27 ottobre 2010

I Ministri come Antonella Clerici, parola di commessa

In questo che è già un rush finale verso il traguardo del Natale, il disco dei Ministri veleggia nelle prime posizioni della batteria riservata alla musica indie. Anche la commessa della Fnac conferma che stanno andano forte. Mi ha detto: "Se Antonella Clerici riesce a vendere migliaia di copie del suo libro con la ricetta della bistecca alla milanese, non vedo perchè non debbano vendere anche i Ministri"... Cosa avrà voluto dire?!
Io nell'ascolto sono un po' combattuto. I pezzi mi prendono molto, hanno un interessante appeal comunicativo, anche se hanno un retrogusto di adolescenza che non riesco a catalogare come elemento positivo o negativo a priori.
Fuori è orecchiabile ed immediato: non mancano i temi impegnati, come l'ambientalismo (La petroliera), l'isolarsi per sfuggire alle mestizia della società che ci circonda e alla guerra (Gli alberi), le aspettative disilluse (Vestirsi male). I Ministri sono abili nel toccare le corde dell'emotività con parole semplici, dirette. Scelgono, per farlo, uno stile meno aggressivo rispetto ai dischi precedenti, più malinconia e un tentativo di avvicinarsi al cantautorato, smorzato però dal timbro vocale di Davide Auteliano che con la musica testualmente impegnata non azzecca un gran che.
Nei suoni si fa spazio una componente elettronica che prima non c'era costituita da tastiere e batteria elettronica. L'evoluzione musicale c'è, ma nulla dell'impasto sonoro che aveva determinato il successo della band è stato tolto: solo aggiunte, direi abbastanza azzeccate.
Non mi fa impazzire l'apertura, Il sole, con un accenno di stoner. Episodi particolarmente indovinati risultano invece Che cosa ti manca, Vestirsi male e il singolo di lancio Gli alberi che mantengono una attitudine grintosa, arricchita da variegature pop che le rendono godibilissime.
Altri pezzi risultano più interlocutori: Una questione politica, ad esempio, dovrebbe continuare il "discorso" incominciato con Tempi bui, ma il messaggio si tronca e rimane sospeso in una serie di slogan inconcludenti, anche musicalmente si è tentato di ricreare atmosfere dilatate e psichedeliche (vedi certi Verdena), assolutamente senza successo.
Anche Tutta roba nostra è un pastone di generi che mi dice poco. Forse l'episodio peggiore.
Deliziosa invece l'ultima traccia Vorrei voderti soffrire, seguita da una ghost track splendida che avrebbe a pieno titolo meritato di essere inserita tra i brani "titolari" del disco.
Fuori si conferma un album interessante, dal gradimento immediato, anche se l'errore più eclatante potrebbe essere quello di sopravvalutarlo in partenza. Roberto Conti

26 ottobre 2010

Ecco i nuovi Tiromancino che sembrano tanto Max Gazzè...

I fan dei Tiromancino possono finalmente gioire perchè è uscito da poche ore, dopo sei anni di silenzio, il loro nuovo album di inediti, intitolato L'Essenziale anticipato dal singolo omonimo che è in massiva rotazione in tutte le radio ormai da diversi giorni. Il disco al quale ha collaborato anche Fabri Fibra è stato realizzato tra Roma e Los Angeles. Dopo le esperienze come regista, Zampaglione torna cosi' al suo primo amore una raccolta di nuove canzoni essenziali e stilisticamente asciutte, ripartendo dalla sua grande passione, le chitarre. Torna poi, come coautore dei testi, il padre di Zampaglione, Domenico, già al suo fianco in un brano del precedente L'alba di domani.
«In un periodo così caotico - ha spiegato il band leader, Federico Zampaglione in una recente intervista - dove a regnare pare che siano solo il superfluo e l’esteriorità, l’essenziale penso che sia un concetto di cui necessitano tutti. Il termine ovviamente descrive anche il modus operandi con cui sono stati composti gli arrangiamenti. Sono voluto tornare a suoni semplici».
Il piano e le tastiere hanno lasciato spazio ad un uso massiccio della chitarra, «che rimane - spiega il cantante - il mio strumento preferito. Il piano invece mi aveva stancato, perché enfatizza certe caratteristiche della mia produzione artistica, trasformando la malinconia in tristezza».
Il primo singolo estratto dal disco percorre una tranquilla pista ciclabile pop, con un incedere sapiente e un finale di tromba. Ascoltandolo in radio ho avuto il dubbio si trattasse di un nuovo pezzo di Max Gazzè: la struttura è infatti molto simile a quella di La nostra vita nuova, ma al di là dei paragoni con questa o con quella canzone (nel web si sprecano discutibili accostamenti che vanno da Luca Carboni ai Bluvertigo) è la vocalità ad avvicinarsi moltissimo a quella di Gazzè.
Tutto il disco è pervaso da un'atmosfera malinconica, marchio di fabbrica dei Tiromancino.
«Sto vivendo un periodo molto positivo della mia vita - ha aggiunto il Zampaglione in una intervista che correda il lancio del disco - sia sotto il punto di vista professionale che sotto quello degli affetti. Ciononostante però esiste sempre dentro di me un fondo di malinconia, che è poi la molla che dà il via alla creatività. Sarà anche perché io vengo dal blues».
Tracce di blues ce ne sono anche in questo nuovo lavoro, per la registrazione del quale Zampaglione si è avvalso della collaborazione di musicisti americani (la preproduzione è a cura di Alessandro Canini e Andrea Moscianese) e gli studi Henson di Los Angeles, dove il cantante è stato affiancato dal project manager Saverio Principini. «Amo molto gli Stati Uniti - ha spiegato il cantante - e attraverso questi musicisti ho voluto dare un sound più anglosassone al progetto. Soprattutto per la parte delle chitarre, poi, mi sono ispirato a tutto il repertorio degli anni ’70, che va dai Cream ai Led Zeppelin». Il disco nel suo complesso si lascia ascoltare con un certo piacere, anche se il singolo di lancio rappresenta forse proprio uno degli episodi più meritevoli.
Non si distinguono certo per originalità i temi delle canzoni: c'è l'amore tormentato di Quanto amore, ma anche riflessioni sulla società con L'inquietudine di esistere il brano realizzato insieme a Fabri Fibra (dopo l'esperienza di Le incomprensioni), non manca l'astuto brano sociale, Migrantes. Nonostante Zampaglione si sia slegato dalle majour gli ingredienti per fare di L'Essenziale un discopanettone ci sono tutti. r.co.

Questa la track list

Mondo imperfetto
Se tutte le avventure
Esiste un posto
L'essenziale
La strada da prendere
L’inquietudine di esistere
Quanto ancora
Migrantes
Intervallo essenziale
Le mie notti
Vite di ordinaria follia

25 ottobre 2010

Torna Corona, la regina nera dei dancefloor

Y generation, l’atteso nuovo album della regina della dance anni ’90, Corona, è arrivato alla prima posizione della classifica di iTunes dedicata alla "migliore" musica dance sorpassando tanti altri nomi delle hit più ballate nelle discoteche e nei locali. Gli appassionati del genere, non più giovanissimi, sicuramente ricorderanno i grandi successi della cantante, da The rhythm of the night (ripresa anche in chiave alternative dai liguri ExOtago) a Baby Baby, che, ormai quasi 20 anni fa, facevano ballare migliaia di adolescenti italiani. Complice del successo di Y generation è sicuramente l’ultimo singolo estratto, Saturday, che in questo periodo sta spopolando nelle radio e sul web con una nuova divertente versione, impreziosita dalla collaborazione con Alberto Pernazza, il famoso coniglio "rap" freestyle lanciato dalla trasmissione "Chiambretti Night". Tutto fa brodo, in tv, così come nella discografia. g.oc.

21 ottobre 2010

Manic Street Preachers al King George's Hall, Blackburn

Se aspettare 12 anni per vedere la propria band preferita dal vivo vi sembra assurdo, “this is my truth, tell me yours”: a me è capitato. I Manic Street Preachers, band gallese attiva dalla fine degli anni '80 e considerata tra le più importanti del genere britrock, è osannata in patria ma quasi ignorata nel nostro paese dove non suona dal 1998 (si sa che il pubblico italiano è molto influenzabile dalle mode). E proprio in quell'anno, quando uscì il loro quinto album trainato dal famoso singolo If you tolerate this your children will be next, io me ne innamorai perdutamente andando poi a ritroso nella loro storia e scoprendo una band eclettica e originale.
Ora che i Manics sono giunti al decimo album, intitolato Postcards from a young man, ho colto l'occasione per assistere ad un loro concerto nel Regno Unito, dove stanno registrando il tutto esaurito in quasi ogni data. Sabato 9 ottobre ero quindi a Blackburn, prima fila nel teatro cittadino dove, neanche a dirlo, hanno fatto sold out.
Giovani in divisa da fan (giacche leopardate o mimetiche e boa di struzzo, eyeliner e brillantini che il bassista Nicky Wire usava quando ancora gli emo erano bimbetti con la candela al naso), ma anche persone di mezza età e una quantità incredibile di “bonkers”: un pubblico eterogeneo per una band che lo è altrettanto.
Ad aprire il concerto i British Sea Power, band originaria di Brighton che colpisce soprattutto per la grande energia: suoni martellanti e melodie ipnotiche scaldano un clima già rovente.
Poi ecco entrare James Dean Bradfield, Sean Moore e uno dei miei idoli assoluti di gioventù (e non soltanto) Nicky Wire, mentre la scenografia prevede manichini coperti da boa di struzzo e le immancabili bandiere con il drago rosso del Galles. La prima traccia è l'inno punk You love us, brano estratto dall'album di debutto dei Manics, quando in piena epoca new wave osarono sfidare il trend musicale con canzoni che parlavano di consumismo, politica e arte.
La voce in ottima forma di James domina una musica che spazia dal britpop delle più recenti Autumn Song e It’s Not War (Just The End Of Love) al punk scatenato delle intramontabili Stay Beautiful e Faster. L'energia di una band formata ormai da quarantenni è incredibile, da far vergognare molti sbarbatelli che pretendono di suonare punk oggigiorno.
Il gruppo è accompagnato dal tastierista e da un secondo chitarrista che viene però rigorosamente tenuto in disparte: dopo la misteriosa sparizione di Richey Edwards i Manics non hanno mai voluto rimpiazzarlo ufficialmente ma soltanto in alcune esibizioni live.
Uniche cover dello spettacolo sono Suicide is Painless, sigla di M*A*S*H che è stato anche un loro singolo nel 1992 e la prima strofa di Into the Valley degli Skids, che fa da intro ad uno degli inni dei Manics, Motown Junk. Ultimo pezzo in scaletta A Design for Life, brano epico che con un incipit marxista riassume il pensiero dei Manics “we don't talk about love / we only wanna get drunk”.
Giusto il tempo di ottenere il poster del tour al box office, incontrare i miei idoli facendomi firmare la copertina del nuovo album e parlare un pò con loro (sorry, nessuna data in Italia in previsione) e poi tornare in Italia... meno male che il Paese grigio dicono sia la Gran Bretagna.
Per i Manics fans: è attiva dal 2004 la loro community ufficiale italiana, la trovate su http://manics.forumfree.it/. Altre foto sono disponibili su http://www.debored.it/.
Diana Debord

20 ottobre 2010

Le luci della centrale elettrica, il nuovo disco e il rischio di non avere più nulla da dire

Canzoni da spiaggia deturpata è un disco che mi aveva da subito commosso, per la sua urgenza comunicativa e per lo spleen che trasmetteva. E' uno dei pochissimi album che mi sono fatto autografare, lo trovavo geniale per l'incrocio di umori e di immagini sonore che facevano da impalcatura alla storia scolorita di molti giovani (e non solo) persi nella desolazione degli Anni Zero, anni un po' neri nei quali, citando lo stesso Brondi, non sapremo cosa raccontare ai figli che non avremo, tra lavoro che manca, promesse disilluse, riferimenti politici assenti.
E pazienza se al di là dell'impatto comunicativo risulta difficile esprimere un giudizio sui singoli brani in quanto la sequenza scorre come una traccia unica senza elementi che demarchino il confine tra una canzone e l'altra.
Poi le cose sono cambiate... e per Vasco è arrivata una ribalta che lo ha portato ad abbandonare l'intimo live in compagnia di Giorgio Canali (a cui va peraltro ricordato il merito di aver plasmato il disco d'esordio) a favore di improbabili set con archi e discutibili reading. Parallelamente al disco usciva infatti in libreria "Cosa racconteremo di questi cazzo di anni zero" (d'apprima con una piccolissima casa editrice e successivamente per Baldini, Castoldi, Dalai) che ripropone i contenuti del blog del cantautore ferrarese.
Nel frattempo arrivava anche il Premio Tenco e la popolarità del "nostro" cresceva ancora, così come le aspettative per un eventuale secondo lavoro.
Ora da qualche giorno è stato ufficializzato che il nove novembre uscirà il nuovo disco Per ora noi la chiameremo felicità, anticipato dal singolo e videoclip Cara catastrofe, brano già proposto dal vivo in più occasioni che prosegue sul binario di Canzoni da spiaggia deturpata senza discostarsene di nemmeno un centimetro. Il video peraltro ammicca al pubblico teen e piacerà soprattutto a quelle ragazzine che vanno nei locali ad ammazzarsi di foto, come se esistessero solo attraverso la loro immagine.
Nel disco suonano, tra gli altri, Stefano Pilia dei Massimo Volume, Rodrigo D'Erasmo degli Afterhours ed Enrico Gabrielli già con i Calibro 35, Vinicio Capossela e Mike Patton.
Una sorta di collettivo che in alcune occasioni viene parzialmente ricomposto anche dal vivo.
"Oltre al video - annuncia Vasco Brondi - sul sito www.leluci.net ci sono i primi post di ‘una guerra lampo pop', un blog di avvicinamento al disco".
Dalle avvisaglie che arrivano, temo che questo lavoro possa rivelarsi deludente, i temi sembrano essere esattamente gli stessi, non colgo una significativa evoluzione sonora, nè di genere. Spero di sbagliarmi, perchè non c'è nulla di peggio di un disco che non abbia nulla da dire, fatto uscire prima di Natale giusto per fare un po' di cassa. Attenderò con ansia l'uscita nei negozi (ai media minori come il nostro non vengono nemmeno più inviati in anteprima i dischi, tanto ormai delle recensioni non frega niente a nessuno, meglio limitarsi al comunicato stampa o agli ascolti in anteprima su Xl o, se va male, su RockIt, il resto conta quasi zero).
“C’è una frase di Leo Ferrè che mi ha colpito, 'La disperazione è una forma superiore di critica, per ora noi la chiameremo felicità'. Ecco.. il titolo arriva da lì”. Spiega Vasco Brondi nella nota di presentazione del cd, e prosegue: “Le canzoni parlano di lavori neri, di licenziamenti di metalmeccanici, di cristi fosforescenti, di tramonti tra le antenne, di guerre fredde, di errori di fabbricazione, dei tuoi miracoli economici, di martedì magri e di lunedì difettosi, di amori e di respingerti in mare, insomma delle solite cose. C'è questa orchestra minima, di quattro persone in una stanza, di archi negli amplificatori, di chitarre distorte, di organi con il delay, di acustiche pesanti e di parole nei megafoni”.
Le nuove canzoni sono: Cara catastrofe, Quando tornerai dall'estero, Una guerra fredda, Fuochi artificiali, L'amore ai tempi dei licenziamenti dei metalmeccanici, Anidride carbonica, Le petroliere, Per respingerti in mare, I nostri corpi celesti, Le ragazze kamikaze.
Roberto Conti

18 ottobre 2010

Edda è tornato, nervosamente in bilico tra dolcezza e disperazione

Stefano Rampoldi, in arte Edda. Qualcuno di voi forse se lo ricorderà nei Ritmo Tribale, band troppo spesso dimenticata cui il rock nostrano degli anni '90, a cominciare dagli Afterhours, deve moltissimo. Conclusa l'esperienza coi RT nel 1996, Edda piomba in un buio periodo di ricerca interiore, passando attraverso tossicodipendenza, comunità e cantieri. tredici anni dopo, nel 2009, Edda interrompe il silenzio tornando con Semper Biot, un disco acustico sincero, sofferto e struggente, straordinario sia per gli arrangiamenti minimali ma articolati e mai banali, in cui si intersecano violini, tastiere, mandolini e carillon sopra la classica base voce-chitarra, sia per le liriche fortemente autobiografiche, cariche di una forza poetica inusuale per il cantautorato odierno, dove Edda, fedele al titolo dell'album, non ha paura di mettersi davvero a nudo con cruda ironia (Milano: "Sapessi com’è strano/Essere tossica dipendente di Milano/Bucarsi tra la gente che ti guarda e dice/sto deficiente è di Milano”). Il particolarissimo stile canoro di Stefano, a tratti quasi androgino, sempre nervosamente in bilico tra dolcezza e disperazione, grido trattenuto e convulsione, chiude il cerchio regalandoci un disco che sorprende e arriva dritto al cuore (non per niente lo fa arrivare tra i finalisti del premio Tenco).
A conferma di un artista in vero stato di grazia, arriva nel settembre 2010 In Orbita, un ep live registrato a marzo negli studi di Radio Capodistria. Edda dal vivo è ancora più nudo e graffiante (complice l'organico ridotto), la spontaneità prende il sopravvento sopra le strutture rigide della forma-canzone e si trova così spinto a rielaborare sul momento i propri pezzi, in una irripetibile esecuzione che già dal suo incipit, una cover di Suprema di Moltheni, dà prova di grande carisma. Edda senza dubbio non potrà piacere a tutti: per alcuni sarà solo un pazzo con problemi di dizione, ad altri non andranno giù le sue contorsioni vocali. Se però avrete la pazienza di far abituare il vostro orecchio al mondo storto di Stefano, scoprirete un cantautore sincero, a suo modo unico e pregno di emozioni che attendono solo d'esser colte. Fabio Gasparini

17 ottobre 2010

La musica dal dentista si paga. Una sentenza condanna un professionista che non versò i diritti d'autore: clienti considerati "pubblico"

Riportiamo con una certa meraviglia questo comunicato della SCF in merito ad una sentenza che condanna un dentista milanse per non aver pagato i compensi sul diritto d'autore per avere fatto ascoltare la radio nel suo studio, i clienti tra un'otturazione e un ponte sono stati considerati pubblico... e speriamo che la musuca glia sia almeno piaciuta...

Milano, 15 ottobre 2010
Il Tribunale di Milano ha condannato il titolare di uno studio dentistico per aver diffuso musica attraverso una radio senza aver corrisposto a SCF i compensi, previsti dalla legge sul diritto d’autore, a favore di artisti e produttori discografici (autonomi e indipendenti rispetto a quanto dovuto a Siae per i diritti d’autore). Con sent.10901/2010 il Tribunale di Milano ha confermato che la diffusione di musica all’interno di studi professionali privati - come quelli dentistici - rappresenta una forma di “pubblica utilizzazione”, come definita espressamente nella Legge sul Diritto d’Autore (art. 73 bis - L.D.A. 633/41). Nello specifico, in linea con quanto già ampiamente riconosciuto dalla giurisprudenza (sent. C-306/05 - Corte di Giustizia), la decisione conferma come l’elemento discriminante rispetto all’insorgenza del diritto sia la messa a disposizione delle registrazioni discografiche ‘a un pubblico di persone’, a prescindere dal carattere pubblico o privato del luogo in cui avviene la diffusione di musica. I giudici milanesi hanno, infatti, stabilitoche la clientela di uno studio dentistico è qualificabile come ‘pubblico’, in quanto appare potenzialmente indeterminata sia nel numero, che nella sua composizione; il fatto che l’accesso dei clienti allo studio avvenga in maniera programmata rappresenta una mera modalità organizzativa. La sentenza di Milano conferma e rafforza l’orientamento giurisprudenziale che ha caratterizzato la tutela dei diritti di artisti e discografici in questi ultimi anni, riaffermando che il pagamento del compenso SCF è dovuto qualsiasi sia il mezzo utilizzato, anche una radio. Nello specifico è in linea con la normativa europea e con quanto già da tempo avviene negli altri paesi dell’Unione, dove gli studi medici e dentistici riconoscono regolarmente il pagamento dei diritti discografici a fronte dell’utilizzo di musica d’ambiente, per offrire ai propri pazienti un ambiente più confortevole e rilassante. La sentenza del tribunale di Milano rappresenta un provvedimento estremamente positivo e innovativo perché fissa di fatto un principio di applicabilità di più ampio respiro, che interessa a questo punto tutti gli studi professionali, come per esempio in generale tutte le altre tipologie di studi medici, quelli di avvocati, di architetti, commercialisti, notai. -commenta Saverio Lupica, Presidente di SCF Consorzio Fonografici - Si tratta indiscutibilmente di un ottimo risultato sul fronte della tutela dei diritti discografici. In questa occasione teniamo comunque a ribadire e confermare, ancora una volta, che il ricorso alla via giudiziaria non è certo la strada che SCF intende perseguire per affermare i diritti degli artisti e dei produttori. Al contrario: crediamo che il dialogo e la negoziazione siano le uniche soluzioni ragionevoli per dare applicazione a quello che è a tutti gli effetti un obbligo di legge, nel rispetto delle parti coinvolte. Una tesi, la nostra, che trova ogni giorno sempre più facile applicazione grazie al comportamento responsabile di un numero sempre maggiore di operatori professionali, attivi nei più svariati settori, che, grazie anche alla collaborazione instaurata con le rispettive associazioni di categoria, fanno uso di musica riconoscendo spontaneamente i diritti di artisti e produttori discografici. g.oc.

9 ottobre 2010

Tiziano Ferro e i turbamenti sulla pubblica piazza. Il coming-out ultima frontiera per "lanciare" un libro

Tiziano Ferro, come è noto, ha recentemente fatto coming out raccontando (al quotidiano Repubblica e al settimanale Vanity Fair) la conclusione di un percorso. "Casualmente" il seguitissimo cantante di Latina decide di rivelare la propria omosessualità (peraltro data per fatto assodato da molti) a pochi giorni dall'uscita in libreria della sua autobiografia "Tiziano Ferro, trent’anni e una chiacchierata con papà" edita da Kowalski (il titolo è peraltro orrendo, ndr).
La notizia è stata ripresa da tutti i media, persino dal pudico Tg1, che si rivolge a un target assai generalista e mediamente anzianotto.
«Un paio di anni fa - si legge nelle interviste che ha rilasciato - ho iniziato un percorso di analisi. Da tempo non stavo bene, e avevo capito di dover riprendere in mano una serie di cose: dal forzato esilio lontano da amici e famiglia alla relazione col mio lavoro, al rapporto contrastato con l’omosessualità. Così, dopo due anni di duro lavoro su me stesso, sono arrivato a una conclusione: volevo vivere meglio».
Nel suo diario, Tiziano riflette anche sul successo: «Nessuno lo capirebbe mai, ma credo che se mi svegliassi e non avessi più il successo, la prima cosa che farei sarebbe approfittarne. Andare in centro, fare danni, guardare le persone in faccia nell’ora di punta, non evitare i posti affollati, preoccuparmi sempre e solo di quello che succede dentro, mai di quello che succede fuori» racconta. «Volevo vivere quella parte di me, smettere di considerarla un mostro, qualcosa di negativo, addirittura invalidante» continua Tiziano. I primi dubbi, spiega, risalgono alla sua adolescenza, quando aveva una fidanzata. Proprio a lei li confidò: «Le dissi che pensavo di essere attratto anche dai ragazzi. Mi rise teneramente in faccia, mi disse che non poteva essere vero. Poi arrivò il successo travolgente e Tiziano scelse di non vivere i propri sentimenti».
E aggiunge: «Non posso puntare il dito contro nessuno, solo contro me stesso. Tuttora non so spiegarmi perché considerassi l’omosessualità una specie di malattia. Non ho la presunzione di salvare nessuno, ma se il mio libro potesse aiutare qualcuno a evitare di perdere tutti gli anni che ho buttato via io, sarei felice». Le voci ricorrenti sulla sua omosessualità, spiega, «mi facevano una tale rabbia. Non perché non volessi passare per gay, ma perché la verità è che un fidanzato avrei voluto avercelo. E, invece, non avevo nessuno. Perché? Perché avrei dovuto vivere una doppia vita e io non ne sono capace. Mi dà fastidio quando si parla di accettazione dell’omosessualità. Io, semmai, sogno la condivisione. Una famiglia che accetti le mie scelte non mi basta, voglio che le viva insieme a me. E lo stesso vale per i miei amici. Ora che quella condivisione è diventata realtà, sono pronto a vivere pienamente. Cerco l’amore, la parte della vita che mi è mancata finora… Per il momento sono solo, ma spero presto di non esserlo più».
Tante belle parole che valgono una succosa promozione, per un libro che altrimenti sarebbe passato tra il disinteresse di tutti, eccetto i fan più affezionati, naturalmente, come succede per le altre autobiografie di nomi noti e meno noti della musica. Peraltro che Tiziano Ferro fosse gay lo aveva "annunciato" già nel 2007 Platinette, in una trasmissione radiofonica che aveva ricevuto grande eco mediatica. Tiziano dovrebbe continuare a fare le cose che sa fare meglio, ovvero le canzoni... Per il libro, chi per lui, poteva escogitare qualcosa di più vibrante ed originale per farlo arrivare alle orecchie e agli occhi anche degli spettatori più distratti e inebebtiti. Mettere sulla pubblica piazza i tuoi turbamenti, mi sembra assai squallido, specie se a fine promozionale. r.co.