31 gennaio 2013

Brividi e nostalgia, sono i Litfiba della trilogia

Ci sono formazioni che sono state incensate da critica e pubblico e il cui loro ricordo resta indelebile. Quanti, se dovessero esprimere un desiderio, vorrebbero assistere ancora a momenti con le band riunite con tutti i componenti storici? Pensiamo a mostri sacri del rock’n’roll come i Guns N’Roses, o i Queen: il paragone può sembrare grossolano, ma rende l’esempio. Quanti darebbero l’anima per rivedere Axl Rose abbracciato a Slash? O il compianto Freddie Mercury insieme ai suoi tre seguaci? Ecco, i Litfiba sono riusciti ad esudire in toto i desideri dei loro fan più accaniti. Nel 2010 è avvenuta la rincongiunzione tra Pelù e Renzulli (che si tratti di pace fraterna o di soldi, i motivi ci restano ancora dubbi), che ora a tre anni di distanza si ritrovano in tour con Gianni Maroccolo e Antonio Aiazzi, superstiti della formazione degli anni ’80 nonché elementi determinanti per il sound new-wave di quei tempi.
Ecco a voi quindi la prima data dell’operazione nostalgia, il tour della “Trilogia”. Come giustamente lo presenta Piero Pelù nella prima data italiana all’Alcatraz di Milano, l’evento è un “viaggio” all’interno del primo spicchio di carriera del gruppo fiorentino. Con Moroccolo e Aiazzi in scuderia e il supporto del batterista degli Atroci Luca Martelli, i nuovi-vecchi Litfiba organizzano una scaletta costruita su un meticoloso ordine cronologico, spulciando i tre album che hanno caratterizzato l’era post-punk: “Desaparecido”, “17 Re” e, infine, “Litfiba 3”.
In un Alcatraz gremito di gente svariata per età e lifestyle, gli ormai “ex ragazzi” di via de Bardi cominciano con “Eroi nel vento”, classico immortale tratto dal primo lavoro. Si passa quindi per “Tziganata”, “Instanbul”, “Guerra” e – uscite in versione ep all’epoca – “Transea” e “Versante est”. Tutte suonate con una tonalità più bassa, probabilmente per favorire la gestione delle energie del primattore Pelù. In seguito arriva il turno di “17 Re”, probabilmente il loro miglior album non solo della “Trilogia”, ma proprio della loro intera carriera. Canzoni come “Apapaia”, “Re del silenzio”, “Ballata” e “Gira nel mio cerchio” restano trascinanti ed affascinanti come nel disco, suonate magistralmente dai due ritrovati Maroccolo ed Aiazzi.
Sono proprio loro due ad essere il valore aggiunto della serata: le linee di basso dell’ex CCCP e CSI sono essenziali in ogni canzone di quel periodo. E per essere eseguite allo stesso modo - cioè in maniera sublime - hanno bisogno più che mai del loro interprete originario, l’acclamato Gianni. Stessa cosa si può affermare per le tastiere di Aiazzi che, nonostante il suo modo di porsi sul palco non sia molto in sintonia con gli altri quattro (scatenati e lisergici Pelù, Maroccolo e Martelli, sornione Renzulli e glaciale appunto Aiazzi), fanno tornare alla mente quelle trame melodiche sospese tra classico, orientale, esotico e futuristico che hanno esaltato il suono dei Litfiba anni ’80.
Pelù si dimostra sempre in grande forma, trascinante ed energico come suo solito. Discorsi brevi tra una canzone e l’altra, ma sempre centrati, e questi uniti al suo consueto modo di porsi da entertainer gitano. Il pubblico gradisce e va in visibilio quando si apre il primo bis, dedicato interamente a “Litfiba 3”. “Louisiana” è una ballata in grado ancora di scaldare i cuori e di caricare le voci, tant’è che alla fine del pezzo seguono cori da quasi due minuti da parte dell’Alcatraz. Vengono ripescate “Resta” (lasciata fuori dal set precedente) e “Il vento”, aggiunte alla dediche al compianto Ringo De Palma (“Amigo”) e ai fan accorsi in massa (“Ci sei solo tu”). Finita qui? Neanche a saperne e dopo quasi due ore e mezza di live, il party del “comeback” si conclude con l’epico inno western, simbolo dello Stato Libero di Litfiba, ossia “Tex”.
Il concerto termina tra applausi ed ovazioni: l’operazione nostalgia ha prodotto i suoi effetti. Forse qualche pecca c’è (luci un po’ troppo soffuse e alcune vecchie canzoni suonate un po’ troppo lente rispetto alle originali), ma sostanzialmente la serata è stata molto intensa ed emozionante. Sorprendente anche il sound della location: chi lo frequenta sa che l’Alcatraz in via Valtellina non è il massimo per la tenuta del suono, eppure i volumi sono stati ottimi e mai si è sentito l’”effetto rimbombo”. Questo per mettere il punto esclamativo ad una performance di ottima fattura da parte di una delle più grandi formazioni Rock mai esistite nella storia italiana e (perché no) non italiana: i Litfiba degli anni ’80. Marco Pagliari

30 gennaio 2013

Etnia Supersantos - L'abominevole uomo delle fogne - Rec. in 10 parole














L'abominevole uomo delle fogne (Adesiva discografica / Edel), secondo disco degli Etnia supersantos, prosegue ed amplia il lavoro di ricerca sulla forma canzone avviato con il precedente Arlecchino cinema, con una leggerezza che vuole nascondere una complessità tutta da scoprire.

Recensione in 10 parole: leggero, scanzonato, ottime tastiere sul demenziale (che richiamano Elio e le storie tese e Gem boy), sapientemente prodotto, cazzeggio, profondità (quest'ultima esiste davvero? Io in questo disco non son riuscito a trovarla). Marco Maresca

Voto: **

Tracklist:
1. La jungla, le scimmie, le liane
2. La nazione al di là del teleschermo
3. Infetta
4. Cazzo, stasera alla disco!
5. M'annoia
6. Radio radio radio
7. Abbandonati da Dio e dagli uomini
8. Cazzuola o non cazzuola
9. L'abominevole uomo delle fogne
10. Il demente Colombo
11. L'escursione sul Monte Sinai
12. Caramelle
13. Vecchio prof
14. Soffro il calo del desiderio


Baustelle: "Fantasma racconta la tirannia del tempo"

Il gruppo di Montepulciano presenta il suo sesto lavoro. Un "concept album", che ha come filo conduttore un tema: il tempo. "Abbiamo scelto il titolo Fantasma, perchè in questa figura il presente e il passato vanno in collisione, anche se capiamo che può evocare anche altre cose", ha spiegato il frontman della band Francesco Bianconi.
Un tema che non sorprende per originalità, ma che ha il pregio di consentire ai Baustelle di scegliere sonorità nuove, notturne e orchestrali. L'impresa di catechizzare nuovamente i tanti fan che hanno imparato a conoscerli (ed apprezzarli) grazie a motivetti più scanzonati non è semplice, una sfida possibile e ambiziosa che ha dalla sua il supporto della critica che già in questi giorni spertica lodi pro Bianconi e soci.
Il tema dello scorrere del tempo è affrontato su più livelli, dagli interrogativi esistenziali dei quarantenni di oggi fino alla critica alla chiesa ("Non prego il fetore che fa"), passando per la satira sui talent-show che stanno caratterizzando (più nel male che nel bene) la scena musicale di questi ultimi anni. Peccato poi Bianconi abbia scritto il pezzo per Chiara che da X-Factor va a Sanremo, viva la coerenza!
La voce oscura di di Francesco, è controbilanciata da quella eterea di Rachele (Bastrenghi) che in diversi episodi evoca atmosfere morriconiane, facendo registrare un significativo passo avanti personale rispetto ai lavori precedenti. Sul piano musicale, invece, è lodevolissimo l'effetto orchestrale, acuito dalla positiva collaborazione con la Filarmonica di Bratislava.
Nei 19 brani del disco (anche se molti sono semplici stacchi) c'è spazio anche per temi impegnativi; la canzone La morte, per esempio, racconta la storia di due anziani amanti: lui tranquillizza la propria compagna ripetendo una specie di mantra "la morte non esiste più" se impariamo a considerarla in maniera diversa da come la considera la cultura occidentale. Un messaggio positivo, per affrontare un tema delicato con leggerezza ed intelligenza. I testi, come da tradizione baustelliana, hanno un marchio di fabbrica che li rende inconfondibili e ricercati. Fantasma si propone una sfida ambiziosa: far digerire ad un pubblico vasto un messaggio non proprio a pronta presa. Sulla riuscita dell'intento parleranno i risultati... Roberto Conti

Metti un martedì sera a teatro con Grazian e Giardini...

Scrivo qualche considerazione sul concerto di questa sera al Teatro Martinitt di Milano, protagonisti Alessandro Grazian e Umberto Maria Giardini.
Grazian non mi è per nulla piaciuto. E' la prima volta che ascolto un live-set dedicato al disco Armi, tecnicamente impeccabile ed energico in un power trio che ha esaltato le caratteristiche delle canzoni, ma che non mi pare abbia fatto breccia nel pubblico. Preferivo decisamente un Grazian minimalista, abile interprete di canzoni in chiave acustica: dovrebbe essere poetico, sempre, è il suggerimento che gli rivolgerei citando un suo testo. Ripeto, pur molto bravo, l'ho trovato per certi versi poco comunicativo, come un bicchiere di latte coperto dalla panna e per questo difficile da gustare in pieno. Magari mi ricrederò la prossima volta...
Umberto Maria Giardini: è noto a chi ci legge che mi piaccia molto. La dimensione teatrale è a mio avviso ideale per valorizzare i brani di La dieta dell'imperatrice. Il pubblico, divenuto numeroso verso le 22, ha gradito. Circa 200 persone (non male per un martedì sera) si sono spellate le mani in applausi sorridendo a trentadue denti per il gradimento, ma mi domando, se devo muovere una critica, quanto questo set possa essere adatto ad un festival o a un club con un pubblico meno attento... Sonorità noir, elettriche ma decisamente cupe, con un Rhodes distorto che marchia questo disco che parla d'amore e di morte rendendolo riconoscibilissimo e peculiare. Servirebbe, però, un'iniezione di nuovi brani, per dare qualche spunto diverso ai fedelissimi che non perdono una data. Due parole anche sulla band, sempre più bravi ogni volta.
In generale una bellissima serata. Alla faccia di chi affollava il Rocket dove trasmettevano in anteprima il nuovo singolo dei Ministri. Roberto Conti




26 gennaio 2013

Grenouille - Il mondo libero - Rec. in 10 parole














Il mondo libero, uscito per l’etichetta Milano sta bruciando (creata dalla band stessa), è il secondo album dei Grenouille (terzo se consideriamo anche l’EP del 2011). Produzione e mixaggio statunitensi per un rock alternativo che racconta le persone che vivono ai margini della società e lo sfacelo politico e sociale dei nostri tempi.

Recensione in 10 parole: rock alternativo italiano buono ma prevedibile. Convincente ma non completamente (uno dei pochi casi in cui le dieci parole chiariscono il concetto senza bisogno di ulteriori parentesi tranne questa). Marco Maresca

Voto: **/

Tracklist:
1. D.S.M.
2. Poveri suonatori
3. Binario 21
4. Reality show
5. Il mondo libero
6. La droga più pesante
7. Il porno è la democrazia
8. Sulla linea di confine
9. Come una goccia d’acqua
10. Solo per te stesso
11. …E’ il nostro destino
12. La fine del mondo

Schizzi di prog-rock con gli Action dead mouse

Bologna è una città freak e radicale e dal capoluogo emiliano, tra i vicoli studenteschi, possono nascere band che regalano spunti interessanti e lontani dal consueto panorama rock mainstream tricolore. E’ il caso degli Action Dead Mouse che dopo aver pubblicato due dischi (“Pets and nerds attacks planet earth” del 2007 e “Revenge of doormats and coasters” del 2009, più l’ep uscito durante le feste natalizie dell’anno scorso “Perché questa casa ci esplode negli occhi?”) tornano con “ä”, dal titolo minimale ed enigmatico, in cui avviene la continuazione e la maturazione dei lavori precedenti.
Suoni prog-rock con un retrogusto di hardcore che vivono di ritmi che percuotono ed ipnotizzano, senza lasciare troppa tregua per rilassarsi. Un sound nervoso, ma in fin dei conti ricercato con ritmiche sincopate: un sound che ricorda molto i Mars Volta anche se non mancano richiami post-punk degni dei migliori Bloc Party (“Tonight it’s electric”) e degli Elbow (“Goodbye my postdamer”). Venendo ad “ä”, l’apertura è affidata all’ipnotica “Eschaton in Kleistpark”, che vive di cambi continui di tempo e di un canto urlato insistente. Poi è il turno della sincopata e incalzante “Divided city anthem”, i King Crimson proiettati ai giorni nostri.
Il connubio perfetto prog-new wave prosegue con “Smells like Lenny Chruščёv”, che di Nirvana ha solo il titolo: chitarre, basso pulsante e batteria instancabile generano un suono potente e lisergico, che ha le proprie radici nella psichedelia ma arriva all’elettronica in loop (“Cut off flowers dead flowers”). L’ipnotismo è la chiave di questo disco enigmatico e surreale, ma in fin dei conti vive di un sound compatto che segue un filo logico. Per questo motivo il giudizio sui Action Dead Mouse è decisamente positivo, dato che c’è un idea e un’identità di fondo nelle loro intenzioni musicali. Una pepita brillante nel nascosto sotterraneo alternativo bolognese. Marco Pagliari

25 gennaio 2013

Caffiero - Moscagrande - Rec. in 10 parole














Abbiamo ascoltato Moscagrande del trio fanese Caffiero che mischia un’elettronica minimalista e strana che lascia spiazzato l’ascoltatore attraverso un uso sapiente del dub, del funkie e dell’elettronica lo-fi. Davvero interessante.

Recensione in 10 parole: Elettronico (perché suona così), noise (i suoni sono molto “appiccicosi”), lo-fi (sicuramente un loro marchio di fabbrica), suonato (non ci sono solo macchine e synth), geniale (perché alcune trovate stilistiche sono fenomenali), cross over (perché “attraversa” generi diversi), inquietante (perché se lo ascoltate la notte potrebbe farvi venire l’ansia), psichedelico (perché ascoltare questa musica non è certo per gente normale), minimalista (perché i suoni non abbondano di certo) ed infine lo definirei pazzo (e qui non c'è bisogno di spiegazioni). Marco Colombo

Voto ***

Tracklist:

1) A damn fine cup of coffee
2) Bullshit
3) Chinaboy
4) Violence in the kitchen
5) 3 by the gin
6)Tubi, ceci n’est pas une pipe
7) Secondo
8) My skeleton is older than my father
9) John Starks
10) Caffiero nei boschi secchi
11) Van Der Krafteshe (bonus track)

24 gennaio 2013

Honeybird & the birdies - You should reproduce - Rec. in 10 parole















You should reproduce è la frase che una ginecologa ha detto, durante una visita, alla cantante di Honeybird & the birdies. Da alcune considerazioni scaturite dopo la miope esortazione della dottoressa, nasce un album controcorrente che esalta la vita in tutte le sue forme, non solo quelle a scopo riproduttivo. L’etichetta è Trovarobato e la distribuzione è a cura di Audioglobe.

Recensione in 10 parole: world music, poliritmia, inglese, italiano, catanese e tedesco (le lingue dell’album), Kickstarter (anche questo disco è nato grazie ad una raccolta di fondi), fresca (la parte musicale, ma non in tutti i brani), superato (il cantato, una piccola critica che si spera possa servire in vista di un prossimo album). Marco Maresca

Voto: **/

Tracklist:
1. To the Earth’s core
2. Elastic stares
3. East village
4. Where d’ya live yo?
5. Swimming underwater
6. Canopy dream
7. Eine kalte Geschichte
8. Perejil
9. Cajaffari
10. You should reproduce

23 gennaio 2013

Tre giorni coi migliori cantautori. La rassegna del teatro Martinitt di Milano parte lunedì 28

Non capita tutti i giorni di imbattersi in una rassegna, per giunta in un teatro, che investa sulla musica italiana d'autore. Ma se non volete perdervi quelli che saranno i De Andrè o i Battiato di domani (per me lo sono anche oggi, ma si sa che in Italia i tempi sono da elefanti) fate un salto dalle parti del Teatro Martinitt di Milano che propone un vero e proprio festival musicale della durata di tre giorni. Continua così anche nel 2013 la voglia di proporre e promuovere musica in uno dei luoghi più adatti per poterla apprezzare appieno e permettere, allo stesso tempo, a tutti di potervi partecipare grazie ai prezzi popolari come da filosofia della rassegna. Sono stati scelti sei progetti tra i più promettenti tra tutti quelli che si sono affacciati nell’ultimo periodo. Artisti già pronti a spiccare il volo o che già si sono fatti conoscere su palcoscenici prestigiosi oltre che sul grande schermo. Non mancheranno inoltre sorprese ed eventi di contorno al fine di rendere queste tre serate un unico evento in grado di scaldare i cuori e gli animi nelle giornate più fredde dell’inverno. Tutto nel segno della musica Live. Tre giorni, sei concerti, attraverso l’intrigante formula del Double Bill: due artisti, due band che si divideranno il palco in ognuna delle tre serate. Ad alternarsi sul palco il meglio della musica italiana in circolazione e non solo: il 28 Gennaio aprirà il Festival un graditissimo ospite straniero Matt Elliott, seguito da The Niro che presenterà alcuni brani del suo nuovissimo album in uscita a Marzo; il 29 Gennaio sul palco Alessandro Grazian con il disco uscito ad ottobre che include la collaborazione di Leziero Rescigno (La Crus, Amor Fou) e Umberto Maria Giardini con le sue sonorità vicine ai classici del rock femminile inglesi; per chiudere Dimartino una delle voci italiane più promettenti del cantautorato rock indipendente e Thony protagonista, come attrice-cantante, dell'ultimo film di Paolo Virzì il 30 Gennaio. Roberto Conti

Inizio concerti: ore 21.00
Ingresso Singolo Giorno: 12 € + d.p.
Abbonamento Tre Giorni: 30 €
Prevendite attive su circuito Vivaticket, Happyticket e biglietteria Teatro Martinitt tel. 02 36580010, via Pitteri 58 - Milano

18 gennaio 2013

Cinque candeline per Provincia cronica. Scopri il premio dedicato a racconti, poesia e fotografia che ti porta a Balla coi cinghiali

Bentornato Provincia cronica, tu che togli la cravatta alla letteratura portando sul palcoscenico di un festival bello e importante come Balla coi cinghiali l'ironia di una filastrocca anti-leghista e la malinconica denuncia di una raffineria che inquina inesorabilmente il grande fiume. Per il tuo quinto compleanno porti in dote, oltre ai racconti e alla poesia, pure la fotografia. Cresci sano e robusto, dando la certezza ai tuoi partecipanti che saranno giudicati onestamente e inesorabilmente, senza sconti e senza amicizie. Chi vince e chi perde, poi, si ritroverà invitato a bere un buon bicchiere di vino, a discutere del proprio racconto o della propria foto... Si socializza, ci si confronta, si cresce. Ci si diverte!

Per questo il nostro Premio, uno dei pochissimi che abbina musica e letteratura, è unico e ci piace così tanto. Lo coccoliamo come un figliolo e coccoliamo i nostri autori, che infatti anno dopo anno partecipano sempre più numerosi diventando un po' come una famiglia.

Quest'anno i temi tra cui scegliere sono numerosi: ci sono temporali e rivoluzioni (ecco la solita traccia che richiama un disco, questa volta di Giuliano Dottori), il racconto di un concerto, magari proprio attraverso gli scatti dei tanti fotografi appostati sotto un palco. E ancora l'enigmatica traccia dedicata ai denti - magari che ballano un tango - alla mano e alle radici, indispensabili per farci restare ben saldi a terra. Proprio la terra, anzi al territorio, è invece lo spunto offerto dall'ultima traccia, Ticino, dedicata a un fiume un tempo azzurro... per parafrasare una poesia della scorsa edizione.

Un'ultima cosa da sapere: per partecipare c'è tempo fino al 15 maggio. Noi vi aspettiamo, voi non trovate scuse! Clicca qui per il bando completo.

AsapFanzine
Balla coi cinghiali
Comune di Cerano

Ministri - La band attraverso i videoclip, da quelli live a Sterven Jonger

Un’uscita discografica particolarmente attesa, prevista per la primavera del 2013, è sicuramente il nuovo album dei Ministri. Per rinfrescarci la memoria prima del nuovo disco, ripercorriamo luci ed ombre del power trio milanese, avvalendoci anche di qualche videoclip.
I Ministri esordiscono discograficamente sul finire del 2006 con I soldi sono finiti. Testi ermetici ma brillanti, critica sociale portata all’estremo, produzione molto grezza, suoni ruvidi, alcune ottime idee intervallate da qualche brano rimasto all’epoca dei Nirvana. Voci a metà tra melodia e scream, campionario da popcore a metalcore ed un brano, Abituarsi alla fine, con forti velleità live. La prima edizione del disco ha la particolarità di contenere provocatoriamente una moneta da un Euro per ogni copia. La Venus distribuisce capillarmente il disco su tutto il territorio nazionale, nonostante la mancanza di una major alle spalle.
Per i due anni seguenti, i Ministri, abbigliati con le loro giacche napoleoniche, non sembrano avere difficoltà a procacciarsi date dal vivo, ma questo avveniva già nei due anni precedenti all’uscita dell’album. Chi storce il naso, non può che indispettirsi maggiormente all’uscita dell’EP La piazza, nel 2008, sotto la major Universal. A parte l’omonimo singolo, dai toni melodici, sostanzialmente ci sono ancora molti elementi metalcore pienamente conformi ai dettami dell’epoca ma abbastanza lontani dal pubblico importante. Nell’EP c’è anche Diritto al tetto, altro brano di punta nei concerti.
Nel 2009 è la volta dell’album Tempi bui. I toni sono cupi, vicini alle preoccupazioni della gente, soprattutto dei giovani, per la crisi che travolge tutto: economia, occupazione, relazioni, ambiente, società. Per il singolo Bevo vengono realizzati ben due videoclip. La faccia di Briatore è un altro singolo importante, ma i Ministri rinnegano presto l’esecuzione di questo brano dal vivo: il messaggio della canzone fatica a passare, sovrastato dalla rilevanza mediatica del personaggio del titolo. E se poi si spegne tutto, ultimo singolo, ci porta in un mondo simile a quello descritto da Mauro Corona ne La fine del mondo storto: sarà difficile far fronte alla fine di quest’epoca in cui abbiamo avuto tutto. Non abbiamo imparato a lottare per la sopravvivenza, nel caso ci venisse tolto quello che abbiamo. Di questa tematica i Ministri ne sanno qualcosa, e presto vengono a galla alcuni loro fatti privati. Si scopre che i tre ragazzotti sono figli della Milano bene. Provengono da famiglie decisamente importanti, frequentavano il liceo Berchet, nelle loro canzoni parlano di tematiche care al popolo ma in passato hanno avuto tutte le carte in regola per superare la gavetta in modo indolore. Una parabola che ha forti analogie con quella compiuta trent’anni prima dai Decibel, dai quali è emerso poi Enrico Ruggeri.
Nel frattempo i Ministri fanno a pezzi la prima versione delle loro giacche distintive e i brandelli vengono inclusi nella ristampa de I soldi sono finiti. L’attività concertistica prosegue in modo estenuante e chi assiste ad un loro show è costretto a mettere da parte la diffidenza iniziale. La band dimostra una sorta di inspiegabile quanto innegabile X factor che la rende totalmente diversa da qualsiasi altra realtà musicale italiana. I Ministri sono snob ma sanno anche essere sanguigni, e ai concerti si vedono scene di stage diving degne dei Guns n’ roses.
Nel 2010, a un anno e mezzo di distanza da Tempi bui, anticipato dal video de Il sole, esce l’album Fuori. La svolta pop è un passo avanti verso la consacrazione. Il video del singolo Gli alberi viene trasmesso a rotazione sui canali musicali, così come Tutta roba nostra, brano elettronico ed intrigante con connotazioni ecologiste. Noi fuori è l’apice: più che una canzone è un manifesto programmatico. Nel 2011 c’è un’altra ristampa del primo album, stavolta comprendente anche tre brani del successivo EP. Il remaster dona nuova linfa al prodotto, che stavolta è pienamente al passo coi tempi. Contemporaneamente, i Ministri partecipano a qualsiasi festival o evento pubblico, compreso il concerto per la candidatura di Pisapia. Il tour sembra interminabile e si conclude con un memorabile show gratuito nell’atrio della Stazione centrale di Milano. A seguire, una lunga pausa interrotta soltanto dall’apparizione allo Sziget festival di Budapest. Per quanto riguarda il nuovo album, le uniche cose certe sono il passaggio alla Warner, la registrazione effettuata alle Officine meccaniche, e un nome grosso: Tommaso Colliva, produttore degli ultimi tre album dei Muse. Qualsiasi cosa i Ministri ci riservino per il 2013, sicuramente non passerà inosservata. Marco Maresca

VIDEOCLIP:
Del primo album non ci sono video ufficiali, però c'è questo,  che è un bel video live di Abituarsi alla fine.




Poi, suddivisi per album:

















17 gennaio 2013

Le ritmiche primitive degli Hardcore tamburo


Sick tamburo e Hardcore tamburo hanno ovviamente molto in comune. A partire da Gian Maria Accusani, passando poi per l'etichetta La Tempesta dischi, e poi per La canzone del rumore, brano già presente nell'album A.I.U.T.O. della band di Accusani ed Elisabetta Imelio. Kleiner Mann è un album che riprende (pari pari) le elettroniche claustrofobiche e ossessive dei primi due album dei Sick tamburo e le dà in pasto ad un collettivo di percussionisti che battono ripetutamente su un bidone di metallo. L'effetto potrebbe essere molto arcaico, tribale, quasi da danza sacra intorno al fuoco, se non fosse per l'effetto secco e metallico delle percussioni registrate nel disco. Ne risulta quindi l'opposto: un progetto che sa di industrial ed anche un po' di futurismo. Un sound "primitivo industriale", com'è stato definito dallo stesso collettivo di artisti. Il numero di componenti del progetto varia in base alle situazioni. Alcuni sono batteristi, anche importanti, della musica indipendente italiana, ma i loro volti e nomi non sono stati resi noti: ognuno di essi è riconoscibile soltanto da un numero identificativo (un po' come i componenti degli Slipknot).
La voce di Accusani, rielaborata, intrisa di eco e mantenuta a livello basso nel mix, è un filo che unisce i brani. Qualche traccia è cantata in inglese, altre in tedesco, altre in italiano. Il cantato esce fuori dal mix verso metà album, nel già conosciuto brano La canzone del rumore, che come già accadeva in A.I.U.T.O. dei Sick tamburo, anche qui funge da chiave di lettura del disco e del progetto. Ad eccezione di On the road again, che va a pescare da un'idea forse un po' troppo "british" della musica elettronica, gli altri brani sono tutti molto validi, in particolare Move and fight, per la quale è stato realizzato anche un videoclip, e Kleinen mann. Interessante anche Di sangue e di sudore, traccia che si distacca un po' dalle altre e che potrebbe tranquillamente essere un brano dei Sick tamburo se non fosse per il livello acustico della voce, mantenuto basso, e per i ritmi percussivi potenti, secchi, devastanti. Un brano complessivamente vivace e solare rispetto alle atmosfere cupe che pervadono l'album.
Tachicardia, claustrofobia, ansia, fisicità, adrenalina da animali primitivi e nevrosi tipiche dell'uomo moderno si fondono sapientemente in un album che apre il 2013 nel migliore dei modi. Ormai, nonostante le maschere, si sa con chi abbiamo a che fare: mai sottovalutare Gian Maria Accusani. Marco Maresca

Tracklist:
1. Full of you
2. Gute nacht
3. Cry
4. Move and fight
5. La canzone del rumore
6. On the road again
7. Kleinen mann
8. Di sangue e di sudore
9. HCT single

16 gennaio 2013

Mirko Colombari - Bok - Rec. in dieci parole















Bok, parola che in dialetto reggiano indica i rovi, è l'album d'esordio di Mirko Colombari, cantautore pop di provincia.

Recensione in 10 parole: semplice, diretto, casereccio (finalmente... dopo tanti intellettualismi ascoltati finora, nonché dischi che sanno di radical-chic), ruvido, acerbo, migliorabile (soprattutto il cantato), Ligabue (i giri di accordi sono quelli), Finardi (degli esordi), provincialismo (quello sano, un po' anni '90, che ha fatto la fortuna di gente come Max Pezzali), positiva (l'impressione sull'album e sull'artista, nonostante ci sia ancora un enorme lavoro da fare). Marco Maresca

Voto: **

Tracklist:
1. Amore vs anarchia
2. Vivo
3. Desmo boys
4. Covent garden
5. Magica
6. E pensare che volevo...
7. Mia regina
8. Due passi
9. Canazei

Sacri cuori - Lido - Rec. in dieci parole
















Dopo gli apprezzamenti nel primo album d’esordio Rosario, passato il periodo delle festività, i Sacri cuori ci regalano l'ep Lido. Quattro canzoni in cui atmosfere western, tex-mex e bluesy si mescolano all’interno di un sound che prende un po’ dai Los Lobos, un po’ da Ry Cooder e – perché no? – anche da Morricone. Quattro piccole opere d’arte che congiungono lo Romagna (terra d’origine dei nostri) ai deserti Mariachi, registrate con la presenza di ospiti di eccezione: c’è David Hidalgo, leader dei Los Lobos, il chitarrista Marc Ribot (Tom Waits) e il mini cammeo di Hugo Race che mette una calda voce narrativa in Bar Atlantis – Land of thousand: “Sto guardando lo scioglimento del ghiaccio / nella desolazione balcana del Bar Atlantis”. Quando il sound del deserto incontra quello dell’appennino.

Recensione in dieci parole: western e tarantiniano (Lido), profondo, e bluesy (Steamer). Atmosfere “on the road” e profumo di deserto: sconfinato. Marco Pagliari

Voto: ***/

Tacklist:

  1. Lido
  2. Steamer
  3. Teresita
  4. Bar Atlantis – Land of thousand

15 gennaio 2013

I Sikitikis si raccontano in undici domande


La band sarda Sikitikis si racconta in undici domande/risposte. Il loro nuovo album Le belle cose,di cui abbiamo parlato recentemente, è una conferma delle capacità artistiche del gruppo. Infatti già con il loro disco d'esordio Fuga dal deserto del Tiki avevano lasciato intendere che  avrebbero avuto  altro da dire. Tra non molto inizierà il loro tour che toccherà varie città italiane.
In mezzo a tanto buio, la luce che i Sikitikis emanano con il loro disco rischiara e illumina il cielo coi tanti colori di cui è fatta la loro musica. Bisognerebbe ricordare sempre le loro parole:
“qualcuno non ama le belle cose perchè le belle cose sono la morte dei cattivi pensieri”.

Le belle cose (vostro recente lavoro) è una fusione di tanti generi musicali. La sensazione che
mi date e che abbiate tante cose da dire/fare e che il tempo e lo spazio non siano mai
sufficienti. Se non basta un disco che si fa?
E' un punto di vista interessante, il tuo. E' la prima volta che abbiamo un feedback del genere. E
forse hai ragione tu. Non abbiamo sufficiente tempo e risorse per fare tutto quello che vorremmo.
Quando un disco non basta, si fa in modo che tutto prenda la forma del disco stesso. La
comunicazione, in primis, assume le sembianze dei contenuti delle canzoni e ne viene influenzata. Il
disco e la sua promozione non sono più due cose separate, due fasi consequenziali dello stesso
lavoro, ma divengono la stessa cosa.

Avete scelto di fare ascoltare il vostro disco in download gratuito. Ma qual è la vostra
intenzione specifica? Far arrivare la vostra musica a più orecchie possibili? Permettere anche
a chi non può comprare dischi di ascoltarvi? Far capire che la musica oggi e proprio questo?
Poco tempo fa, guardavo un documentario sugli impressionisti e sono rimasto colpito dalle affinità
fra il loro lavoro e il nostro. Mi spiego meglio, in contrasto con l'apparente superficialità, la
pacatezza e la leggerezza dei loro soggetti, i pittori impressionisti erano mossi da una profonda
esigenza di rottura e dall'urgenza di raccontare i cambiamenti della società parigina alla fine       dell'Ottocento, con pennellate che, se osservate da vicino, rivelano il nervo e l'energia di chi le ha impresse sulla tela.
Mi ha divertito rivedere in quel movimento il lavoro che i Sikitikis hanno fatto per Le belle cose.
Anche noi siamo andati alla ricerca di una superficialità, una pacatezza e una leggerezza solo
apparenti.
Il download gratuito è la scelta che trasforma questa pseudo-superficialità in un gesto di rottura.
Mettere a disposizione di chiunque la nostra musica – legalmente - è solo il primo dei passi che
abbiamo intenzione di fare in questa direzione. Presto nascerà qualcosa di molto più importante
legato a questo. L'intenzione non è solo quella di far arrivare la musica a quanta più gente possibile,
ma anche quella di conoscere un numero il più possibile preciso di persone che ascoltano la nostra
musica. Elemento che nell'atutale sistema di diffusione è praticamente impossibile da avere. Avendo
come unica fonte di distribuzione un solo link, questo rende il dato, se non preciso, comunque più
veritiero.

I Sikitikis sono la testimonianza più attuale (almeno in Italia) di quanto la rete sia sempre più
spesso veicolo di “contaminazione” musicale. Quanto e come può essere importante interagire
con tutto ciò che ne fa parte, Social Network inclusi?
Il caso dei Sikitikis è simile a quello di diverse band della nostra generazione, che hanno trovato
nella rete – in particolare nei social network – l'elemento ideale per sviluppare il proprio progetto
musicale.
La nostra esperienza passa soprattutto attraverso il meccanismo di condivisione fra facebook e
youtube. Questo ha portato i nostri video ad avere una gran numero di click “spontanei” che , senza
bisogno di una vera e propria promozione in senso tradizionale, hanno attecchito e si sono diffusi
nelle pagine e nei diari dei nostri amici e poi degli amici degli amici e così via, moltiplicando
esponenzialmente le nostre visualizzazioni.
Per ora, direi che più che importante, l'interazione fra social network è necessaria. Probabilmente,
allo stato attuale è l'unica strada posssibile per l'auto promozione.

Molti vostri colleghi considerano i concerti la parte fondamentale della propria attività
artistica. Voi che ruolo attribuite ai live?
A Marzo compiremo il nostro quattrocentesimo concerto. Questo numero dovrebbe fornire la
misura di quanto è importante il live nella nostra attività. E' tutto. E' sostentamento, linfa,
laboratorio, divertimento, interazione. Per quanto il lavoro in studio possa dare enorme
soddisfazione, il concerto resta il motivo fondamentale per cui (e grazie al quale) continuiamo a fare
questo mestieraccio.

Dagli studi di Casasonica all'attuale Sugar. In cosa sono o si sentono cambiati i Sikitikis
dall'esordio discografico di Fuga dal deserto del Tiki?
La doverosa premessa da fare è che mentre Casasonica era la nostra etichetta discografica, Sugar è
soltanto la casa editrice delle nostre canzoni. La differenza è sostanziale e fa si che i Sikitikis siano
oggi una realtà discografica assolutamente indipendente e autoprodotta in partnership con la Infecta
di Manuele Fusaroli, nostro co-produttore artistico.
I cambiamenti negli ultimi 8 anni sono stati moltissimi, prima come persone e poi come musicisti.
Il periodo di Casasonica è stato straordinario, gli esordi emozionanti, l'entusiasmo e la convinzione
che si stesse facendo parte di qualcosa di bello e irripetibile. In quel periodo abbiamo costruito le
basi della nostra esperienza e abbiamo abbracciato persone che, ancora oggi, sono legate a noi, ci
sostengono e ci vogliono bene.
La fine di quella fase della nostra vita ha poi portato i grandi cambiamenti che oggi costituiscono i
tratti del nostro modo di produrre e diffondere musica.
Nel frattempo siamo cresciuti, eravamo ragazzi e siamo diventati uomini, siamo andati via di casa,
ci siamo sposati, separati, abbiamo avuto figli, abbiamo litigato, ci siamo riavvicinati di nuovo, più
forti di prima, e ci siamo ubriacati ancora. Abbiamo fatto molti concerti e il pubblico sotto il nostro
palco è cresciuto con noi.
In sintesi direi che se in Fuga dal deserto del Tiki eravamo dei ragazzini sognatori, con Le belle
cose siamo degli adulti sognatori.

Siete originari di un'isola bellissima che dovrebbe essere considerata area protetta sia a livello
ambientale e paesaggistico che culturale e invece e stata troppo spesso ferita e maltrattata
(come del resto un po' tutta l'Italia). Cosa secondo voi si potrebbe fare per rimediare almeno
in parte?
Questa è un argomento che non può che starci a cuore. E' da anni, oramai che - più o meno
direttamente – sosteniamo la causa indipendentista della Sardegna. E' importante però saper leggere
l'indipendentismo sardo in chiave non-violenta, europea, nel rispetto della coscienza e delle
volontà dei sardi.
Semplicemente siamo convinti che in una realtà geopolitica come la nostra isola, sia necessario un
tipo di politica legata al territorio e alle sue esigenze, molto più che per altre realtà. Sappiamo che il
potenziale della nostra terra è straordinario e siamo consapevoli che il percorso che ogni sardo deve
fare per contribuire ad esprimerlo è profondo quanto assolutamente necessario.
Non vediamo alternative, in tal senso, se non una strada che porti ad una repubblica indipendente,
esattamente come sta accadendo in Catalogna e in Scozia.






Siete grandi appassionati di cinema e in particolare di colonne sonore di vecchie pellicole. Mi
parlate di come nasce questa passione e delle colonne sonore che avete composto.
E' una passione che parte da lontano, da quando io (Diablo) e Jimi suonavamo in una band che
prendeva il nome da un film di Quentin Tarantino: Canidarapina.
Jimi è sempre stato un grande appassionato di colonne sonore e di cinema, del quale oggi è uno dei
maggiori esperti che conosca (ho ragione di credere che sia uno dei massimi esperti in Italia,
sull'argomento). Con la mia passione, più viscerale che accademica, ho trovato in Jimi un
compagno di band con cui condividere anche un percorso di ricerca sull'argomento, prima come
speaker radiofonici in un programma settimanale su un'emittente locale, poi come musicisti con la
nascita dei Sikitikis.
La prima volta che abbiamo lavorato su una colonna sonora originale, è stato per Jimmy Della
Collina di Enrico Pau, un lungometraggio tratto da un libro di Massimo Carlotto. Nel tempo
abbiamo anche lavorato per diversi corti indipendenti e abbiamo contribuito insieme ad altri artisti,
alla colonna sonora di Cosmonauta di Susanna Nicchiarelli che nel 2009 vinse il Fetival di Venezia.
Abbiamo inoltre realizzato diverse rivisitazioni e sonorizzazioni prodotte, fra gli altri, dal teatro
Ambra Jovinelli e dal Palazzo delle Esposizioni di Roma.

Dopo le colonne sonore, dobbiamo aspettarci sceneggiature e regia (magari dei vostri video)?
Fa parte dei vostri progetti?
Abbiamo quasi sempre fatto del buon lavoro di squadra con i registi dei nostri clip. Per esempio il
soggetto del nostro primo video (Non avrei mai) è nostro. Seppure non possiamo ritenere totalmente
improbabile l'ipotesi che in futuro si possa essere registi dei nostri videoclip, per ora tendiamo ad
escluderlo. Ci piace fare le cose per bene, e per fare le cose per bene, ci voglio professionisti capaci.

Nel brano Hai fatto male parlate di stretta attualita. Vi riferite a qualcuno in particolare o e
un messaggio generico per tutti?
Che differenza fa? (ci vorrebbe uno smile di quelli da telefonino, qui) E' un argomento universale,
certo, ma è ovvio che ognuno di noi ha esempi intorno che ci raccontano dei quarantenni che ancora
vivono a casa dei genitori, esattamente come nel periodo dell'adolescenza.
Personalmente credo che solo in parte la colpa sia della situazione sociale. A volte credo che la
famiglia dia pochi stimoli – per così dire - ai propri figli, per spingerli alla ricerca
dell'indipendenza.

La mia piccola rivoluzione (uno dei miei preferiti) è un brano che parla delle piccole grandi cose dell'amore. Ma cos'e esattamente per voi questa piccola rivoluzione, una speranza?
Oh no! La piccola rivoluzione è una certezza. E' la nostra, è la mia, la tua. E' la lotta quotidiana che
compiamo. Apparentemente è inutile, ma se perseveriamo in una direzione, e lo facciamo con
passione pura, disinteressata e genuina, arriverà un giorno in cui guardando la strada lasciataci alle
spalle, ci renderemo conto che abbiamo compiuto una piccola rivoluzione, su noi stessi, che ci ha
reso un po' meno coglioni, appunto.

Tema purtroppo di grande attualita è la violenza sulle donne. Cosa ne pensate?
Sulle donne, sui bambini, sugli anziani, sui malati, sui poveri, sui lavoratori e ovunque, oserei dire
che è la violenza in generale che fa piuttosto schifo.

Intervista di Alessandra Terrone

14 gennaio 2013

Dalla Liguria ecco Geddo, un nuovo cantastorie


Geddo (aka Davide Geddo) presenta il suo nuovo album Non sono mai stato qui, quindici brani che parlano di tutto ciò che cambia dentro e fuori ciascuno di noi, anche grazie all'esperienza maturata. Si tratta del secondo lavoro per il cantautore ligure, registrato nell'Hilary studio di Genova, con la collaborazione, tra gli altri, di giovani artisti e noti strumentisti.
Geddo è un cantastorie con un approccio musicale che ricorda molti cantautori italiani dai quali trae  la giusta ispirazione. Racconta con semplicità e spiccata ironia le sue storie piene di spaccati di vita. Apprezzabile il mix di strumenti (piano, violini, fiati, ecc.) ben utilizzati. Niente eccessi buttati là solo per stupire.
Al sound tipicamente cantautorale si mescolano spesso folk, blues e ritmi da cabaret. Nel brano Venezia si avverte una non troppo velata accusa al "sistema turismo" che pare snobbare la gente comune emarginando così chi non può permettersi gli alberghi superlusso in laguna.
Angela e il cinema con il suo testo divertente e ironico ricorda il buon vecchio Buscaglione. Il Post amore (cantata a due voci) è una sintesi sull'evoluzione dell'amore vista da Geddo. Tra i vari brani Tristano è un pezzo originale in cui si ritrova un po' Paolo Conte e un po' il cabaret ben noto dalle nostre parti, le regole di Tristano e le trombe che arrivano direttamente dal Messico lo rendono anche divertente.
Dall'amore (interventi di modifica alla viabilità) - già il titolo è tutto un programma - ha ritmi di ispirazione gitana. In Piccolina il vino è protagonista, come già in altri brani dell'album, di una canzone ritmatissima. Nancy è invece una ballata dedicata all'unica donna che l'autore vorrebbe amare e che non avrà mai. L'album si chiude con il brano che dà titolo a tutto il lavoro Non sono mai stato qui e che permette a Geddo di congedarsi quasi in punta di piedi. Per i cultori del genere. Alessandra Terrone

11 gennaio 2013

The rust and the fury - May the sun hit your eyes - Rec. in 10 parole











The rust and the fury è una band perugina attiva dal 2004 che, dopo alcuni cambi di formazione, ha finalmente trovato la propria identità musicale e ha pubblicato per La Fame dischi l'album d'esordio intitolato May the sun hit your eyes.

Recensione in 10 parole: inglese (il cantato), internazionali (le intenzioni dell'album), indie rock, Arcade fire (riecheggiano spesso, nell'album), completo, convincente, ottimamente arrangiato (l'album, e tutto ciò riesce a compensare la parziale mancanza di originalità in alcuni brani). Marco Maresca

Voto: ***/

Tracklist:
1. Roundabouts
2. Francis with God
3. Laughing for nothing
4. Keep on
5. Be the one
6. She was too late
7. These days
8. Devi

10 gennaio 2013

Musicraiser: tra opportunità e polemiche ci hanno provato anche i novaresi Birra2O

In Italia da qualche mese il mondo della musica è in fermento grazie a Musicraiser: il progetto di crowfounding made in Italy segue la scia di modelli analoghi che hanno spopolato negli Usa come Kickstarter e Indiegogo. Per spiegare il successo ormai globale del sistema crowdfunding, basta citare la raccolta fondi che Barack Obama fece nelle vittoriose presidenziali di quattro anni fa. Con le debite proporzioni, hanno colto l’opportunità anche i novaresi Birra 2O, che hanno utilizzato la piattaforma per chiedere contributi ai fan per la realizzazione di un nuovo disco. “Siamo state tra le prime band a credere in Musicraiser – spiega Walter (Pilaf) Roncaglia – cogliendone le potenzialità per sia per realizzare eventualmente un disco, sia per la visibilità offerta da questo strumento che è un “nuovo media” a tutti gli effetti”. Tutti coloro che decideranno di contribuire con una donazione a uno specifico progetto, riceveranno in cambio delle ricompense esclusive in proporzione alla cifra versata: l'album autografato, il pass per il backstage, il proprio nome nei credits del disco o uno showcase esclusivo.
“Uno degli scopi principali del sito è quello di favorire in maniera agile e diretta l'autoproduzione sostenuta dai fan e fornire uno strumento valido che porti gli artisti a vedere realizzate le proprie idee. Ogni progetto, una volta approvato dallo staff di Musicraiser, avrà un blog specifico sul sito nel quale si potranno caricare contenuti video per presentare l'idea e tramite un widget la pagina potrà apparire anche sui social network di riferimento come Facebook o Twitter, in modo da aumentare il bacino d'utenza. Noi Birra 2O abbiamo realizzato un video decisamente ironico, partendo dal presupposto che oggi per sopravvivere nel panorama discografico bisogna essere quasi dei supereroi”. Al momento il progetto dei Birra 2O ha raccolto una cifra molto contenuta, lontana dal traguardo, ma restano ancora diversi giorni per centrare l’obiettivo: “Prima del lancio di Musicraiser non conoscevamo il meccanismo del crowfounding e ci abbiamo creduto immediatamente. In verità, va detto – spiega Pilaf – per quei gruppi che hanno alle spalle un’etichetta o una fan base consolidata è sicuramente più facile raggiungere l’obiettivo prefissato, ma noi abbiamo voluto provarci ugualmente”.
“Quello che mi rammarica maggiormente – conclude - sono le invidie e i malumori che la nostra scelta ha generato in alcuni altri gruppi novaresi, un peccato vista l’assoluta democrazia dello strumento che premia ciò che piace e boccia ciò che non ottiene il gradimento degli ascoltatori. Per noi il fatto che il nostro progetto musicale sia accostato a quello di Gianni Maroccolo o degli Shandon rappresenta già una vittoria. Purtroppo in un contesto dove attorno alla musica ruotano sempre meno soldi, per i gruppi indipendenti è indispensabile sperimentare nuovi canali per farsi conoscere e per poter continuare a suonare dal vivo per il piacere di farlo. La nostra esperienza, dopo due dischi realizzati, ci ha portati a scommettere su questa nuova possibilità e spero che altri gruppi della zona abbiamo l’ambizione di mettersi in gioco, con una buona dose di ironia, così come abbiamo fatto noi”.
Se a livello locale il progetto provoca qualche rumor, a livello “nazionale” sono in molti che hanno criticato l’iniziativa: tra questi c’è il giornalista musicale Federico Guglielmi (Guglielmi ha attaccato su Facebook il crowdfunding definendolo «patetica colletta» e «assurda e tristissima follia») che predica “bene” ma non ricorda che non molto tempo fa anche Il Mucchio, testata per cui lavorava, fece una raccolta fondi per sopravvivere, con tanto di countdown sul sito. Altro “grillo parlante” è l’onnipresente Umberto Palazzo, che ha fortemente stigmatizzato la “colletta” proposta da alcuni suoi colleghi musicisti. Ad ogni modo, è bene ricordarlo, i fan che decideranno di partecipare alla raccolta fondi con pagamenti online, in caso di mancato raggiungimento dell’obiettivo economico prefissato, verranno rimborsati integralmente senza costi aggiuntivi. Roberto Conti

Anteprima dei concerti nel Novarese: in arrivo Litfiba, Battiato, Subsonica, Gemelli Diversi e Ministri

Per il Novarese, in questi primi mesi del 2013, si annuncia una stagione particolarmente ricca di grandi concerti di musica leggera: Litfiba, Franco Battiato, Subsonica, Gemelli Diversi e poi Ministri e Pornoriviste per gli amanti dell’alternative, sono solo alcuni degli eventi che stanno generando attesa e una vera e propria “caccia” al biglietto. Per i Litfiba si è scatenata una bagare per accaparrarsi gli ultimi ticket in vendita a 28 euro: saranno sul palco del Phenomenon di Fontaneto d'Agogna il prossimo 10 aprile. Alle quattro date previste (di cui tre sold out) a Milano di "Trilogia 1983-1989", tour celebrativo della cosiddetta "Trilogia del potere", seguiràla data novarese che si prefigura come un vero e proprio evento. Durante lo spettacolo Piero Pelù e Ghigo Renzulli, insieme ai componenti storici della band Gianni Maroccolo (basso) e Antonio Aiazzi (tastiere), oltre alla new entry Luca Martelli (batteria), daranno nuova vita ai brani che fanno parte di dischi quali "Desaparecido" (1985), "17 Re" (1986), "Litfiba3" (1988) e "Pirata" (1989). Sempre nel locale del Borgomanerese c’è grande attesa anche per i Subsonica attesi per il 15 febbraio non con un concerto ma con un djset che li vedrà proporre brani sia loro che di altre band e remix esclusivi. Il 22 marzo arriveranno i Gemelli Diversi, gruppo di riferimento per molte ragazzine cresciute negli Anni Novarnta, anche loro saranno al Phenomenon così come i Ministri (altra data che si avvia verso il sold out) attesi il 26 aprile. Gli amanti del punk non si lasceranno sfuggire la data delle Pornoriviste alla Rock’n’roll Arena di Romagnano Sesia, il 2 marzo; i fedelissimi del rap aspettano invece Entics previsto il 18 gennaio sempre a Fontaneto. Al Coccia di Novara arriverà il 6 febbraio Franco Battiato nell’ambito del tour del suo ultimo disco “Apriti sesamo”, le prevendite sono già disponibili con biglietti da 38 a 60 euro a seconda del settore del Teatro. Roberto Conti

4 gennaio 2013

Tre allegri ragazzi morti e il profumo della maturità


Non capita a tutti di potersi togliere lo sfizio di avere piena libertà artistica nel realizzare un disco, e neanche di avere il coraggio di cambiare (anche radicalmente). E' questo il caso di Nel giardino dei fantasmi  il ritorno discografico di Tre allegri ragazzi morti, settimo album dopo la parentesi reggae-dub di Primitivi del futuro. Siamo di fronte ad un disco di matrice folk (anche se loro lo definirebbero ugualmente rock'n'roll) pieno di idee, molto contaminato, una veste sonora che a mio avviso calza a pennello al trio di Pordenone, decisamente meglio del reggae.
Nel giardino dei fantasmi è stato registrato da marzo a settembre del 2012 all'Alambic Studio di Valvasone, Pordenone, per la produzione di Paolo Baldini. Il produttore ha organizzato un orizzonte sonoro inedito per il trio, che si avvicina in qualche modo alla ritmica dei Violent Femmes (il loro celebre primo album è stato uno dei riferimenti di partenza), ma anche ad un certo tipo di Fela Kuti. I segreti dello Space Echo si fondono con le chitarre naïf di Toffolo, le architetture della musica caraibica si vestono con i giri blues imparati ascoltando innumerevoli dischi africani. Inevitabile anche l'influenza di un certo tipo di cantautorato italiano, non associabile alla cosiddetta musica leggera.
Il nuovo disco offre anche un approccio a strumenti non ancora frequentati dal trio, come il mandolino, l'ukulele, il balafon, i cucchiai ed il cajon. Alcune chitarre sono state suonate da Andrea Maglia (che seguirà il trio dal vivo), Giulio Frausin e dallo stesso Baldini.
Le canzoni: non troverete risposte o retorica in queste tracce, semmai domande e ritratti. Ritratti di quei fantasmi che occupano la nostra cronaca personale ma anche la nostra fantasia. C'è molta concretezza nel raccontare storie comuni, con un linguaggio quotidiano che appartiene tanto ai giovanissimi quanto alle generazioni nate negli anni Settanta, Ottanta (ma anche Sessanta) a cui i Tarm parlano anche solo per una questione anagrafica. Continuare ad essere attuali nonostante il passare degli anni è forse la scommessa (vinta) più significativa.
Le canzoni si susseguono senza iperboli, senza quei cosiddetti singoli che nella musica d'oggi non hanno più senso di esistere. Quindi molto meglio citare qualche testo che dà l'idea dell'acquerello dipinto del trio di Pordenone: "Bene che sia perdo il lavoro e avrò più tempo per stare con te..." dice Toffolo in Bene che sia evocando due dei fantasmi più paurosi per la nostra generazione, ovvero il lavoro e l'amore.
Bugiardo è invece un'ironica invettiva (in realtà contro un medico) che si avvale di immagini che rimandano alla natura e agli animali, un brano di matrice "tradizionalmente" Tarm, forse per questo l'ho molto apprezzata: "Del vomito si sa ne vanno pazzi i cani, nessuno dei tuoi giochi ci legherà le mani".
"Fare i conti con i soldi contati, dare il meglio solo sul dancefloor, poi addormentarsi rovesciati senza più i vestiti..." è infine la frase che mi ha più colpito della ballata popolare Di che cosa parla veramente una canzone?
Nel giardino dei fantasmi
è un disco convincente, nel quale mi sono pienamente ritrovato senza smarrimento alcuno, e non credo sia solo per il fatto che ho una maschera dei Tarm appesa davanti al letto... Roberto Conti


Tracklist

01 – Come mi guardi tu
02 – I cacciatori
03 – Bugiardo
04 – La mia vita senza te
05 – Alle anime perse
06 – La fine del giorno (canto n° 3)
07 – La via di casa
08 – Bene che sia
09 – E poi si canta
10 – Il nuovo ordine
11 - Di che cosa parla veramente una canzone?


Trees of mint - Rec. in 10 parole















Trees of mint è un progetto musicale di sperimentazione di suoni di chitarra elettrica e loop-machine, ad opera del compositore Francesco Serra. L'album omonimo è pubblicato in vinile e download digitale da Trovarobato / Parade e distribuito da Audioglobe / Digitalea.

Recensione in 10 parole: sperimentazione (per esigenza artistica o per far passare il tempo?), suono, spazio (l'album si gioca sul rapporto tra questi due concetti), quattro (il numero dei brani del disco), titoli (i brani non ne hanno, e anche l'album stesso non ne mostra uno sulla copertina), registrazione (non in studio ma in una stanza ampia, irregolare e con soffitti alti), loop (ogni singolo suono è ripetuto allo sfinimento), fischio (non saprei altrimenti come chiamare quel suono di chitarra che dura per qualche minuto a inizio album: se si riesce a resistere, il più è fatto), curioso (il finale del disco, che mostra una certa musicalità, dopo una mezz'ora di suoni in loop), senso (quello di questo album qual è? io non lo colgo assolutamente). Marco Maresca


Voto: */

3 gennaio 2013

De Gregori stakanovista on the road


“Io mi sento musicista solo andando in giro a suonare: ci sono quelli che fanno un solo concerto per ventimila persone, io preferisco farne dieci per duemila. È un fatto fisico. Il momento peggiore, per me, è quando sono fermo: ho come un senso di colpa, mi sento un perdigiorno”. A differenza di quanto dice Guccini, Francesco De Gregori afferma di non voler assolutamente interrompere la sua attività trentennale, tornando con un tour in cui porterà le nuove canzoni di Sulla strada, album ispirato all’illustre romanzo di Jack Kerouac che giunge a quattro anni da Per brevità chiamato artista.
Nel disco troviamo un sunto di tutto il  bagaglio degregoriano: l’iniziale Sulla strada è una ballata folk dylaniana, la sublime Passo d’uomo fa la voce a Rimmel con l’aggiunta degli archi arrangiati da Nicola Piovani (presenti anche in Guarda che non sono io), c’è il blues mariachi di Showtime e l’intimista Falso movimento. Ma non mancano trovate non proprio “sui generis” come la parentesi jazz anni ’20 per ricordare la Belle Epoque, il tex-mex all’italiana nella stravagante Omero al cantagiro (“Cantami, Omero, cantami una canzone / di ferro e di fuoco e di sangue e d'amore e passione / lo sai che privato e politico / li confondono spesso / Sarà diversa la musica / ma il controcanto è lo stesso”) e il rock corale La guerra.
Sulla strada è un album leggero che regala spunti di ottima fattura, ma non riesce nella sua totalità a catturare l’attenzione di chi lo ascolta. I testi di De Gregori restano sempre godibili e intimisti, anche se difficilmente restano impressi nella mente per parole e significati. In sostanza, un buon allenamento, un omaggio a Kerouac dove il cantautore romano tira fuori con discreto successo pensieri e sensazioni che ha partorito appena varcati i sessant’anni. Marco Pagliari