29 novembre 2009

Live - Gossip live a Milano

MILANO PALASHARP, 23 NOVEMBRE 2009 - Unica data italiana per una delle band più cool del momento. Originariamente previsto all’Alcatraz, il concerto dei Gossip è stato spostato al Palasharp per la grande richiesta di biglietti.
Smodata e pirotecnica la front woman Beth Ditto oscura con la sua mole reale e carismatica il resto del gruppo (chitarra, basso e batteria).
Irriverente e oltraggiosa, lesbica dichiarata e militante, ostentatamente obesa, Beth Ditto non si riparmia e per un’ora e mezzo infiamma un pubblico in delirio e scatena il suo corpaccione con l’eleganza di una farfalla. La presenza è imponente, la voce fantastica: potrebbe cantare qualunque cosa saltellando tra tutte le tonalità (poco sfruttate quelle basse).
Il concerto si apre con Dimestore diamond e Pop goes the world, da Music for men uscito nel giugno scorso, e proprio sull’ultimo lavoro si basa in gran parte l’intero concerto.
Esaltazione collettiva per Heavy cross, il loro brano più conosciuto e gran finale con Standing in the way of control, altro hit di tre anni fa. Ottime le cover: Psyco Killer dei Talking heads e What’s love di Tina Turner. La Ditto, tempo fa, ha provocatoriamente dichiarato di essersi nutrita di scoiattoli, cacciati nei boschi del nord degli Usa, nei periodi più cupi della sua vita. Beh la “dieta dello scoiattolo” senz’altro fa ingrassare, ma l’energia che fornisce è ampiamente ripagante. Mauro Carosio

22 novembre 2009

La musica di Moltheni ha un nuovo ingrediente. Riarrangiati tutti i pezzi della raccolta che segna 10 anni di carriera

Da un paio di giorni sul sito di XL si può ascoltare in anteprima Ingrediente novus, la raccolta che festeggia i dieci anni di carriera di Moltheni. Il disco uscirà nei negozi tra una settimana il 27 novembre. Si tratta di un cofanetto che contiene una selezione dei brani più rappresentativi tratti dai sei dischi che in questi anni ci ha regalato Umberto Giardini, due inediti e molto materiale video, tra live, clip e il documentario ‘Il frutto del fiume’ che lo stesso Moltheni ha realizzato.
Anche se il mercato del ricordo è floridissimo, questa non è un’operazione commerciale, ma un occasione per Moltheni di guardarsi indietro, di fare il punto della situazione, e di dare una nuova veste a quelle canzoni che hanno nel bene e nel male segnato la sua carriera. Ingrediente novus può essere letto come un autoritratto generazionale, come immagine di un manipolo di persone che dieci anni fa hanno scoperto la musica di Moltheni con In centro all’orgoglio o con Il circuito affascinante e da quel momento non l’ha più lasciata, prendendo possesso di sé, del proprio posto nel mondo con una colonna sonora di intima poesia, sempre in bilico tra la gioia e il terrore di far spegnere quel fuoco; ma questo cofanetto può anche essere interpretato come una possibilità di scoperta: le immagini del passato e del presente si sovrappongono e quanti si sono persi dieci anni nei quali Moltheni ha vissuto in una sorta di clandestinità musicale, potranno colmare questa ‘lacuna’, mi riferisco anche a quei giornalisti e critici che invece di affollare le giurie dei Premi che contano, dovrebbero ascoltare con più attenzione quello che di buono c’è in giro…
Ripercorrere i brani di questa ‘colonna sonora’ con un nuovo arrangiamento, per me, ha un sapore dolce-amaro: da una parte c’è il nuovo, un incedere sapiente ed equilibrato di arrangiamenti maestosi e vividi, dall’altra c’è la dimensione del ricordo, ma non è un ricordo a tutti i costi, qui non stiamo parlando della ricostruzione degli eventi della discografia moltheniana, ma della riappropriazione del loro valore.
Qualche parola sulle canzoni. Gli inediti sono Petalo, un brano da tempo proposto dal vivo che a quanto pare sarebbe dovuto essere il singolo di Forma mentis, il disco mai pubblicato di Moltheni: in questa nuova versione il brano è un’ariosa ballata che parla dei temi più tradizionali dello stile Giardini, l’amore e il rimpianto sono raccontati con visioni che trasformano la donna in un petalo che non ha profumo e l’uomo in un essere nauseante come un chewingum digiuno.
Poi c’è Per carità di stato, l’altro inedito: in questo caso siamo di fronte ad una canzone che descrive la mestizia in cui si trova la nostra povera patria… “che affonda, impedisce a chi vuol fare e poi… finisce in un Tg al tasto 4 del mio telecomando”, come chiosa lo stesso Umberto, con voce dolente.
I brani ripescati da Natura in replay sono riproposti in chiave dolcissima, Nutriente sembra una leggera ninnananna, In centro all’orgoglio è cantata in duetto con la brava Ilenia Volpe, Un desiderio innocuo trova nel nuovo arrangiamento piena compiutezza rispetto alla magrezza musicale del disco d’esordio.
C’è spazio anche per una nuova versione di Suprema che si spinge ancora più a fondo nel toccare le corde dei sentimenti, E poi vienimi a dire… vede il flauto di un ispirato Mauro Pagani (il disco è stato registrato presso le sue Officine meccaniche), La fine della discografia italiana, in chiusura di disco, non è altro che una versione strumentale di Eternamente nell’illusione di te… Speriamo non sia anche il preludio alla fine della discografia moltheniana, in giro ci sono anche questi rumors, che naturalmente ci auguriamo non trovino fondamento.
L’unico di cui non parlo volentieri è Vasco Brondi (Le luci della centrale elettrica) che a mio avviso rovina, cantandola, Zona monumentale. Brondi è così sopravvalutato che ogni parola in più detta finirebbe per portare acqua ad un mulino che altrimenti sarebbe arido. Al di là del suo bel disco di esordio non credo ci sia molto altro da dire, la sua interpretazione, per quanto efficace nel rendere la rabbia del brano, si commenta da sola.
Bravo Umberto, non hai mai guardato in faccia a nessuno e non sei stato compiacente, mai! Nemmeno questa volta! Roberto Conti

20 novembre 2009

Samuele Bersani - Manifesto abusivo

Dopo tre anni ritorna uno dei più grandi cantauori, Samuele Bersani, con Manifesto abusivo. Appena ho ascoltato la prima traccia dell'album, intitolata Un periodo pieno di sorprese, mi sono detto: “Ah, questa è una bella sorpresa”, nel senso che questa canzone si allontana un po’ dagli schemi di Samuele.
E' un pezzo splendido, ma forse è stata messa in apertura proprio per disorientare l’ascoltatore.
Già con il secondo brano, Pesce d’aprile mi sono ritrovato con il Bersani che conoscevo e amo e che fa della parola qualcosa di meraviglioso e giocoso. Si prosegue con Lato proibito, a celebrare ricordi per sfociare in queste splendide parole “Non dimentico che una notte dal letto son caduto e nel sogno io stavo volando da orizzonte a orizzonte, mantenuto da un vento e da un coraggio che a terra finora non ho avuto….”
Poi la mia preferita, A Bologna, romantica e cruda nello stesso tempo: “A Bologna è comodo avere poteri speciali per schivare le armi da taglio e la merda dei cani”; celebra la città in cui Samuele vive e arrivare a cantare “Non ci sono angeli sul cornicione ma telecamere anti-intrusione”.
Seguono Robinson Crusoe, Ferragosto (composta con Sergio Cammariere) e Manifesto abusivo tre pezzi assai diversi tra di loro ma ugualmente belli. Ragno, di Angelo Conte, è molto molto divertente ed ironica: Samuele dialoga con un ragno (angelo Conte appunto) in una specie di romanesco che poco si addice al cantautore bolognese, ma dall'effetto esilarante. Fuori dal tuo riparo è forse il prano più poetico del disco, con le parole a farla da padrone: “Credevo che l’amore fondato sulla telepatia fosse una dimensione incompatibile con la mia aria indurita da cinico, da moderno San Tommaso. Quanti chili di carata per trovare un minuscolo cioccolatino? Quanti petali restano sul fiore sopravvissuto al centro del giardino?”.
Infine la malinconica 16:9, dolcissima.
Bravo Samuele. Un gran bel disco dove la diversità tra un brano e l’altro, la diversità anche dei suoni e degli arrangiamenti, mi ha emozionato tanto. Non vedo l’ora di dirglielo di persona.
Marco Colombo

19 novembre 2009

Parole come pallottole: il nuovo disco del Teatro degli orrori fa infuriare la Lega con il remake del Padre nostro

Il Padre Nostro riveduto e corretto, Majakovskij in chiave rock, la tragedia di Ken Saro Wiwa: parole come pallottole, poesia a mano armata, testi che scavano il quotidiano e interrogano le coscienze. Un carrarmato rock applicato alla musica d'autore, così si presenta A sangue freddo il nuovo disco del Teatro degli orrori. Un disco sonico e potente, dove le sonorità che hanno portato in dote i componenti della band, tutti con all'attivo importanti esperienze nel panorama rock indipendente, si mescolano con i "contenuti" e i testi al vetriolo. Proprio i testi diventano l'anello non più mancante che congiunge gli anni di cultura del cantautorato con il rock più intransigente e vero del belpaese. A sangue freddo è un disco come non se ne sentono da tanto tempo: non 'militante', ma 'politico' fino in fondo, attento alle contraddizioni sociali dell'italia di oggi. Il populismo, la deriva autoritaria, l'individualismo, lo smarrimento giovanile, le solitudini di chi non si riconosce nella comunità, le ingiustizie palesi e quelle nascoste nella privatezza delle persone, vengono evocate a volte con crudezza, con dolcezza e malinconia in altre. Tutto questo, già nel disco, viene supportato da un imponente impatto sonoro, che diventa un vero evento spettacolar-teatrale nella trasposizione live potentissima e di sicuro impatto. Provare per credere, Capovilla e soci non vi deluderanno. Roberto Conti



Proponiamo il servizio di Paolo Calia, pubblicato sul Gazzettino di Treviso (in prima pagina, il 18 novembre), che si occupa di come parte della politica della cittadina veneta sia insorta contro il Padre nostro in chiave rock del Teatro degli orrori


In Veneto Lega e Udc insorgono contro il gruppo musicale che vuole riproporre la preghiera in chiave rock: «Così dissacrate il Padre nostro»
Stiffoni: «Potessi, lo impedirei», Caner: «Cattivo gusto», Galzignato: «Scarsa fantasia»

«Braccia rubate all’agricoltura». Il senatore leghista Piergiorgio Stiffoni liquida così la rock-band Il Teatro degli Orrori. La notizia del loro ultimo brano Padre nostro, una parafrasi della preghiera più importante del cristianesimo, ha sollevato le reazioni irritate e decise. Il mondo della politica, almeno la parte che in questi si è schierata a difesa del crocifisso, è insorto solo all’idea che un altro simbolo religioso potesse essere messo in discussione. E poco importa se in questo caso la vicenda è diversa in quanto non si tratta di sentenze, provocazioni politiche o altro. Ma semplicemente di musica, anche se mischiata alla provocazione. Musica che, venerdì sera, salirà sul palco del New Age con tutta la sua forza dissacrante.
«Ma quale provocazione -ironizza Stiffoni- sarebbe meglio se quella gente andasse a lavorare nei campi. Se stiamo qui a parlare di simili ciofeche vuol proprio dire che siamo caduti molto in basso. Sarebbe il caso di iniziare a riprendere in mano la buona musica, non quella di questi rocchettari. Una cosa è certa: un concerto del genere non verrà mai sponsorizzato da nessuna nostra amministrazione. Non possiamo impedire che si svolga in un locale privato. Ma del resto nei locali privati si pratica anche lo scambio delle coppie...».
Per Federico Caner, consigliere regionale leghista, una canzone in salsa rock che vuole riscrivere il Padre nostro è una cosa “assurda”. «Il concerto non lo si può impedire, ma per me sarebbe meglio se non si facesse o se quella canzone non venisse interpretata. Indipendentemente che uno sia credente o meno, bisognerebbe avere rispetto del sentimento religioso. Spero che tutto questo susciti una reazione non solo dal mondo cattolico, ma anche in chi cattolico non è. Un po’ come è accaduto con le famose vignette contro l’Islam di qualche anno fa: insorsero non solo i musulmani, ma anche tutti gli altri. Qui è la stessa cosa. Non bisogna essere integralisti, ma avere un minimo di buon gusto».
Per Gianna Galzignato, segretario provinciale dell’Udc, la canzone del “Teatro degli Orrori” è semplicemente fuori luogo. «Se vuole essere una provocazione, non riesco a capire quale sia il fine -afferma- inoltre denota scarsa fantasia da parte dell’autore che avrebbe potuto fare la sua denuncia utilizzando mille altre parole. La preghiera più alta del cristianesimo, anzi “la preghiera” per eccellenza, meriterebbe più rispetto».


L'assessore alla Comunicazione di Roncade: «Non c’è nulladi blasfemo»
«Sinceramente in quella canzone non ci vedo nulla di così blasfemo». Chiara Tullio, assessore alla comunicazione istituzionale di Roncade, si sorprende un po’ per tutto il polverone sollevato dalla canzone sul Padre Nostro del gruppo “Teatro degli Orrori”. «Considerare blasfemi quei versi è una questione soggettiva -continua- ma da amministratore di un comune non vedo gli estremi per annullare il concerto o impedire che quella canzone venga cantata. Diverso è il discorso che riguarda il cantante Sizzla (rapper, il cui concerto è stato annullato dal gestore del New Age, lo stesso locale dove si esibirà il “Teatro degli Orrori” ndr): la polemica era giustificata dall’arrivo di molte lettere e mail contro la sua esibizione per via di alcuni testi ritenuti omofobi. Ma qui il discorso è diverso. Forse c’è della provocazione, ma non possiamo andare a sindacare su tutto quello che viene programmato al New Age. Se i gruppi che si esibiscono tengono comportamenti normali, non si può dire niente».


L'autore, Pierpaolo Capovilla: «È un urlo contro le ingiustizie della società»
Una preghiera in chiave rock. Oggi. Il Padre nostro. Il Teatro degli Orrori, rock band italiana, ha riscritto il Padre Nostro nell’album A sangue freddo, che la band proporrà a Treviso venerdì alle 22 al New Age di Roncade. Una canzone dal testo intenso, contro le ingiustizie e i mali della società moderna, che inizia con le parole della preghiera cristiana. Pierpaolo Capovilla, leader della band, spiega il significato del suo brano.
Come nasce l'idea di rivisitare il Padre nostro?
«È un tentativo di secolarizzazione della preghiera, un grido di giustizia, in un mondo dominato dalla rapina e dalla guerra. La rapina, ovvero lo stupro dell'ambiente e delle moltitudini che vi vivono. La guerra, come stato d'eccezione divenuto regola costante. Quando preghiamo, chiediamo al Padreterno di venirci in soccorso. Il Padre nostro rivisitato da Il Teatro degli Orrori nulla chiede a Dio, ma lo invita a non perdonare. Non c'è bestemmia né blasfemia, in questa canzone, ma disperazione e amorevolezza».
"Non soltanto Dio non governa il mondo ma neppure io posso farci niente": cosa voleva esprimere?
«Secondo la dottrina agostiniana del libero arbitrio Dio non governa il mondo, ci ha lasciati liberi di scegliere. Quasi sempre, scegliamo il male nelle sue più terribili vesti. L'individuo, di fronte alle ingiustizie, si sente impotente, preferisce delegare ogni decisione: è il problema del rapporto fra società civile e politica. Dovremmo imparare a ripartire da noi stessi, nella famiglia, con gli amici, nel lavoro: non distogliere lo sguardo di fronte agli abusi. Essere uomini e donne veri, cittadini coscienti, coscientemente democratici».
La musica rock come grido contro i mali della società: solo condanna o anche speranza?
«Un grido di disperazione sottende sempre il desiderio, imperioso in questo caso, di riscatto ed emancipazione. Sono convinto che veniamo al mondo per cambiarlo, non per lasciarlo quello schifo che è».



Noi riteniamo che la polemica sia, come spesso succede sterile e aridissima. La canzone a mio avviso non è nè blasfema nè irrispettosa della sensibilità cattolica, anzi è probabilmente una delle più riuscite dell'intero disco del Teatro degli orrori. Al di là delle parole dei giornali, vi proponiamo di ascoltare il brano 'incriminato' e di dirci la vostra. r.co.



18 novembre 2009

'Ascolti emergenti' di novembre

My awesome mixtape - How could a villege turn into a town *****
Inusuale, ballabile, primaverile. Con questi aggettivi descriverei Haw could a villege turn into a town, il nuovo disco dei bolognesi My awesome mixtape. La band da tempo viene accreditata come rivelazione e in Europa sembrano già essersi accorti di loro a dimostrare dal loro lungo e importante tour che ha toccato diversi Paesi e festival.
Il loro primo lavoro My lonely and sad waterloo li aveva caratterizzati per l'approccio fresco e spensierato, con quella hit danzereccia come Me and my washing machine impossibile da dimenticare, e furbamente riproposta anche in Haw could a villege turn into a town.
Ma questo disco ha moltissime altre frecce al proprio arco e segna una maturazione della band, giovanissima ma pienamente consapevole delle proprie potenzialità. Da un approccio "collettivistico" dove al frontman Maolo Torregiani si affiancavano di volta in volta amici e guest, la band ha assunto una struttura definitiva con Andrea Mancin, Alessandro Scagliarini, Federico Spadoni, Andrea Suriani. Ne hanno risentito in parte anche le sonorità, c'è più spazio per gli strumenti veri: archi, fiati, batterie, e un po' meno elettronica lo-fi. Il tutto senza perdere in freschezza e immediatezza, ma focalizzando l'attenzione sulle canzoni. Canzoni che fanno venire voglia di alzare il volume al massimo e di ballare, anche se i tanti buonissimi episodi del disco (My moon, Hearts to land di cui proponiamo il videoclip uscito in questi giorni in rotazione sulla home page di Asap, solo per citarne alcuni) non raggiungono per orecchiabilità Me and my washing machine, che resta il brano più rappresentativo di una band giovanissima ma su cui sarebbe bene scommettere. Roberto Conti


Torpedo - Terrastation ***/
Davvero interessante questo album della band Romana dei Torpedo. Mi hanno ricordato fin da subito i primi Subsonica, proponendo nelle loro sonorità un mix tra reggae e dub, con incursioni elettroniche e spruzzate classic punk, ma con un’originalità tutta loro molto interessante.
Anche i suoni sono ricercati e belli. Nell'album Terrastation ci sono anche importanti collaborazioni tra cui lo scrittore Stefano Benni, per esempio, che ha scritto il testo della bonus track La musica nel sangue, Papa Vaigo degli Africa Unite, e ancora Lee “Scratch” Perry, i newyorkesi Dujeous, i JunglaBeat, Sandokan e Sandro Travarelli della Banda Bassotti.
E’ sicuramente un lavoro che presenta molte sfaccettature ed influenze: tra i brani meglio riusciti troviamo il ritmo reggae di Alto voltaggio e i sentori ska di Sempre la stessa musica e Terrastation, più elettronica . Roma nun fa la stupida stasera è invece un omaggio della band ad una canzone storica di Claudio Villa. Marco Colombo

November 7 - Angel **
I November 7 una band formata da Anna Maria Cozza alla voce, dal polistrumentista Stèphane Geiger e dal drummer Gil Reber. Questo ep, registrato da Stephane Geiger, si apre con il brano Angel che dà appunto il nome anche all’ep: è una canzone dai richiami "quasi fotocopia" al pezzo dei Massive Attack.. guarda caso anche questo dal titolo Angel, alla faccia dell'originalità.
Mi è piaciuta subito la voce della cantante Anna Maria Cozza, ma questo gruppo propone un gothic metal che assomiglia troppo a cose già sentite e quindi nel complesso non hi ha entusiasmato particolarmente, nonostante sia ben suonato e ben prodotto. Tra le altre canzoni mi è piaciuta anche Falling down, con un bel piano e degli ottimi sinth, restando in attesa di un album tutto loro. Marco Colombo

Telespash - Forever togheter ***
Gli Aretini Telesplash ci catapultano nel classico sound anni 60 inglese, strizzando l’occhio anche al più moderno brit pop. Tra i pezzi meglio riusciti sicuramente Baby don’t go, fresca e che ti entra subito nella testa, che mi ha ricordato i fantastici sixties e i Beatles che amo davvero tanto.
Anche Cause it’s true è davvero un bel pezzo più vicino a sonorità moderne del new brit pop stile dei Blur. Suonato molto bene, è un album che nonostante strizzi l'occhio ai mitici anni 60 sicuramente potrà piacere anche ad un pubblico più giovane. Ancora una bella produzione dell’etichetta di Daniele Landi, la Foreas. Marco Colombo

La distanza - Tudine **
Nello space dei La Distanza vengono citate tra le influenze musicali, band che vanno dai Verdena ai Radiohead, dai Mogway ai Massive Attack, dai Sigur Ros ai Muse... ma appena è partito il primo brano Tudine a me sono venuti in mente solamente i nostri Verdena e sinceramente anche negli altri cinque brani la somiglianza si è dimostrata notevole, soprattutto nel cantato.
Il rock di questo quartetto pescarese purtroppo mi ha ricordato solo i tre più noti Bergamaschi, ma questo non è certo un difetto in senso assoluto essendo i Verdena un gruppo validissimo, tra i miei preferiti. I testi sono un poco poveri a mio parere... e tutti parlano di amori finiti male: Puoi anche sparire e Asja gli episodi più riusciti che meritano di essere citati all'interno dell'ep. Marco Colombo

17 novembre 2009

A Brunori Sas va il Premio Ciampi

Dario Brunori alias Brunori Sas si è aggiudicato il Premio Ciampi 2009 come miglior esordio dell'anno. Questo progetto colpisce per come riesca ad attingere con grande dovizia dal meglio e dal peggio di quello che la musica italiana ha offerto in questi anni: da Rino Gaetano a Graziani, da Ciampi a Santercole, con una punta di Daniele Silvestri e di neo urlatori e con un look retrò furbetto che farebbe impallidire la già smorta Arisa. Le sue canzoni sono ironiche e propongono sonorità decisamente retrò (con tanto di corista ondeggiante), che rimandano alla vita semplice della provincia di Cosenza, al calcio o a Padre Pio, ai temi più vicini alla gente 'comune' insomma... forse sarà questo il motivo che ha convinto la giuria del Premio ad attribuirgli l'ambito riconoscimento.
Roberto Conti

Gurda un video di presentazione di Brunori Sas

16 novembre 2009

Sanremo è specchio dei tempi: il dialetto nel regolamento ha il placet del Carroccio e c'è la sciabordante Antonella che conduce...

E' di un paio di giorni fa la notizia che il dialetto è stato introdotto da regolamento nel Festival di Sanremo 2010. La notizia ha fatto, e fa, scalpore, non tanto per la possibile presenza delle canzonette cantate nelle "lingue" regionali, cosa che accade da sepmpre con episodi fin troppo frequenti, vedi i pezzi in Napoletano, ma per la necessità di una tale specifica nell'articolo 6 del regolamento.
Ma di cosa ci stupiamo? Si sa che il Festival è specchio della società e dei tempi che viviamo, e anche della politica: quindi il dialetto, tanto caro alla Lega, non è altro che un strumento per far finire Sanremo in prima pagina (con una non notizia, naturalmente) e per far infuriare le redazioni dei giornali. Apprendiamo infatti, dal blog di Marinella Venegoni, che di Sanremo si occupa da anni per La Stampa, che l'altro giorno la notizia del dialetto è stata "spacciata" come anteprima sia al Corriere della sera sia a Repubblica, che l'hanno sventolata in prima pagina entrambi, credendola un'anteprima esclusiva.
Apriti nuvoloso cielo sanremese! Questo scherzetto ha scatenato le ire dei giornali 'esclusi' dalla soffiata, ma anche del quotidiano milanese e di quello romano ignari compagni di anteprima, verso la Goigest, l'ufficio stampa che si occupa della 60a edizione della kermesse.
Bene, il caso mediatico è stato creato e l'obiettivo ancora una volta raggiunto a discapito delle canzoni, come sempre.
A febbraio a condurre ci sarà la sciabordante Antonella Clarici che sarà probabilmente affiancata da importanti spalle maschili che si alterneranno di sera in sera. Della musica poco si sa per il momento. Ci saranno presenze importanti dei talent show, ci sarà la solita sfida al 'massacro' di SanremoLab, ma dei big ancora poco o nulla è dato sapere...
Roberto Conti

2 novembre 2009

Syd Barret omaggiato e (re)interpretato in un tributo

Esce per Octopus Records questa lodevolissima raccolta che vede varie band della scena indipendente rielaborare la musica di Syd Barrett. I brani proposti sono quasi sempre reinterpretazioni piuttosto distanti dagli originali, come Terrapin degli Atari in bilico tra sussurri e elettronica, diversissima dall'originale. Nella compilation possiamo ascoltare i Fuh trasformare una Long gone originariamente sommessa in un pezzo molto tirato e musicalmente ardito, i Gasparazzo cimentarsi con una versione reggae di Love you, o ancora i Super elastic bubble plastic ritagliare una efficacissima Dominoes su un tappeto noise. Ottime le interpretazioni dei Baby Blue che si cimentano in una versione garage di Dark globe, di Vanproof (Baby lemonade), Entrofobesse (She took a long cold look) e Filippo e Francesco Gatti (Golden hair), capaci di trasfigurare completamente i brani passati sotto setaccio. Più vicine alle versioni originali paiono invece It is obvious di Moltheni e Love song dei Roses King Castles.
Oltre alle formazioni citate sono presenti nella compilation anche Mesmerico (No good trying), Low-fi (No man's land), Mad hatters project (Octopus), From tropics with love (Rats), Jennifer Gentle (Opel). In un disco che impone un giudizio più che positivo, visto come si arrischia a maneggiare materiale ampiamente interiorizzato senza scadere nel ridicolo e anzi aggiungendo classe a un canzoniere di per sé già geniale. Quest'ultimo raccolta di spaccati musicali inaspettatamente malleabile, tanto da non temere nemmeno attualizzazioni lontane anni luce dallo stile originale del suo autore. Giovanna Oceania

Intervista a Il Disordine delle Cose


Abbiamo fatto quattro chiacchiere con Marco Manzella e con gli altri componenti del Disordine delle cose, in occasione del concerto a Novara di qualche tempo fa per la presentazione del loro disco appena uscito.

Allora, possiamo cominciare....prima domanda: da dove deriva il vostro nome? È legato a qualcosa in particolare?
Marco Manzella: Inizialmente il progetto era solo mio come solista... in realtà non si trattava di un vero e proprio progetto, avevo solo inciso tre canzoni ed il titolo dell'Ep era Il Disordine delle Cose e quindi poi quando ho deciso di non andare avanti da solo, perchè non mi piace lavorare da solo, ho chiamato i miei migliori amici musicisti per proseguire l’avventura e non sapendo come chiamare la nuova formazione ci siamo chiesti perchè non chiamarla come il titlo dell Ep.

Ma tu lo hai preso da qualche parte (il nome, ndr)?
Marco Manzella: No... è un nome che ci si addice... in primis al sottoscritto e quindi era un comune denominatore per tutti quanti. In fondo abbiamo tutti questa vita un po’ disordinata che comunque ci piace perchè la consideriamo "un’alternativa alla banalità".

Come sono nate le collaborazioni, nel disco sono presenti tantissimi ospiti?
(vedi recensione del cd)
Marco Manzella: Noi siamo dentro al circuito indipendente da tanti anni e quindi abbiamo coltivato delle amicizie. Artisti come Perturbazione, Marta sui Tubi, li abbiamo visti crescere e noi siamo in qualche modo cresciuti con loro. Si sono resi molto disponibili a collaborare con noi e hanno creduto nel nostro progetto musicale.

Chi si occupa della stesura dei testi, e anche degli arrangiamenti?
Marco Manzella: I testi per la maggior parte li ho scritti io ma alla fine la mia scrittura passa al vaglio di tutti quanti e almeno quattro testi dell'album non sono scritti da me: uno è stato scritto da Vinicio Vinago, due da Luca Schiuma. Per quanto riguarda gli arrangiamenti, li curiamo un po’ tutti anche se ci appoggiamo tantissimo al pianoforte di Luca.

Tornando a Luca e Vinicio, cantano anche loro nel disco. Mi chiedevo appunto da dove venisse questa scelta multipla, di cui peraltro mi complimento del risultato?
Luca Schiuma: Per quanto mi riguarda la colpa è di Marco (Manzella) che mi ha spinto "all'interpretazione cantata". Sono contento del risultato....
Marco Manzella: Il motivo principale è che li hanno scritti loro quei pezzi, quindi a me piace l'idea che fossero coloro che hanno scritto il brano a fornirne un'interpretazione. La migliore interpretazione insomma è quella dell'autore...

Sui testi ho notato che affrontate temi diversi: da cosa prendete spunto?
Marco Manzella: Da esperienze di vita: ad esempio anche il pezzo l’Idiota che fa venire in mente un personaggio politico noto...

E' la caricatura sull’album che vi tradisce...
(risate generali)
Marco Manzella: Eh sì, è vero. Però quel disegno di personaggi ne reppresenta almeno tre... Ci ispiriamo a quello che sentiamo in certi momenti, a volte viene prima la musica e poi il testo, altre volte è il contrario, ma in tutti e due i casi dipende molto dal 'momento' che stiamo attraversando.

Mi potete raccontare qualcosa circa il vostro progetto di abbinare musica e fotografia durante i live?
Marco Manzella: E' un’idea nata dal fatto che noi vogliamo fare molti concerti e vogliamo dare spazio ad un’altra forma di arte oltre alla musica, cercando di fornire allo spettatore un aiuto per capire meglio la musica anche attraverso la fotografia e viceversa.

Il disco è uscito per l’etichetta dei Marta sui Tubi “Tamburi Usati”. Mi potete dire qualcosa circa la nascita di questa produzione di Giovanni e Carmelo?
Marco Manzella: Anche in questo caso eravamo molto indecisi su quale etichetta fare affidamento e mentre registravamo il disco, Carmelo che ha anche suonato nel disco è venuto due giorni con noi a Torino e alla fine lui stesso ci ha proposto di essere proprio la prima produzione della loro neonata etichetta. Per noi è stata una grande soddisfazione.

Ascoltando il disco si sente l’influenza di questi gruppi (Marta sui tubi e Perturbazione, ndr). I vostri ascolti al momento che cosa comprendono, oltre a queste ottime band della scena indipendente?
Marco Manzella: Noi ascoltiamo un po’ di tutto.
Luca Schiuma: Io mi sono fermato al 1976!! (risate generali)
Marco Manzella: Penso che la cosa più bella di questo progetto sia il fatto che gli altri non riescono ad etichettarci, e questo appunto è dovuto al fatto che arriviamo tutti da esperienze simili ma nello stesso tempo anche eterogenee: quindi c'è chi di noi è orientato più sul prog, chi più su pop e il rock. Spaziamo da Tenco e Ciampi fino ai Mogwai o ai Mew, o altro ancora, e secondo me questo un po’ nel disco si sente. Ci sono poi dei denominatori comuni come i Beatles e la musica italiana indipendente, questo è naturale.

A me il disco è piaciuto molto e anche io ti confermo che siete difficilmente etichettabili... quindi adesso sono molto curioso di ascoltare un nuovo lavoro del Disordine...
Marco Manzella: Stiamo lavorando già a qualcosa, ma è ancora troppo presto poichè adesso siamo impegnati con un lungo tour per la promozione del disco... e quindi è ancora presto per parlare veramente di un nuovo album. Ce lo vietiamo perchè se dovessimo cominciare a richiuderci in una stanza a scrivere, verrebbero fuori troppi pezzi e non avremmo più tempo per il tour al quale teniamo molto. L'intro che sentirai questa sera però è una cosa nuova...

Anche il packaging è molto interessante ed originale, come l’avete pensato?
Marco Manzella: Fortunatamente nel gruppo ognuno si occupa di qualcosa e in questo caso è stato il nostro chitarrista Emanule Sarri che essendo un grafico ha prodotto questo piccolo capolavoro che contiente il cd, anche i disegni li ha fatti lui.
Intervista di Marco Colombo

1 novembre 2009

Mina ingaggia gli "alternative", ma sforna un disco classico assai

Da un paio di giorni Mina ha regalato ai suoi tanti fan un nuovo disco e -visto che me lo hanno mandato a casa, stiamo diventando sempre più importanti : @- non posso esimermi da un ascolto immediato e da qualche considerazione...
Facile contiene docici inediti firmati da storici collaboratori di Mina e da nomi del panorama alternative (mi domando poi quanto) come Manuel Agnelli e Boosta dei Subsonica. Una mossa all'insegna del rinnovamento? Nemmeno per sogno, il disco della Signora della canzone italiana resta ben ancorato nella sua classicità e i suoi collaboratori a ben guardare sono quelli di sempre: ci sono Cristiano Malgioglio (Carne viva), Andrea Mingardi (Non si butta via niente), il figlio Max Pani, qui anche nell'ormai consueta veste di produttore, il nipote Axel Pani che qui firma il singolo Il frutto che vuoi.
Pure Manuel Agnelli (Adesso è facile) già aveva 'dato' alla Signora con la reinterpretazione del brano Dentro Marilyn, a suo tempo trasformato in Tre volte dentro me: in Facile torna con un duetto che ha il merito di lasciare un'impronta dello stile Afterhours in questo disco che resta molto classico al di là del lancio promozionale. Il brando firmato Boosta è invece un bel lento, inaspettato assai per un alfiere dell'elettronica come lui.
Mina è limpidissima nella sua vocalità, anche se in qualche episodio si lascia andare ad un'interpretazione più grintosa. L'album andrà benissimo, Il Natale alle porte è la stagione d'oro per tutta la discografia e ancor di più per i classici. Vedremo quali canzoni, se ce ne saranno, sapranno lasciare traccia di sè. Roberto Conti