dolori del mondo e gambe perché vorremmo sempre correre verso i nostri sogni così come fanno i pescatori... oops gli Albedo. Marco Colombo

27 marzo 2013

Wavves: un disco punk che vola alto, senza paure

Torna dopo tre anni dall'ultimo full-lenght King of the Beach il duo di San Diego che risponde al nome di Wavves. Personalmente li ho conosciuti dopo uno split con i Trash Talk, e da quel momento mi sono deciso a seguirli in ogni loro passo.
Afraid of Heights penso sia il loro capitolo più rappresentativo ed accattivante. Non "l'album della maturità" come è di moda sostenere riferendosi a gruppi indie che dopo aver fatto anni a suonare nei centri sociali di spalla a gruppi punkrock si accorgono di essere passati di moda e si mettono a registrare un concept album su acconciature alla moda e vita libertina londinese spendendo migliaia di euro: penso che per gli Wavves il concetto di maturità non possa esistere. Devoti allo skate ed all'assiduo consumo di piante, Nathan e Stephen sono commoventi per coerenza e stile, riuscendo a dimostrare che ai loro deliri non ci sia mai fine.
Demon to lean on lo dismostra: un singolo da top chart sin dal primo giro di chitarra, semplice semplice, che sfocia in un ritornello che testimonia come gli Wavves abbiamo imparato a pieno le lezioni impartite da Get Up Kids e Weezer in ambito di atmosfere ed impatto. L'attitudine,
invece, rimane sempre quella viziata e nichlista di sempre: "Holding a gun to my hand, so send me an angel. Or bury me deeply instead, with demons to lean on". Non abbandonano per nulla la vena psicotica che contraddissinse i loro primi lavori e che esplose in Life suxx, ma ne aumentano la potenza grazie a chitarre più decise ed a ritmi più spiccatamente punkrock. Ne sono un esempio Mystic e Dog. Finalmente. Non che mi annoiassero pezzi come I wanna meet Dave Grohl, tutt'altro. Il fatto è che gli Wavves sono di San Diego, e da San Diego arrivano gli Unwritten Law ed i Locust, non dimentichiamocelo. Tornando a parlare di questo ultimo lavoro, in formato LP, Afraid of Heights, che ne dà il titolo, è testimonianza di ciò che ho specificato prima: gli Wavves non hanno cambiato stile, il loro modo di suonare garage e surf è diventato solamente un po' più punk. Per il resto, i loro interessi per gatti, stile di vita Hippie-Punk e clamorosi mullets rimane immutato."I'll always be on my own", recita l'ultima e straziantissima parte della canzone. Paranoid e Cop avrebbero potuto essere perfette per la colonna sonora di "Blow"; Beat me up è di chiara scuola Misfits o per lo meno East Coast; Everything is my fault strizza l'occhio a Leonard Cohen ed agli Stooges; Gimme a knife, con quel suo slang per "give me", è sicuramente una dedica ai Black Flag, che su "gimme" e coltelli incentrarono più di una riflessione e che, non dimentichiamoci,
abitavano solamente un po' più a nord (su scala americana ovviamente) rispetto a San Diego.
Rimanendo in ambito geografico, specifichiamo una cosa: usano ancora tantissimo le tastiere. Less punk? Non direi. A San Diego la tastiera suona diversamente che negli altri posti. Afraid of Heights è, in conclusione, sicuramente un gran disco. Eclettico, commovente, denso di richiami e di idee portate all'azione. Grandissimi Wavves. Andrea Vecchio

Il nuovo dei Depeche tra synth e derive intime


Come non parlare del nuovo lavoro dei Depeche Mode, Delta machine. Il gruppo torna dopo 4 anni dall'ultima pubblicazione Sounds of the Universe, con una sonorità più vicina al blues. Un cambio di rotta che il tastierista e chitarrista Martin Gore spiega così: "E' stata una bella sfida, volevo che i brani avessero un sound molto moderno. Questo disco ha qualcosa di magico".
In realtà l'evoluzione sonora c'è, ma non sconvolge: la musica dei Depeche si è evoluta negli anni, dal synth-pop al pop-rock e alla new-wave fino a diventare il gruppo di riferimento e di maggior successo della musica elettronica. Una delle band più importanti dell'ultimo trentennio che ha ispirato ed ispira da sempre tanti altri artisti che propongono musica elettronica e non solo. La carica di energia scorre nelle vene di Dave Gahan e compagni senza pensare agli anni che passano e che sembrano non pesare sulla loro musica. 
Delta Machine è il loro tredicesimo disco (inteso come studio album), si apre con Welcome to my world. Un inizio un po' silenzioso, diverso, di stampo melodico e in un certo senso perfino fuorviante rispetto a ciò che ci si aspetta da loro, ma si passa subito a Angel -uno dei singoli scelti per la promozione del disco- che non delude le aspettative col suo blues elettronico.
Tredicesimo l'album, tredici i brani. Tra questi Heaven -l'altro singolo che anticipava l'album- entrata già nella testa e sentita più volte senza stancarmi con le sue voci ben sovrapposte.
Ancora Broken che mi rimanda ad altri dischi del gruppo, Secret to the end nella migliore tradizione elettro dei Depeche, ma anche Alone che con la sua lentezza crea un certo equilibrio.
In The child inside Dave, come spesso accade,  usa la sua voce quasi come un supplemento della strumentazione elettronica. D'altronde la sua è una delle voci più particolari che arrivano dagli Anni Ottanta. 
La band si congeda con Goodbye riprendendo un po' il brano d'apertura, salutando dopo il viaggio insieme nel loro piccolo universo (My little universe).
A dispetto della poca considerazione ricevuta negli Anni Ottanta da parte di pubblico e critica, presi da altre band poi scomparse, Dave e i suoi hanno continuato a creare e migliorare la loro musica e il tempo ha dato loro ragione. Tra gli artisti o pseudo-tali del periodo, i Depeche (a parte qualche rara eccezione) possono essere considerati band di riferimento sempre al passo coi tempi se non un passo più avanti rispetto ad altri. E a onor di cronaca dobbiamo anche ricordare che il gruppo si è sempre distinto nei live dove riesce a portare tutto di sé, incluso quel carisma che nei dischi difficilmente traspare. A breve inizierà un tour in tutto il mondo, che continuerà fino alla seconda metà del 2014. E’ ovviamente prevista l’apparizione live anche in terra italiana. Due date – il 18 e 20 luglio – a Roma e Milano, per gustarsi sicuramente uno spettacolo diverso, dove ovviamente non mancheranno anche le storiche hit che hanno coronato la carriera della band.
In conclusione un giudizio su questo disco, ideale per tutti coloro che amano la musica elettronica, ma anche per quelli che non la amano particolarmente. Alessandra Terrone

Joker gang - Dispettose prigioni - Rec. in 10 parole















Dispettose prigioni è il primo album della Joker gang, una band del milanese che propone un curioso esperimento di dark rock cantato in italiano.

Recensione in 10 parole: coraggio (la Joker gang ne ha tanto, lanciandosi in uno stile musicale che al momento è totalmente fuori dall'attenzione mediatica e di pubblico), tecnica (l'album, benché autoprodotto, stupisce per un livello tecnico di voce e strumenti ben superiore alla media, che si intuisce chiaramente anche senza particolari virtuosismi che sarebbero stati inutili), testi (anche qui la parola giusta sarebbe "coraggio". Sono testi estremamente particolari, intimi, sofferti), Litfiba (un riferimento musicale costante, come si capisce nei brani Di ritorno dal precipizio e Cambio di morale), oscurità (è un album che nelle musiche, nei testi, nei titoli dei brani, celebra il lato nascosto del Joker, giullare dal sorriso forzato che nasconde la disperazione interiore), melodia (Nella zona del crepuscolo è uno struggente brano melodico come non se ne sentivano dagli anni '70), disperazione (come nella copertina che raffigura il Joker intrappolato in una prigione dalla quale non riesce ad uscire), metrica (anch'essa molto particolare: in vari passaggi le linee vocali non sono funzionali alla melodia, ma proprio per questo i testi risultano ancora più incisivi), produttore (la band potrebbe fare ancora di meglio col supporto di un professionista, qualcuno che, ci auguriamo, li aiuti senza cercare di portarli verso qualcos'altro), diversità (la band non è originale in senso stretto, perché i riferimenti musicali sono chiari, eppure l'album è completamente diverso da qualsiasi altra cosa ci sia in giro). Marco Maresca

Voto: ****

Tracklist:
1. La tratta degli schiavi
2. Di ritorno dal precipizio
3. Nella zona del crepuscolo
4. Insano gesto
5. L'anima di Joker
6. Scacco al re
7. Gioia maligna
8. Cambio di morale

26 marzo 2013

Hot Dog - Enemies - Rec. in 10 parole















Enemies (Agoge records) è il secondo full-lenght album per gli Hot dog, una punk band con risvolti hardcore ma sempre attenta alla melodia.

Recensione in 10 parole: inglese (il cantato), pronuncia (bisogna lavorarci ancora tanto), concept album (forse non è intenzionale, però i testi, letti uno dopo l'altro, danno la sensazione di una storia che si sviluppa), NOFX (riecheggiano parecchio), melodie (piacevoli e ad onor del vero neanche banali), struttura (semplice ma efficace, e di sostanza ce n'è parecchia), freschezza, energia (ben dosata, senza strafare), promettente (per un genere, quello punk, che stava un po' perdendo vitalità nel corso degli anni). Marco Maresca

Voto: **/

Tracklist:
1. First hope
2. Bomb, sex and cataclysm
3. Arachnophobia
4. Dinosaurs' revenge
5. Phoenix
6. Eaten by shark
7. Mr. K (don't be crazy)
8. Everyday
9. Surreal dream
10. Neverland
11. Funeral party
12. Last hope


21 marzo 2013

Venua - Blah, blah, blah - Rec. in 10 parole















Da Busacaglione ai Black Keys, Blah, blah, blah è il secondo album dei bergamaschi Venua. Uscito il 12 di febbraio, a due anni e mezzo di distanza dall’esordio (da noi recensito) Gli abitudinari, è stato registrato interamente in analogico con la produzione di Marco Fasolo (Jennifer Gentle).

Recensione in 10 parole: analogico (perché suonato interamente con questa tecnica), sixties and seventies (perché attinge a piene mani da quel fantastico periodo storico), raffinato (perché alterna momenti molto divertenti a momenti più romantici), rock-soul (come nella azzeccata Alice), diretto (perché i testi sono semplici e diretti), vintage (perché ricorda i suoni di anni passati), ballabile (come in Nuova Amsterdam), sinfonico (nel brano A presto della durata di sei minuti si assapora il gusto dello strumentale), onesto (perché i Venua riescono a fare un lavoro originale e bello anche ripescando cose già sentite) ed infine folk (perché alla fine quello che mi rimane più in testa dei Venua è proprio questo mood). Marco Colombo

Voto: ***

Tracklist:
  1.  Lei dice “ormai”
  2. 9 Settembre
  3. Se vuoi, devi
  4. Bang
  5. Alice
  6. Via Tetrarca
  7. Sunday
  8. Aprile dolce dormire
  9. Nuova Amsterdam
  10. A presto…



Perché questa casa ci esplode negli occhi? Buona prova per i bolognesi Action Dead Mouse

Esce per l’etichetta torinese Triste, una della più interessanti realtà indipendenti italiane, l’ultimo lavoro, un EP in formato vinile 10”, degli Action Dead Mouse. Hanno il nome in inglese, purtroppo, ma cantano in italiano e vengono da Bologna.
Brucia di vita sin dalle prime schitarrate, questo album intitolato Perché questa casa ci esplode negli occhi?. Ginocchia è penetrante, avvincente, cantata con una sfilza di lunghissima singalong pieni di passione. Si comincia con Suona come un manuale di terrorismo
domestico, suona come un manuale con un errore di stampa
 e si finisce
con E come sempre, le sigarette spente. Microfono tenuto in alto, voce impastata e bassone. La seconda traccia si intitola I nostri mondiali di scacchi e sembra un racconto di Raymond Carver: uno sprazzo di vita quotidiana che appare minimalista solamente al lettore inesperto. Con tanto di atmosfera alla primi Mogwai per quanto riguarda l’introduzione strumentale, gli ADM strillano “Non passa la luce neanche a pagarla. Come non è vero? Come non è vero?” per poi
passare ad ammettere, più sarcasticamente e docilmente “Ma per fortuna ci siamo allenati a giocare i nostri Mondiali di scacchi con gli occhi bendati”. Un passaggio che dura cinque minuti, un limbo che trasporta. E siamo appena a metà disco. La seconda parte comprende l’arrendevole ma veloce La piaga dell’umidità, che riprende tra le sue parole per la seconda volta il titolo del disco; ed E’ una lampadina rossa?, capace e triste affresco di idiosincrasia urbana che confluisce con tutta la sua nevrosi in un finale armeggiare tra batteria e chitarre che, personalmente, mi ricorda la Ebullition degli Amber Inn e la No Idea degli Army of Ponch. Il massimo.
Non avevo mai sentito nominare questi Action Dead Mouse ma ne sono rimasto veramente colpito. Non che tutto ciò che ascolti (soprattutto ultimamente) sia oro colato, ma raramente mi è capitato di mettere nel lettore mp3 canzoni di un gruppo che ascolti da nemmeno un quarto d’ora. Scrivete dunque ai ragazzi di “Triste” che hanno avuto forze e idee per produrre Perché questa casa ci esplode negli occhi?. Fatelo perché ormai rimangono solo etichette come questa alle quali aggrapparsi. E poi, ovviamente, supportate gli ADM! Andrea Vecchio

Gruppo: ACTION DEAD MOUSE
Titolo: Perché questa casa ci esplode negli occhi?
Formato: 10” EP
Tracce: 4
Label: TRISTE
Uscita: Marzo 2013

20 marzo 2013

Suspension dots - Love & science - Rec. in 10 parole















Love & science è l'EP d'esordio dei Suspension dots, rock band con voce femminile. Il gruppo è autore del brano Cinders nel quale qualche mese fa ci eravamo imbattuti all'interno della compilation degli artisti emergenti del VCO.

Recensione in 10 parole: inglese (il cantato), classiche (le sonorità dell'album), semplice ma ricca (la struttura dei brani), Anouk (nell'album è presente una cover di Jerusalem, ma la cantante in tutte le tracce richiama quel tipo di vocalità), piacevole (l'ascolto del disco), margini di crescita (se ne intravedono). Marco Maresca

Voto: ***

Tracklist:

1. Falling upward
2. Spring
3. Rust
4. Cinders
5. Jerusalem (Anouk cover)

19 marzo 2013

Collettivo Ginsberg, intervista alla band romagnola che svela il disco in uscita in autunno


Foto Silvia Bigi
Con il Collettivo Ginsberg l'Emilia Romagna si conferma terra ricca di talenti artistici. La band è al suo esordio discografico con l'EP De la Crudel di cui abbiamo dato conto recentemente.
Contaminazioni musicali che derivano dalle varie esperienze di ciascun componente del gruppo si amalgamano dando vita al sound che contraddistingue il Collettivo.
So che arrivate da esperienze diverse che sono poi confluite nel progetto Collettivo. Avete voglia di fare una breve presentazione della formazione?
Il progetto è stato fondato da chi risponde (Cristian Fanti – voce)  insieme ad Andrea Rocchi nel 2004. La formazione attuale (dal 2011) vede Alberto Bazzoli e Eugenioprimo Saragoni, entrambi di estrazione jazz, rispettivamente al pianoforte e alla batteria; Gabriele Laghi, contrabbassista viene da esperienze folk/buskers; Federico Visi è sicuramente l'elemento più “moderno” del gruppo, al confine con l'elettronica.

Soprattutto in Mars'sailors ho avvertito la presenza sciamanica di Morrison accompagnato dal fido Manzarek. Quanto c'è dei Doors nella navigazione psichedelica e blues del Collettivo?
C'è tanto, non a caso ho scelto un tastierista che somigli a Manzarek! Scherzi a parte, sono sicuramente un punto fermo nei nostri riferimenti. Nonostante questo, cerchiamo sempre di andare oltre a qualsiasi revival, poiché gli accostamenti possono essere tanti, non vorremmo essere etichettati come “quelli che...”. Diciamo che più somiglianze ci accorgiamo di avere con qualsivoglia artista, più cerchiamo di stravolgerle facendole nostre.

Potreste spiegare come nascono i vostri testi e in particolare quanto conta  in tale contesto la poesia beat e la tecnica del cut-up a cui vi ispirate?
I testi nascono sempre in maniera molto spontanea. Non esiste un metodo collaudato. Una volta arriva prima il testo, l'altra magari la musica. Mi lascio influenzare ed ispirare da qualsiasi cosa scritta o udita, non pianto paletti che delimitano un raggio d'azione. Capita spesso che leggendo una frase, un aggettivo, una serie di immagini sfiori una certa sensibilità del momento. Trascrivo tutto, o quasi, in vari taccuini. La poesia beat non ricopre in realtà un ruolo privilegiato nella nostra “discarica della memoria”, né il cut-up è la tecnica usata per ogni singolo testo. Diciamo che è tutta questione di attitudine... beat per l'appunto. Sicuramente Borroughs e la sua teoria  non hanno fatto altro che legittimare l'idea che già covavo da tempo per cui l'uso del cut-up potesse dare quel qualcosa in più. Si cerca come ladri da sgabuzzino la frase adatta (un “furto ispirato e devoto” volendo citare W.B.), che poi verrà masticata, digerita e modellata come in un mosaico in mezzo ad altre parti originali. I nostri testi quindi  risultano essere dei veri e propri collage in cui il confine tra arte propria ed arte rubata è sempre molto molto sottile.

Cos'è esattamente il Collettivo? Un circolo letterario/musicale alla Ferlinghetti o cos'altro?
Niente di tutto questo. Siamo principalmente una band formata da cinque persone che hanno come istinto primordiale quello di fare musica. Credo che quando un cervello è solo tutto va perduto, ma se intorno ci sono altri cervelli vivi, tutti insieme traggono vantaggio dal pensiero di ognuno, distribuendo sapere e genialità intorno.

Cos'è la rivoluzione del Collettivo?
Non c'è una rivoluzione. Stiamo solo cercando di riassemblare senza le istruzioni di montaggio (volontariamente!?!) ciò che è esploso ieri e oggi... e domani.

Curtel! La terza lingua usata nel vostro EP è il dialetto romagnolo. Scelta geniale nella sua semplicità. Come nasce Curtel?
Il testo è una magnifica poesia del poeta dialettale Raffaello Baldini che si intitola E curtel (Il coltello) e racconta della scannatura del maiale con la prospettiva di dialogo anziano/giovane. Un testo tanto ricco quanto breve; volevo interpretare la mia terra e mi sembrava un'occasione unica poter interpretare questa poesia. La scelta del dialetto è stata una scelta obbligata ma non forzata, poiché sarebbe stato ridicolo anche solo il pensiero di affrontarne una traduzione senza perdere la forza del linguaggio originale. Inoltre il rito dell'uccisione del maiale è una cosa che mi ha sempre affascinato. Fa parte di quella cerchia di riti che si tramanderanno sempre, tanto sono intrecciati con la vita delle persone. Devo dire che abbiamo assistito un paio di anni fa ad una giornata di  scannatura riprendendo tutto (immagini che poi sono finite nel teaser di lancio di De La Crudel) e l'aggettivo che mi verrebbe da usare se dovessi descrivere l'intero processo è: rispetto e devozione.

Nei vostri pezzi c'è molto di onirico con evidenti richiami al passato. Spesso band anni '60 cercavano l'onirico con sperimentazioni allucinogene. Cos'è l'onirico per il Collettivo? E come si sviluppa?
Mi vien da pensare che sta tutto nella differenza tra il sognare di morire e il morire davvero. L'onirico è il limite della co(no)scienza, è il non distinguere tra la veglia e il sonno. Nella parte onirica della vita si manifestano i demoni della notte, gli stessi demoni che in 8 e mezzo di Fellini facevano muovere gli occhi dei dipinti degli antenati, subito scacciati dalle filastrocche apotropaiche dei bambini. Mi piace pensare che le nostre canzoni possano avere la stessa influenza magica delle filastrocche dei bambini. Il canto di un primitivo attorno al fuoco.

Sebbene fortunatamente  vi siano sempre più tendenze contrarie, viviamo un tempo in cui viene data troppa importanza all'immagine e poco o niente ai contenuti (la chirurgia estetica che spopola ne è un sintomo). Cosa pensate di questo?
E' un cancro! Pasolini lo diceva già  cinquant'anni fa circa. E la colpa è sia di chi fa, tanto quanto fi chi fruisce. Miles Davis faceva una bella distinzione sul modo di fare arte: “enlightenment o entertainment”. Eloquente direi.

Come nasce l'idea del pezzo Il Presente?
Ecco, Il Presente è un bell'esempio di cut-up. Riguardo al testo, il ritornello e la prima strofa appartengono al Laudario di Cortona (metà del XIII secolo, Opera: De La Crudel Morte de Cristo), mentre la seconda e la terza strofa sono un collage di parti originali ed altre parti, nello specifico derivanti dalle opere di Henry Miller. Il gioco “il presente è” - “il passato è” vuole essere un omaggio al Lucio Dalla della canzone Passato, Presente. In pratica abbiamo operato nello stesso modo anche a livello di arrangiamento: cavalcando l'aria originale della Laude nel ritornello, abbiamo lavorato sull'armonia delle varie strofe fondendo la partitura della Laude con un po' di balkan-no wave-post punk-post everything...tutto questo per esprimere il nostro punto di vista sul presente.

Sera lascia fluire le emozioni attraverso un'interpretazione fascinosa. Un gioco o è tutto vero?
E' tutto tragicamente vero! E' una canzone d'amore, di un amore tenero, coraggioso, contraccambiato, ma pieno di dubbi e incertezze. E' una canzone che parla di un amore tra due persone dello stesso sesso. Devo dire che non è (volutamente) molto esplicita la cosa, ma gli ultimi versi ripetuti come una nenia “chissà cosa pensa la gente” fanno ben trapelare questo senso di tensione e angoscia. E' assurdo che oggi ci sia ancora questa omofobia. Comprensibile e assurdo al tempo stesso (inoltre le organizzazione religiose di certo non aiutano nel districare questo secolare nodo). Serve decisamente una forte presa di coscienza da parte della gente. Abbiamo voluto dare un piccolo contributo alla causa con questo pezzo, senza troppo pretese, semplicemente raccontando.

Secondo voi è lecito scendere a compromessi per raggiungere un obiettivo o è meglio perseguirlo senza rinunciare a se stessi e ai propri principi?
Mi stai chiedendo se davanti ad un assegno in bianco potrei avere qualche dubbio riguardo alle scelte artistiche del futuro? Certo che l'avrei! Non mi fido di chi non cambia mai idea, ma nemmeno di quelli che saltano come grilli da una sponda all'altra del fosso. Credo che l'equilibrio sia la cosa migliore. Tre di noi lavorano, gli altri due studiano. Non accendiamo sigari con banconote da cinquanta. Credo che scendere a patti sia inevitabile, nella musica come nella vita, la differenza sta nel saper contrattare. Una cosa è svendere la propria arte fregandosene quindi di fare Arte, una cosa invece è aver gli occhi ben saldi sull'obiettivo da raggiungere e saper valutare se e quali scelte possano essere utili per il conseguimento di tale scopo. Sarò impopolare, ma non mi trovo poi così tanto in disaccordo con la frase “il fine giustifica i mezzi”.. Dipende dal fine! Non so, non siamo più negli anni '60 e forse non ci siamo mai stati. Tutti gli ideali di un tempo sono andati a farsi friggere, oggi la concorrenza è talmente tanta e si è tutti così spietati che le occasioni sono salsicce in una piscina di squali. Quello che mi auguro è poter campare di musica, facendo buona musica (qualcosa che si avvicini più alla Cappella Sistina che allo studio di Amici di Maria, non so se mi spiego) e che ogni nuovo lavoro possa essere sempre un passo avanti rispetto ai precedenti.

La musica in Italia è ancora poco considerata a livello culturale o secondo voi si sta muovendo qualcosa?
Sicuramente c'è fermento, ma si fatica ancora a considerarla Cultura. O per lo meno lo si fa solo con determinati generi musicali. Sussiste tuttora un certo sentimento ostile alle novità e proliferano, purtroppo, i cloni dei cloni. Chiaro che ogni segmento ha una storia a sé ed ogni artista va rispettato, ma noto una mancanza di coraggio in generale. Sarà che il successo si raggiunge tanto difficilmente che una volta a bordo si cerca di navigare il più a lungo possibile .Sommandovi anche il poco sostegno alla musica intesa come disciplina, è chiaro che le cose si complicano notevolmente. C'è tanto, ma pochi realmente sperimentano e ricercano anche solo per ciò che concerne il loro triangolino di terra.

Alla fine dell'ultimo pezzo dell'Ep sono rimasta ad aspettare... Avrei voluto ascoltarne ancora. State preparando nuovi pezzi? Un album?
L'album uscirà in autunno, stiamo lavorando affinchè tutto fili liscio. Si intitolerà Asa Nisi Masa e ci piace definirlo un concept sull'animo umano e i suoi demoni.

Per quanto riguarda i Live ci sono date in vista?
Siamo in attesa di alcune conferme. Non è un buon periodo, la crisi c'è e si sente tutta, ma arriveranno diverse date tra la primavera e l'estate per poi partire con il tour di presentazione di Asa Nisi Masa in inverno. Invitiamo i gentili lettori a seguirci sul sito web per maggiori dettagli.

Nel momento in cui parliamo siamo a quota Papa eletto, Presidente di Camera e Senato eletti. Manca governo ed elezioni del Presidente della Repubblica. Qual è la cosa più importante che andrebbe fatta subito secondo il Collettivo?
Restituire dignità e speranza alla gente!

Intervista di Alessandra Terrone

18 marzo 2013

Ognuno di noi è un po' anticristo, Umberto Maria Giardini propone dal vivo le nuove canzoni

Reduce da un week-end con "doppietta" di concerti di Umg a Saluzzo ed Asti, torno ricolmo di buone nuove e desideroso di raccontarvi Ognuno di noi è un po' anticristo, l'ep in uscita tra qualche settimana i cui brani sono stati presentati in anteprima proprio in queste date piemontesi.
In particolare, ieri, domenica, ad Asti, al Diavolo rosso, una chiesa sconsacrata riadattata a locale per la musica dal vivo dove si mangia e si beve davvero bene, le canzoni di Umberto Maria Giardini hanno trovato una cornice d'incanto, decisamente migliore rispetto al locale di Saluzzo della sera precedente dove i problemi tecnici hanno creato qualche grattacapo di troppo.
Vi scrivo subito di "anticristo": contiene brani più che interessanti, che potrebbero tranquillamente rappresentare l'ossatura di un disco a sé. In particolare Regina della notte è una canzone con un ritornello appiccicoso e godereccio: la fauna scatenata che si muove nei testi del fu Moltheni questa volta attinge ai gabbiani che si librano in un cielo notturno e sconfinato, alla base del quale arde un fuoco alimentato da un amore passionale ed appagante.
Tutto è un po' anticristo è invece un riuscito episodio di ipnosi sonora, con una avvolgente coda strumentale, in linea perfetta con il sigillo lasciato della Dieta dell'imperatrice.
Nel mini cd ci sono anche una versione rimasterizzata (rispetto a quella attualmente disponibile sul web) di Fortuna ora, la strumentale Oh gioventù ed Omega, un ulteriore inedito.
Più che descrivere a parole le canzoni - cosa che serve fino ad un certo punto - vorrei raccontarvi della precisione maniacale con cui Umg affronta i souncheck: praticamente esegue l'intero concerto, provando un visibile piacere nel ricercare un suono il più possibile vicino alla perfezione e non stancandosi (mai) di chiedere al malcapitato fonico impercettibili modifiche sugli effetti o sui volumi. Fino allo sfinimento, fino all'ultimo minuto disponibile.
Il concerto - aperto dal bravissimo Daniele Celona autore di una convincente performance acustica - è fluito liscio per quasi due ore: la scaletta originaria, arricchita dai brani di "Anticristo", come da tradizione non ha visto quasi nulla della "vecchia" produzione (come Umg ama definirla) chiamata Moltheni, ad eccezione di In porpora e di una stravolta L'alba la notte l'inferno. Un peccato, perchè brani come Vita rubina o L'amore acquatico sarebbero adattabili ai nuovi arrangiamenti e regalerebbero ulteriori emozioni ai fan più legati al passato. Il pubblico vuole qualche brano vecchio, non c'è nulla da fare...
Con Ognuno di noi è un po' anticristo Umg legittima ancora una volta la sua appartenenza a una discografia innovativa e combattiva, ma nello stesso tempo apre leggermente la porta al pubblico con canzoni che possono ben reggere il confronto con il piccolo club, così come con il festival estivo, una marcia in più rispetto al full length dello scorso autunno. Roberto Conti

















  











Red Sky - Origami - Rec. in 10 parole

















Dopo l'EP d'esordio del 2011, Tra l'ombra e l'anima, torna l'uomo mascherato conosciuto come Red Sky, con il suo nuovo album Origami, per l'etichetta Underground metal alliance. Un disco sulla linea di confine tra l'alternative rock e il metal.

Recensione in 10 parole: melodico (e adatto ad un pubblico molto variegato), strumentale (ma non completamente), gothic, dark (ma spesso anche molto solare e brillante), avantgarde, sognante, orchestrale, recitati (i testi, con una metrica in stile Massimo volume), world music (Andalusia e Alla prossima, quest'ultima perfino con qualche accenno di ska). Marco Maresca

Voto: **/

Tracklist:
1. Gocce di eternità (intro)
2. Temporale notturno
3. Andalusia (nostalgia di un tramonto)
4. Ti ho sfiorata nei miei sogni
5. La notte si innamorò del sole
6. Il filo rosso
7. La voce dei tuoi occhi che mi rende pazzo
8. Origami
9. Alla prossima (forse un giorno ci rivedremo)
10. L'ultimo petalo (feat. Alberto Bernasconi)
11. L'ultimo petalo (acoustic version bonus track, feat. Alberto Bernasconi)
12. E poi silenzio pt. 2 (acoustic version bonus track, feat. Aurora Rosa Savinelli)

15 marzo 2013

Dragonspring, una compilation tuttifrutti

A quanto pare le compilation non passano mai di moda. David Drago propone la sua come anticipo di primavera. Dragonspring 2013 è una raccolta di dodici pezzi scelti tra quelli che lui considera le migliori proposte musicali della stagione. La compilation è stata presentata in anteprima lo scorso 15 marzo a Radio Insieme, emittente di cui Drago è conduttore.
Pop-rock tra speranza di leggerezza e desiderio di ribellione, aggettivi che si intonano alla stagione che arriva. Tra queste l'anteprima di Paolo Ferrarini, una Lava Lava Love con Both che ricorda troppo una Ciccone d'annata. Un pezzo strumentale di Simona Gretchen, una personale cover de Il Fieno. Un sound che ricorda certe ballate irlandesi nel brano You two look a lot alike di Da hand in the middle. Ispirazione Brit-pop anni '60 con Wildmen e il pezzo Haters gonna hate. Ma della compilation di Drago mi rimane soprattutto Misadventures of Leonard Nimoy (il penultimo pezzo) questo brano a metà strada tra allucinazioni tradotte in musica e grandi show come il Rocky Horror, è ben interpretato con una voce che sembra fatta apposta per questo. E ad essere sincera la fa da padrone nella compilation.
A mio parere ognuno di noi potrebbe creare una propria compilation oppure aggiungere a questa dei pezzi che considera tra i migliori e probabilmente pochi coinciderebbero con quelli scelti da Drago. Questione di gusti. E in ogni caso in Dragonspring 2013 ce n'è un po' per tutti i gusti. A ciascuno la sua compilation o playlist che dir si voglia. Alessandra Terrone

Nadàr solo, nel nuovo disco fiducia nonostante tutto

Dopo un ottimo album d'esordio che ha consentito ai Nadàr solo di aprire i concerti di gente come Bugo, Pan del diavolo, Perturbazione, Amor fou e Teatro degli orrori, la band ritorna con Diversamente, come? (Massive arts / distribuzione Self). Undici canzoni che parlano di amori falliti per incapacità umana, di vite in standby ammalate di impotenza, della genuflessione emotiva e psicologica di un Paese, delle sue anime e del suo cuore in calma piatta. La musica, semplice, fresca, vitale (a volte solare e a volte cupa), racconta quel che si agita sotto il pelo di un'acqua apparentemente immobile, dove le correnti preparano la tempesta che verrà. Le canzoni suonano tutte un po' distanti, ammantate di quel riverbero naturale lasciato dai sogni poco dopo il risveglio, perché quando la vita fatica a darti quello che vorresti, tutto si allontana un po', sbiadisce e si lascia anticipare dalla sua eco.
La musica, in questo album, è il sentimento vitale irriducibile che ribolle sotto la cappa di quell'impotenza che i testi raccontano. Tra le canzoni, ce n'è una che forse contiene tutte le altre. Si intitola Il vento. Parla di un mondo in cui il vento ha smesso di soffiare. Un mondo afflitto dall'inerzia, in cui tutto ha smesso di muoversi. Una fotografia del sentimento che ha invaso la nostra epoca, di una generazione presa in mezzo tra un futuro angoscioso e un passato dimenticato, costretta a vivere in un presente cristallizzato e avaro di promesse. Pierpaolo Capovilla del Teatro degli orrori ha contribuito come autore a questo testo, portando con sé anche una visione sentimentale in senso stretto, inventando una doppia lettura che non c'era. E' venuto così ad abitare il brano una sorta di Don Chisciotte contemporaneo e malinconico, reduce smarrito dalla scomparsa di un amore e per giunta privato, insieme al vento, dei grotteschi mulini contro cui lottare. La canzone contiene un interrogativo che appartiene tanto a chi è rimasto troppo a lungo senza amore, quanto a chi per troppo tempo ha visto scomparire le redini della propria esistenza: e se un giorno il vento tornasse a soffiare, se tornasse l'amore, se la vita tornasse a chiamarmi, che cosa farei? Sarei pronto a ricominciare? Questo, in fondo, è l'interrogativo inquieto che attraversa, a partire dal titolo, l'intero album. E succede così che in Tra le piume qualche fremito di vita scalpiti a ritmo di colpi veloci di batteria, lontanamente derivanti dall'hardcore di New day rising degli Hüsker Dü. Succede anche che nel brano Le case senza le porte la cadenza da filastrocca bambinesca non susciti spensieratezza ma cupezza e rassegnatezza. Intensa anche La ballata del giorno dopo, a dimostrazione della diversità stilistica dei vari brani dell'album e la notevole padronanza di tutte le atmosfere proposte. Particolarmente ispirato e struggente anche il brano finale, I tuoi orecchini, ultimo fremito di un album che raccoglie perle dall'inizio alla fine.
Ascoltando questo album ricco di scalpiti di vita che contrastano l'immobilità, è inevitabile sentire la vita che ricomincia a bussare, e chiederci se abbiamo voglia di riprovarci, diversamente. I Nadàr solo, con le loro nuove canzoni, ci suggeriscono come fare. Marco Maresca

14 marzo 2013

Tying Tiffany - One ep - Rec. in 10 parole
















Nuovo EP fresco d'uscita per Tying Tiffany. L'Ep ha avuto, recentemente, una premiere d'eccezione su NYLON (Us) che ha pubblicato l'anteprima di One Second uno dei brani contenuti nel nuovo lavoro dell'artista italiana.

Recensione in 10 parole: seducente (Tying Tiffany sa cos'è la seduzione e la mette in pratica attraverso le sue canzoni e i video), cupa elettronica (il synth caratterizza questo ep nel quale le atmosfere sono piuttosto cupe), dark (a proposito del mood che caratterizza l'ep), ipnotico (le canzoni si basano su una struttura ossessiva e ripetitiva), coreografie (perfette per il videoclip di One second), mani (disegnano figure immaginarie, nel video, in un'alternanza di corpi magrissimi e androgeni), moda (l'artista porta la sua spiccata personalità di ex modella nella musica che propone diventando essa stessa icona), numero (One si ripete in una sequenza logica-illogica), Texas (il luogo scelto da Tying per promuovere l'Ep appena uscito). Alessandra Terrone

Voto: **/


Tracklist:
One second
One girl
One place
One end


"Senza etichetta", golosa opportunità per emergenti

Molte sono le strade percorse dai musicisti emergenti per farsi conoscere al pubblico, ma il festival “Senza etichetta” è una delle occasioni più ghiotte a cui un artista può ambire. Giunto alla sedicesima edizione, l’evento è organizzato dal Civico Istituto Musicale F.A. Cuneo, a Ciriè e presenta alla giuria un mostro sacro della canzone italiana come Mogol.
Magari questo appuntamento non potrà dire nulla ai più, eppure da qui sono passati artisti del calibro di Niccolò Fabi, Madaski, Elio e le Storie Tese e i Pooh. E a proposito di vincitori che in seguito sono passati alla notorietà, la vincitrice dello scorso anno Eleonora Bosio, in arte Cixi, è giunta addirittura tra i primi 4 finalisti di X-Factor: segno che questo premio può aprire delle strade davvvero interessanti. Per chiunque fosse interessato le iscrizioni sono aperte fino al 20 aprile. I candidati forniranno una demo alla giuria e, qualora dovessero essere ricontattati, avranno la possibilità di giocarsela per la gran finale, fissata in data 26 maggio al Teatro Tenda di Villa Remmert, sempre a Ciriè. L’artista vincitore del concorso si potrà guadagnare come premio una borsa di studio da oltre 3mila euro mentre, per quanto concerne le band, il complesso che la spunterà verrà premiato con la partecipazione al Tavagnasco Rock 2014, festival conosciuto in Piemonte e che apre anche le porte alla Siae. Insomma, un’opportunità vera per chi vuole costruirsi presente e futuro nel mondo della musica, che ha sempre bisogno di nuove belle speranze. Per info http://www.senzaetichetta.com/. Marco Pagliari

Electric Sarajevo - Madrigals - Rec. in 10 parole
















Madrigals
è il disco d'esordio degli Electric Sarajevo, band capitolina i cui membri provengono da realtà musicali già affermate nel territorio (Muven, Barnum freak show, Kardia).

Recensione in 10 parole: premessa (doverosa: siamo qui per promuovere la musica degli artisti emergenti, ma se non ci convince abbiamo il dovere di dirlo), inglese (è il vero problema dell'album: se fai un disco in cui sono in inglese addirittura i credits, fai in modo almeno che non ci siano errori di grammatica), testi (in inglese pure quelli, ma palesemente scritti da italiani), pronuncia (anch'essa problematica), elettronica (c'è e funziona abbastanza bene), produzione (buona, un po' esterofila), genere (post-rock con tendenze dark, simile per certi versi ai Vanity, ma meno originale proprio perché l'album è uscito più tardi), voce (non eccezionale, con qualche tentativo maldestro di scream nel brano If you only knew), non convince (mi dispiace perché a onor del vero l'album si presenta anche abbastanza bene e ha delle velleità). Marco Maresca

Voto: */

Tracklist:

1. Lost, impero
2. Watercolours
3. A revelation
4. City dream
5. The worst lover
6. Teresa Groismann
7. The sky apart
8. The madrigal
9. If you only knew

Suoni ReALi, il contest dell'Arci per dare un palco ai talenti musicali. Fino al 31 marzo le iscrizioni

Suoni ReALi è il vero investimento sul futuro della musica italiana che l’Arci promuove per dare voce e, soprattutto, un palco prestigioso ai nuovi talenti della musica emergente. Il contest organizzato da ARCI ReAL (la Rete Arci per la musica dal vivo) giunge alla sua seconda edizione, e come lo scorso anno si rivolge ai giovani emergenti under 30 con l’obiettivo di dare un impulso, anche in tempi di crisi, alla creatività giovanile in ambito musicale, mettendo a frutto il lavoro quotidiano dei circoli e le relazioni costruite nel tempo con media, promoters, produttori e artisti, con l'obiettivo di lavorare per dare un futuro alla musica in Italia.
Le selezioni dei partecipanti al bando di concorso Suoni ReALi si comporrà di due fasi: una prima fase di ascolto dei brani indicati dai concorrenti su piattaforma web (youtube, soundcloud, facebook, my space...) ed una seconda fase live. La prima fase, relativa all'ascolto dei brani presentati, avverrà a partire dalla data di scadenza del concorso e porterà alla selezione di 18 semifinalisti che verranno annunciati il 10 aprile 2013.
La seconda fase avverrà nell'arco di 8 appuntamenti dal vivo articolati fra semifinali e finali, che si terranno in otto regioni diverse all'interno di Circoli appartenenti al Circuito Arci ReAL e che porteranno alla selezione dei quattro vincitori che entreranno nel roster Arci Real. Questi ultimi avranno la possibilità di usufruire dell'organizzazione di vere e proprie tournèe nei Circoli Arci che in tutta Italia aderiscono al circuito, aprendo, nel corso della stagione 2012 / 2013, anche i concerti degli artisti più affermati.
Verrà inoltre selezionato un quinto progetto che riceverà il Premio Speciale MEI, con la possibilità di esibirsi al Supersound di Faenza a settembre 2013.
Due dei progetti selezionati avranno inoltre l’opportunità di esibirsi in un evento off di “Mediterranea 2013” (www.bjcem.org), la Biennale dei Giovani Artisti dell'Europa e del Mediterraneo (Ancona – 6 giuno/7 luglio 2013), mentre tutti e cinque i vincitori parteciperanno al festival nazionale “Collisioni 2013” (www.collisioni.it).
Infine verrà realizzata una compilation contenente i brani dei 18 semifinalisti che sarà distribuita su tutti i digital stores e sul nuovissimo Spotify grazie alla partnership con Believe, leader indiscusso nella distribuzione digitale a livello europeo.
Da segnalare tra i main partners, oltre a MEI – Supersound e Believe, anche la prestigiosa presenza di Puglia Sounds.
A questo link è possibile scaricare il modulo di adesione: http://www.libellulamusic.it/ArciReAL/IscrizioneSuoniReALi2013.zip. Per partecipare è necessario compilarlo ed inviarlo per e-mail all’indirizzo lamusicanongiraintorno@arcireal.com entro il 31 marzo 2013. Sempre allo stesso link è possibile reperire anche il regolamento del concorso.
Selezionerà le band vincitrici un comitato artistico di esponenti di rilievo del mondo della produzione e promozione musicale (fra gli altri: Giordano Sangiorgi - MEI, Fabrizio Galassi - www.zimbalam.it, Enrico Deregibus -la leva cantautorale degli anni zero, Felice Liperi – Radio Rai 3, Pietro Camonchia -Metatron Group, Marco Trulli -BJCEM, Marco Notari – Libellula Music), insieme ai direttori artistici della Rete ARCI Live.

12 marzo 2013

I Ministri mettono il turbo con il nuovo disco, meno ammiccante ma più popular

Lo avevano annunciato alla stampa quest’estate, all’indomani dello Sziget Festival - l’evento che è più in voga per i concerti di rock alternativo - e passati l’autunno e l’inverno tra la sala prove e la sala d’incisione Officine Meccaniche a Milano, ecco il nuovo album dei Ministri. Per un passato migliore, quarta fatica di Davide “Divi” Auteliano, Federico Dragogna e Michele Esposito, prosegue l’avventura del trio che nel giro di pochi anni si è fatto conoscere al pubblico grazie a due dischi capolavoro come Tempi bui e Fuori e ad esibizioni live al cardiopalma, ponendosi come band di riferimento dell’attuale panorama rock italiano.
Premessa: a differenza dei due precedenti lavori, questo non è un concept-album. D’accordo, i testi restano sempre ispirati dalla rabbia giovanile e dal senso di evasione dalla controversa realtà contemporanea, ma stavolta non c’è un vero e proprio filo conduttore tra le 13 canzoni. Eppure il sound è sempre quello: immediato, aggressivo, trascinante, con qualche attimo di respiro quando serve. E il risultato è comunque soddisfacente.
A partire da Mammut, bolide in cui si spazia in 4’ tra Muse, Foo Fighters e anche un po’ di Litfiba, accompagnato da un testo forse profetico sulla situazione sociale italiana (“ma uno di noi si sbaglia uno di noi si schianterà / con la stessa voglia e con la stessa rabbia”). E come non citare Mille settimane? Una frenetica accelerazione in cui Divi rivanga il suo passato da cantante hardcore. I testi si fanno ancora più crudi nella strabiliante La pista anarchica (“Ragazzo di trent’anni si butta dal balcone / Uomo di trent’anni scippa vecchia alla stazione / Dio ha quattordici anni e non è neanche il suo vero nome / Fateci cadere tutti così vediamo poi chi resta in piedi”), nonostante questa suoni come una ballata semi-acustica dal tocco melodico.
Ma quella che davvero è la caratteristica ricorrente del disco è la ricerca di inni corali pop-punk: sembra quasi irriverente dirlo, ma i Ministri giocano molto su pezzi basati su un ritmo sostenuto ma che hanno un impatto irresistibile. Il singolo Comunque ne è la pura dimostrazione, così come l’intuizione a fulmicotone Le nostre condizioni (“io non ti saluto finché non te ne vai / io non firmo niente finché non te ne vai / io ti tengo sveglio finché non te ne vai / finché non te ne vai perché non te ne vai ora”). La linea melodica raggiunge il livello massimo in Spingere, che ricorda parecchio gruppi come i My chemical romance e addirittura i Blink 182 (!!!): una canzone seria candidata ad essere il loro prossimo hit single.
Rock orecchiabile, perfetto per le orecchie dell’ascoltatore (La nostra buona stella è un altro potenziale pezzo da 90 per i live). L’elettronica presente in Fuori scompare totalmente e anche quel poco di psichedelia che si era sentito nel lavoro precedente compare solo nella struggente I tuoi weekend mi distruggono, il brano dal quale è tratto il titolo dell’album. Chiudiamo parlando delle due ballate che si segnalano come pietre miliari: la stralunata e malinconica Se si prendono te (“siccome l'aria qui è sempre la stessa / chi vince non sa mai che cosa vince / e ci scanniamo per delle mosche che / sembravano lucciole”) e l’epilogo intimista ma allo stesso tempo visionario Una palude completano pregevolmente il quadro.
Sostanzialmente Per un passato migliore è un album che prosegue le intenzioni di Divi e soci nel procacciare un sound più mainstream rispetto al passato. Dall’hardcore degli esordi - di cui le tracce sono rimaste più che altro nei tocchi energici di Esposito e nelle bordate di Dragogna, ma stiam parlando di tutt’altra storia! - si è giunti ad un rock-pop-punk che li proietterà ulteriormente verso il successo di massa. Ciò nonostante, il loro stile così così energico continua a mettere tutti d’accordo, dai fan consolidati a chi non li conosce ancora. Non è il loro miglior disco ma la strada è ormai tracciata: i Ministri sono destinati a diventare ulteriormente un gradito punto di riferimento nel rock italiano, purché non eccedano nella loro trasformazione pop.  Marco Pagliari

Denti che ballano il tango. Un racconto ispirato da un inaspettato videoclip

Quel pomeriggio mi interessava solamente soddisfare le mie necessità vitali.
La città era ancora incagliata in una secca di fine agosto. Il caldo opprimente. Le zanzare alimentate dall’afa padana sembravano killer agguerriti e pronti a tutto. Il divano, evidentemente, non rappresentava un rifugio abbastanza sicuro per sfuggire ai loro piccoli flagelli.
Lentamente, a carponi, raggiungo il rubinetto gocciolante, ma il liquido che ne esce è imbevibile, ricorda vagamente l’acqua di un lago salato dell’Asia centrale, quelli che sulle carte geografiche sono colorati di viola, inospitali solo a guardarsi.
Arrivano le 16, il soggiorno si riempie con le prime ombre. Le ombre sono alleate delle zanzare e la guerra si fa rapidamente impari.
Esco di casa. Scendo le scale di marmo che mi porteranno all’aria aperta, alla strada. L’impatto con il cemento e con la luce bianca è come un fiume che sfocia ad estuario nel mare. Intontisce, confonde.
«Buon giorno, ha passato bene le ferie?»
Un fastidio furtivo si impossessa subito della mente.
Ci mancava solo il signor Borditti!
Vittorio Borditti era un uomo sui 70. Magrissimo. Da quando anni fa lo avevano lasciato a casa dal suo incarico di custode notturno in una casa editrice aveva completamente perso la testa. Beveva. Ma lo faceva in garage, per non farsi vedere dalla moglie, una donna bisbetica che al contrario di lui non usciva mai di casa. Per questo era una consuetudine incontrarlo.
Fumava pesante. Lo faceva tanto intensamente che le vene, in particolare quelle del collo e delle mani, avevano assunto una vitalità propria. Poi andava in giro seminudo, con dei pantaloncini color cachi corti e aderenti; una canottiera bianca di cotone, con le spalline strette.
Oggi aveva anche un cappello di paglia che gli donava un aspetto più simile a quello di uno spaventapasseri, rispetto al maniaco che rappresentava il suo standard di riferimento più usuale.
«Sì grazie, tutto bene. Sono tornato ieri», mi svincolo, proseguendo a passo svelto nella speranza che non faccia altre domande, tipo sulla mia fidanzata, o cose del genere.
Pericolo scampato, interrogatorio post ferie del signor Borditti evitato, almeno per il momento.
Respiro profondamente e proseguo spedito.
I viali che conducono da casa mia al centro sono percorsi da un vuoto assordante: non un’auto, non una persona. Da dietro le imposte delle finestre si sentono solamente linguaggi non comprensibili che rimandano ai domestici impieghi di famiglie straniere.
Mi addentro nel parco, distendendomi in fretta nell’unico punto dove l’erba sottile non è stata liofilizzata dal sole. È verde e profumata. La schiena aderisce completamente al terreno cercando un’osmosi ristoratrice. Poi sono gli uccelli a donarmi un minimo di armonia nel pomeriggio ancora afoso e inspiegabilmente sempre più dolente.
Eccomi. Inerme persino di fronte ai bambini che inavvertitamente mi tirano una pallonata. Cerco di ridarmi un tono e proseguo nel mio gironzolare verso il centro.
Chissà se durante la mia assenza estiva è cambiato qualcosa?
Guardo con aria interrogativa i monumenti e le vetrine dei negozi che ancora espongono i manifesti dei saldi.
«Lele», mi sento chiamare.
«Ehi, siamo qui! Come stai?»
Francesca è una mia ex compagna di scuola. Alta più di me, una chioma bionda leonina e innaturale. Un enorme viso rotondo, come una luna piena. Nonostante questi difetti, una cura impeccabile e maniacale della persona la rendeva oltremodo piacevole. Con lei Alessia, la sua amicaridens, altrettanto bella, ma macchiata da un continuo ghigno che la faceva sembrare schizofrenica.
«Ma sai che Virginia si sposa?»
Virginia, un’altra nostra compagna, non era propriamente un fiore. Il suo matrimonio, a quanto pare, era un evento che suscitava un certo fermento nella popolazione femminile che aveva frequentato il nostro liceo.
«Sì, lo avevo sentito…», le altre parole mi muoiono in gola.
«Ma è un sacco che non ci vediamo, cosa mi racconti di te? Hai la ragazza?»
Forse era meglio se restavo tra le grinfie del mio vicino di casa.
La mia espressione credo nasconda fastidio!
«Io tutto bene, più o meno. Sai, sto lavorando, le solite cose… insomma»
«Anche io sto lavorando. Dalla prossima settimana mi trasferirò a Milano in un appartamento in centro. Mi hanno da poco assunta in una società di revisione dei conti dove guadagnerò 2.800 euro al mese più i benefit».
Con un certo sforzo trattengo una smorfia che mescola invidia e disapprovazione per il fatto che io con tre lavori tiro su a malapena 750 euro al mese. Ma poco importa.
«Non mi hai detto se hai la ragazza? Ormai tutti sembra che vogliano sposarsi e mi consolerebbe davvero molto sapere che non sono l’unica ad essere rimasta libera»
Accetto questa intromissione nel mio privato con una certa rassegnazione e incasso il colpo.
«Sai, preferisco volare di fiore in fiore. Comunque, se ti consola, ti dico che non ho la ragazza».
Non mi sembrava, questa, una frase così divertente, ma evidentemente lo era.
Alessia, l’amicaridens, si stava infatti quasi strozzando con un salatino, tanto da essere costretta a sputarlo richiamando gli sguardi indiscreti degli altri avventori del bar con dehor nel quale stavano sorseggiando il lussuoso aperitivo.
Mentre aspetto che Alessia finisca di grufolare, mi accorgo che con loro c’è pure una terza ragazza. Mi colpisce subito per la posizione dei suoi occhi: sono laterali, come uno di quei pesci rossi dai bulbi sporgenti. Poi ha la faccia oltremodo pelosa. Inscopabile.
Che stupido, le ragazze che vogliono sembrare belle si circondano sempre di amiche meno appariscenti. È una regola vecchia come il mondo!
Superata la raffica di domande su tutti i conoscenti comuni – inutile dire che tutti gli elementi trapelati sarebbero stati usati sia contro di me sia contro i malcapitati protagonisti del nostro parlare – riesco a divincolarmi, salutando loro e i calici ricolmi di piñacolada e ombrellini multicolore.
Torno a casa sconsolato. La mia situazione emotiva non sta affatto migliorando. L’incontro con Francesca e Alessia mi ha fatto sentire oltremodo sfigato.
Mi accoccolo di nuovo sul divano. Presto diventa tutto appiccicaticcio a causa del sudore. Accendo la tvu. Come sottofondo scelgo Mtv. Mi fa cacare Mtv, ma sono stanco e voglio solo sentire una voce che mi tenga compagnia.
C’è un clip con ambientazione metropolitana: un ragazzo biondo e butterato, con una camicetta a scacchi, giace in una strada della periferia milanese.
Sembra dolente. Poi i passanti lo calpestano nell’indifferenza più totale, e lui - sempre sdraiato - incomincia a levitare.
Canta “Non mi parli da giorni e comprendo/ quello che provi dentro poiché/ Ti ho colpito in centro all’orgoglio/ credevo di vincere…”.
Che porcata. La respiro e la trattengo.
Inconsciamente.
Come se in questa favola nascente ci fossi anche io.

Roberto Conti

iVenus - Dasvidanija - Rec. in 10 parole















Dasvidanija (DreaminGorilla records / Audioglobe) è il secondo full-lenght album dei giovanissimi savonesi iVenus. Un sincero "diario dei vent'anni" impreziosito dalle collaborazioni con Michele Bitossi (Numero 6, Mezzala) e Simone Bertuccini (Ex otago).

Recensione in 10 parole: esplosivo (sotto tutti i punti di vista), elettrico, tirato, tastiere (incredibili e devastanti, in tutti i brani), distorto, riprocessato (tastiere, chitarre, basso, voce: tutto è filtrato, elettronicizzato, rielaborato), giovanissimi (i componenti della band, eppure già così padroni dei propri mezzi), booklet (azzeccatissimo), punto debole (ce n'è uno e purtroppo è molto grosso: l'uso estremo degli effetti copre totalmente la voce, rendendo impossibile l'ascolto dei testi). Marco Maresca

Voto: ***/

Tracklist:

1. POP (Persistent organic pollutant)
2. The great capitombolo
3. Settembre
4. C'est la vie, mon amie
5. Mangianastri
6. Grazielle
7. Ventricoli
8. Rembrandt
9. Dasvidanija

11 marzo 2013

Francesco Costantini - Canzoni per disillusi - Rec. in 10 parole














Canzoni per disillusi (Twelve records) è l'esordio discografico del cantautore abruzzese Francesco Costantini. E' un EP di cinque brani i cui stili variano dalla ballad, al pop, al folk-rock.

Recensione in 10 parole: titolo (attira l'attenzione ed invita all'ascolto), contaminazioni (Bugo in Come dicevi tu, Negrita in Gioca Lola e Non riesco a dargli un senso, ma ce ne sono tante altre), qualità (ce n'è e lascia ben sperare per il futuro), originalità (purtroppo manca un po' e lo sviluppo dei brani è abbastanza classico e prevedibile), voce (gradevole), copertina (molto azzeccata, con quel carrello della spesa in mezzo alle sterpaglie), Caos (un brano che non mi è piaciuto), Gioca Lola (un brano che mi è piaciuto), futuro (aspettiamo il prossimo album per capire bene cosa può fare Francesco Costantini, questo EP svela qualcosa ma non tutto). Marco Maresca

Voto: **/

Tracklist:
1. Come dicevi tu
2. Canzone piccola
3. Gioca Lola
4. Caos
5. Non riesco a dargli un senso