30 giugno 2013

Fine Before You Came spuntati e molto lontani dalle origini

Non avrei mai dovuto recensire l’ultimo disco dei Fine Before You Came, Come fare a non tornare. Sì, perché io sono rimasto alle compilation Epitaph ed al loro Cultivation of Ease strillato nei Centri Sociali e prodotto su Cd con un bel colore giallo ocra in copertina, allo split coi Mrs. Fletcher, al loro Fantacalcio, ai tantissimi gruppi paralleli come A Sight for sore Eyes e Verme, alle e-mail alle quali ancora rispondevano, alle cover live di Colpa d’Alfredo seguite dalle polemiche, alle birre in Università che tanto ce le siamo bevute tutti, alle loro magliette verdi con Bush che si ingollava la polpetta in conferenza stampa, alle polemiche sulle fanzines tipo “we were fine before fine before you came came”.Per me l’ultimo loro disco è lo split coi Mrs. Fletcher, non rompetemi i coglioni. Se dovessi recensirlo non ci riuscirei, perché francamente non me lo ricordo. Ricordo solo che suonavano forte e suonavano per Heartfelt, e che ai concerti di altri gruppi incontravo Iacopo ed esultavamo assieme, come a vedere gli Scena. Ricordo che erano uno dei miei gruppi preferiti, ed all’epoca non era un fatto così scontato.Se volete ascoltarvi l’ultimo dei Fine Before You Came ascoltatevelo. È innovativo ed  istigatorio, cantato in un italiano ahimè stupendo. Niente cori a ‘sto giro, solo riflessioni, timori permanenti e cocci di bottiglie fra i denti. Comunque non mi diverte e non mi piace. Ascoltatevi i FBYC che suonavano con gli As A Commodore a concerti dove spadroneggiavano le magliette degli At The Drive-In, che venivano ascoltati da gente che i pantaloni stretti li calzava sin dai tempi delle mille birrette in Dauntaun, in via Watteau 7 a Milano. Formato Cd e vinile, quest'ultimo per fortuna in uscita solamente su Legno, etichetta gestita direttamente dai ragazzi dei FBYC.Perchè Come fare a non tornare è bello ma solo per chi ha iniziato ad ascoltare i FBYC da poco,  per i preppies che si scaricano i dischi dal sito de La Tempesta e girano nei chiringuito con le Espadrillas pensando di essere nel giusto solo perché La Tempesta produce assiduamente Aucan, Pan del Diavolo e Maria Antonietta. Mi son distratto un attimo? Andrea Vecchio

28 giugno 2013

Alessandro Raina, la Chiesa e il desiderio di diventare Papa...

Ieri sera quaranta fortunati nostri lettori hanno partecipato ad un concerto "segreto" in quel di Oleggio con Alessandro Raina. In un giardino circondato da asini raglianti e lucciole illuminanti, un'ora di musica chitarra e voce tratta dai dischi degli Amor Fou, oltre ad alcuni omaggi ai gruppi della scena italiana preferiti da Alessandro. Personalmente ho trovato indimenticabile l'esecuzione di Filemone e Bauci, forse euforizzato dal nostro gettonatissimo infuso della felicità, bevanda dalla ricetta segreta, gettonatissima tra gli intervenuti.Una serata decisamente rilassata, familiare, al termine della quale c'è stato spazio anche per alcune "esclusive" rivelazioni su una storiella che circola riguardo alla presunta ambizione di Alessandro di raggiungere il più alto grado nelle gerarchie sacerdotali, ovvero diventare Papa.
Godetevi lo spassoso video. Roberto Conti






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27 giugno 2013

Un Max Gazzè serio e leggero incanta la piazza di Loano

Max Gazzè ha da sempre tutta la mia stima e la mia simpatia. Credo che le sue canzoni, anche quelle dei primissimi dischi, mi abbiano influenzato molto, probabilmente anche nella scrittura, allo stesso tempo complessa, ma immediatamente comprensibile e ricca di rimandi immaginifici e sentimentali. 
Sabato scorso sono stato alla Notte bianca di Loano che aveva come appuntamento di punta proprio il concerto Gazzè. Migliaia di persone (in prevalenza famiglie con bambini e over 60, in ugual misura come si addìce il turismo ligure in giugno) affollavano la piazza, nonostante questo io e  Simone, che per l'occasione mi accompagna, riusciamo facilmente a guadagnare le prime file. Nessuno si lamenta per le bottiglie di birra che abbiamo con noi, né per le sigarette al gusto THC che inebrieranno di lì a poco la serata. 
Trovo incredibile come l'arte di cantar difficile del cantautore romano (che non parla propriamente di sole-cuore-amore) ben si adattati ad un pubblico generalista e tanto ampio: Gazzè riesce a condensare ballate romanticissime (Buon compleanno, Mentre dormi) a pezzi ballabili come la hit sanremese Sotto casa - che si trasforma quasi in un corso da stadio con il ritmato intermezzo musicale tra un ritornello e l'altro - fino alle notissime La favola di Adamo ed Eva e Una musica può fare, proposte in un danzereccio finale, nel quale hanno trovato spazio anche diverse improvvisazioni, che di casuale avevano ben poco, visto che erano esattamente le stesse di un concerto ascoltato ad Asti molti anni prima (piccola delusione).
Realizzo che Gazzè ha sfornato una chilometrica quantità di singoli: i più noti sono tutti transitati da Sanremo, ecco perchè anche gli attempati turisti li conoscono... Ma non sono nè Il solito sesso, nè Il timido ubriaco a lasciarmi particolarmente estasiato, piuttosto la ritmata Annina dedicata all'uomo zerbino che asseconda la sua logorroica amata in tutto fino a scoppiare implorandone il silenzio, o il madrigale Cara Valentina, di cui bramavo l'esecuzione anche della Parte seconda: purtroppo sono rimasto a bocca asciutta.
Mentre i fumi mi regalano una piacevole rilassatezza, sul pubblico si leva un mini-elicottero con luci psichedeliche, davvero di cattivo gusto. Piuttosto fuori luogo anche le luci a led e i video proiettati alle spalle della band, vagamente epilessizzanti. I musicisti (sul palco erano in cinque) mi sono parsi molto affiatati e hanno accompagnato Max (attivissimo col suo inseparabile basso) con un tappeto sonoro fatto oltre che dagli strumenti classici anche di trombe e sintetizzatori.
Una battuta la merita anche la parentesi più riflessiva ed intimista del set: cito, tra le altre, la splendida Un'eclissi di periferia, dedicata al Corviale, chilometrico palazzone nella periferia romana. Infondo è nell'ombra che risplende la luce, ed è questo il lato di Max Gazzè che più mi rappresenta e vorrei illudermi che anche il resto del pubblico lo colga, al di là delle rime baciate e a prontissima presa. Roberto Conti

La bella televisione passa per Ideona


La bella televisione transita da Savona per la sesta edizione di Ideona, la rassegna ideata da Fabio Fazio (promossa dall'Anart, Regione Liguria, Città di Savona, Fondazione De Mari in collaborazione con Costa) che mette in luce le idee più innovative dell'ultima stagione televisiva, celebrandone i protagonisti.
Renzo Arbore ed Enzo Iacchetti sono i premiati di questa edizione: Iacchetti riceverà il premio alla carriera come autore comico anche grazie al suo impegno nel ricordare Giorgio Gaber (domani sera, venerdì 28 giugno), mentre ad Arbore sarà attribuito il premio alla carriera come autore di varietà (domenica 30) durante un'intervista condotta da Fabio Fazio.
Ideona non è una semplice "passerella", ma un’occasione di incontro tra autori televisivi, produttori e dirigenti delle principali emittenti nazionali, che nel corso della manifestazione si confrontano sui temi legati al loro lavoro: dalla tutela del diritto d’autore (il patrocinio della Siae non è casuale, ndr), alle nuove forme di classificazione dei generi televisivi, alle trasformazioni di un mestiere, quello dell’autore, che negli ultimi anni si è radicalmente modificato. Tutti gli incontri si svolgeranno nella sala della Sibilla, nel piazzale del Maschio, all’interno della fortezza del Priamar di Savona.
L’ingresso è gratuito in tutti gli appuntamenti, e il pubblico potrà votare i propri programmi preferiti tramite postazioni allestite in città gestite dagli studenti di Scienze della Comunicazione del Polo universitario di Savona (viva Scienze della comunicazione) e sul sito www.ideona.it.

Tra gli incontri in programma: venerdì 28, Gianluigi Paragone, Carlo Freccero, Enzo Iacchetti; sabato 29, Zoro e Andrea Vianello; domenica 30 Francesco Mandelli (parlerà del caso “I soliti Idioti”) e alle 21.30 l'intervista di Fazio ad Arbore. Sabato, inoltre, verranno premiati i migliori programmi televisivi dell’anno, in una serata condotta da Pif (Le Iene – MTV) e da Teresa Mannino (Zelig Circus), con la comicità di Fabrizio Casalino, Saverio Raimondo e Brenda Lodigiani.

Ecco la short list (in ordine alfabetico) dei vincitori:

* Gazebo - RaiTre
* I dieci comandamenti - RaiTre
* L'Altra - La Tv d'autore di Renzo Arbore - RaiUno
* Mario - Una serie di Maccio Capatonda - Mtv
* Neri Poppins - RaiTre
* Pechino Express - RaiDue
* Potevo farlo anch'io - Sky Arte
* The Voice of Italy - RaiDue
* Wikitaly - RaiDue
* Zeta - La7

Anche la Antolini vira verso l'elettronica, chi l'amava la seguirà?

Ascolto il nuovo e quarto album di Beatrice Antolini in quella che possiamo considerare una delle prime giornate calde e soleggiate di giugno, ma nonostante tutta questa luce, in Vivid ho trovato diversi angoli bui. Il disco è uscito il 14 maggio scorso, anticipato dal singolo Pinebrain, e segna un cambiamento nel modo di proporsi dell'artista: dai primi tre album suonati con strumenti tradizionali a questo in cui vira decisamente sulla musica elettronica.
Per quanto si possa considerare un album dall'ascolto piacevolmente leggero, non ho trovato niente di particolarmente entusiasmante. E mi dispiace un po'. Ad esempio nel suo album del 2008 A due in cui gli strumenti erano parte integrante del lavoro si sentiva la personalità dell'artista, in un certo modo a mio parere rappresentava meglio la sua attitudine musicale. Forse ora dando meno spazio agli strumenti e in un certo senso alla musica così come lei la sente, perde un po' della sua genuinità. Insomma non mi convince fino in fondo, ma è solo un'opinione personale ovviamente.
I dieci brani di Vivid scorrono via senza problemi uno dietro l'altro senza desiderio di soffermarsi o magari di tornare alla traccia precedente per un secondo ascolto. Dal sopracitato Pinebrain a Vertical love che racchiude in sé suoni mediterranei miscelati con l'elettronica, l'album è un concentrato di pezzi legati tra loro da queste sonorità che più che frutto di una ricerca o di una evoluzione artistica paiono essere una scelta quasi obbligata per la cantante di Macerata che sembra come rassegnarsi ad assecondare il trend elettro tanto in voga in questi ultimi tempi.
Purtroppo il rischio è che tutta questa smania di musica elettronica possa sminuire il talento e il lavoro di alcuni artisti che magari avrebbero frecce più interessanti nella propria faretra. Forse è meglio lasciare l'elettrosound a chi si sente veramente ispirato e non sceglierlo perché così fan tutti... Da questa giovane e simpatica artista ci si aspetta molto di più. Alessandra Terrone

Elettronica e psichedelia, gli Eskinzo guardano a nord e sfoderano un disco con buone idee

Non conosco nessun gruppo nel quale hanno militato gli odierni membri degli Eskinzo, e la cosa non mi tange. Forse solo, per sentito dire, i Mambassa. Fatto sta che il duo, nato tra Torino e Londra, rilascia un disco omonimo su Libellula veramente interessante. Indefinibile, sicuramente. Ha dei ritmi ben definiti, delle cadenze abbastanza accattivanti e moltissime ottime idee. Si passa dal tribale all’elettronica, dall’indie al minimal un po’ Architecture in Helsinki che pare così tanto essere tornato in voga nell’ultimo anno solare. Trys è sicuramente la massima rappresentazione di tutto ciò. Repetita iuvant per quanto riguarda tonalità, stoppate e riprese con un risultato tutt’altro che scontato. Voce cadenzata. Lonely soul in the sugar bowl ne riprende la scia accompagnandosi con una decisissima batteria post-rock. “say I’m bond to fall” “get my guns control” sono fasi canore ripetute de volte sin dall’inizio ed alla fine di ogni strofa del pezzo, e sono colpevoli di rendere ancora più inebriante il tutto. Intelligente, questo duo. Mi ricorda gli Allun, per chi li avesse sentiti nominare. Penso sia difficile non finire per annoiare l’ascoltatore, proponendo una musica così eclettica, e gli Eskinzo pare abbiano capito sin da subito tale rischio, proponendo sonorità particolari ed esaustive. Persino Western Fuzza, che inizia abbastanza seguendo l’ultima vena Muse, non finisce nel calderone delle canzoni che finiscono di essere ascoltate appena prima della metà. Eastern Fuzza, chiasmica alla precedente, sembra invece esser stata scritta in Islanda.
Unica nota un po’ incolore, direi, la pronuncia in inglese. Comunque, da seguire. E cercatevi qualcosa degli Allun. Andrea Vecchio

La supermazurca dei Cani della biscia, un bell'esempio di nuova musica popolare

D'estate nel piacentino ci sono certi festival del liscio ai quali va più gente che ai concerti di Vasco. In un contesto del genere non poteva che venir su, fieramente, un gruppo come i Cani della biscia. Musica popolare italiana nel senso più classico del termine: un'orchestrina del liscio riadattata alla musica dei giorni nostri. Attitudine da mazurca con tempi un po' accelerati, strumenti a metà tra il rock e il popolare, testi ispirati ed ironicamente maliziosi. E come ospiti due concittadini illustri: Matteo Bensi dell'Orchestra Bagutti, uno che a Piacenza quando sale sul palco fa il tutto esaurito, e Manuel Bongiorni, meglio conosciuto come Musica per bambini, uno che all'underground italiano dà moltissimo, da ormai quindici anni, pur rimanendo decisamente fuori dalle logiche delle mode. La vita campagnola vista da un agricoltore in Malinconia, un dito mozzato durante il servizio militare in Adunata d'amor, l'emigrazione e il desiderio di posti esotici (ma non troppo) in Mal d'Africa e Gazzola. E ancora: la storia di un barbone con tanta dignità in Clochard. I maliziosi giochi di parole a sfondo sessuale in Carino e Il mal della barbisa. E, al di sopra di tutto, una collaborazione dialettale con Musica per bambini, magnificamente riuscita, in Piròn al vendicatuur, ottimamente scritta dallo stesso Manuel Bongiorni con toni che mischiano la musica popolare con una sorta di hardcore ska. Una ricetta piacentina per il cenone di Natale coi parenti, che dopo un po' straborda in un coro da ubriachi, nel brano Buon Natale. Una struggente ballata, 28 marzo, sull'emozione di diventare papà, un pescatore che ha la malaugurata idea di portare a pesca con sé la propria moglie in Vai sulla diga (brano in cui entra in gioco Bensi dell'Orchestra Bagutti), ed un finale letteralmente col botto, col suicidio per un amore non corrisposto, nel brano Rosso di sera. Questi sono i Cani della biscia: un'orchestrina che fa ballare nelle piazze ma che riesce a strappare applausi scroscianti anche dal salotto di casa. Marco Maresca

22 giugno 2013

Dona 20mila dischi alla sua città. L'omaggio del critico musicale Marinella Venegoni

Questa è una bella storia, una di quelle che fanno bene alla musica e alla cultura. Il critico musicale di La Stampa, Marinella Venegoni, di recente ha donato tutta la discografia accumulata in oltre 30 anni di onorata carriera alla città di Torino, nella quale da anni vive e lavora. Un gesto di grande altruismo e di autentico valore sociale e culturale che ci fa piacere portare all'attenzione anche dei nostri lettori.
Marinella, oltre che giornalista di indiscusso valore (chi non ha mai letto ad esempio le sue pagelle da Sanremo), cura il seguitissimo blog "On the road" sul sito di La Stampa, riferimento per moltissimi appassionati di musicale leggera. E' inoltre sindaco di Crescentino, un piccolo paese del Vercellese (del quale peraltro è originaria mia madre) nel quale è riuscita a portare (osteggiata dai più) un importante festival come il Chico Boom, una vera rivoluzione nella limitata cultura musicale di un piccolo paese di provincia.
Molti 20 e 30enni ancorati ai loro piccolissimi privilegi avrebbero molto da imparare da questa signora della musica. Roberto Conti


Questo il post di On the road con cui la stessa Marinella Venegoni commenta la scelta di donare la sua sterminata collezione

Ho pensato: meglio dal vivo che dal morto. Mi è sembrato un pensiero allegro, questo dono. Un lascito che parla d’amore universale attraverso l’arte che più si annida nel nostro io bambino, la musica. Ho raccolto tutta la "mercanzia" accumulata per il mio lavoro di critico musicale a La Stampa dall’82 a oggi, e ho deciso di metterla a disposizione fisicamente e online di tutti gli appassionati, gli studiosi e i curiosi che si vorranno intrufolare in un mondo che è stato bellissimo ma che non c’è più. Internet lo sta velocemente cannibalizzando. Chi cominciasse il mio mestiere oggi (ipotesi del terzo tipo, perché sempre meno si critica e sempre più si descrive, e spesso con troppo entusiasmo) avrebbe bisogno per lavorare soltanto di un pc e di un abbonamento a Spotify che gli apra dalla sua iconcina verde pisello il presente, passato e anche futuro di ogni musica. 
Ma per me non è stato così, e i ventimila pezzi (ventimila!) che oggi 21 giugno - Giornata Mondiale della Musica - consegnerò simbolicamente attraverso alcuni esemplari alla Città nelle mani del Sindaco Piero Fassino, dell’Assessore alla Cultura Braccialarghe e del Direttore delle Biblioteche torinesi, il gentilissimo Messina, sono stati negli anni oggetti da rigirare fra le mani, da metter sul piatto o nel lettore. Da rimirare, anche, con gioia infantile e qualche volta con dispetto. Sono già a disposizione della Biblioteca Musicale Della Corte, nella bellissima villa della Tesoriera di Corso Francia, i 78 giri, i longplaying, i compact disc che riempivano le pareti di casa. E mille libri, monografici, agiografici, saggi. E anche molte semplici confezioni promozionali degli album che ho sempre tenuto con cura, ai tempi in cui l’uscita di un disco era un momento non solo di mercato ma di orgoglio creativo che coinvolgeva musici, grafici, discografici e signori della promozione. Ce ne sono di bellissimi, immaginifici, dai Pink Floyd a Mina (che in Italia nel campo è ancora la numero 1), da Renato Zero e Jovanotti. Sono tutti segni che identificano le epoche. 
Quest’anno celebro con un pizzico di narcisismo la Festa della Musica: per una che fa il mio mestiere, è un po’ come Natale. Ma confesso che tutte quelle casse blu e gialle che si accumulavano in corridoio mi hanno anche fatto venire il mal di cuore, e spesso sono fuggita di casa proprio quando arrivavano gli uomini della Biblioteca, per non dover contemplare la scena. Qualcosa ho tenuto, sempre per amore, o che mi possa servire per il lavoro che ancora svolgo, certo con meno stress rispetto al passato anche se con incomprensibile passione adolescenziale. 
Sono molto contenta ora, di questa donazione (c’è anche meno da spolverare) perché consente la costituzione di un patrimonio pubblico molto raro nel nostro Paese, dove le Biblioteche specializzate - se si esclude la Discoteca di Stato a Roma e una privata a Milano - hanno dotazioni quasi esclusivamente di musica classica. 
Musica pesante, che deve rimanere, e musica leggera, che evapora. Questa è la distinzione teorica a lungo praticata. Ma la musica popolare ha anticipato e commentato la storia del Novecento, ha dato la colonna sonora a rivolte epocali, ha creato i vati del nostro tempo, ha fatto costume, ha aperto i pensieri, ha insegnato parole agli incolti e ora spesso ispira persino i discorsi alati nelle occasioni ufficiali dei politici. Che usano e gettano, però. E neanche si ricordano poi di commemorare i nostri santini quando se ne vanno. Avete sentito un discorso ufficiale di qualcuno su Jannacci? Invece, Hollande ha commemorato Georges Moustaki. 
Nel mare magnum trasferito alla Tesoriera si troverà veramente di tutto. I canzonieri politici e culturali dei Sessanta, le prodezze di Celentano e di Morandi, tutta Mina, tutto Giorgio Gaber e De André, Francesco Guccini naturalmente, il Principe De Gregori, il geniale Battiato, il filosofo Vasco, Ligabue. E i Beatles, gli Stones, il prog italiano e internazionale dei Settanta, i Pink Floyd, tanto Dylan, e Bruce Springsteen che ho seguito dal primo concerto a San Siro nel 1985, la spericolata Madonna fin dai tempi in cui era una ragazza ancora da depilare, gli U2 mille volte incontrati in allegria, fra l’Irlanda, Las Vegas e casa Pavarotti a Modena, fino agli idoli sempre meno duraturi dei Novanta, alla Manu Chao, e degli Anni Zero tipo Strokes. Mi sono accorta, togliendo i dischi dalle pareti, che dal Duemila in poi la fanno da padrone le raccolte, i live, i best. Per questo la musica del Novecento sarà dura a morire (e ora sapete dove trovarla).  

18 giugno 2013

Nel Novarese arriva Eva (Poles): il ritorno della voce femminile dei Prozac+ affidato ad un leggero album pop

E' ormai passato un anno dall'esordio solista di Eva Poles, ex voce dei Prozac+. Il suo album Duramadre, uscito per l'etichetta Halidon, era stato snobbato un po' da tutti, compresi noi di AsapFanzine. Recuperiamo ad un anno di distanza, perché abbiamo scoperto che Eva canterà dalle nostre parti, quest'estate, un modo per rivederla dopo l'esperienza con i Rezophonic. Il palco è quello della festa della birra di Bogogno, che da anni adotta una programmazione lungimirante, anche più di rinomati festival della zona. 
Purtroppo, però, la cantante dei Prozac+ con questo disco ha compiuto una parabola discendente che l'ha portata, inevitabilmente, a confrontarsi anche con palchi "meno prestigiosi" a cui era abituata. Ed ecco che mentre gli ex colleghi Gian Maria Accusani e Elisabetta Imelio, ormai Sick tamburo, proseguivano dignitosamente la loro carriera con l'album A.I.U.T.O., Eva esordiva con questo Duramadre, curiosa accozzaglia di pop rock di stampo Prozac+ alleggerito e privato della componente punk, con un po' di elettronica e qualche accenno di darkwave all'acqua di rose sul finale. Per non destabilizzare gli ascoltatori storici, l'album si apre con Malenero, dalle classiche ritmiche in stile Accusani. La prima cosa che colpisce è che ormai, nel cantato, è Eva ad imitare Elisabetta (da cui è stata più o meno sostituita). Il brano è cupo, parla vagamente del malessere interiore, ostentando però una profondità che non c'è. Sullo stesso stile ma un po' meno cupo è il pezzo successivo, 6, che parla dell'esperienza di guardarsi dentro e provare a dialogare con un lato interiore migliore di quanto pensiamo. Cadono nuvole è il singolo promozionale dell'album, è ascoltabile ma non presenta niente che non fosse già stato sviscerato più di dieci anni fa dai Prozac+. L'atmosfera da discomusic italiana anni '80 di Il giocatore, col suo ritornello "mi piacciono le sfide e poi mi piaci tu", è inqualificabile. L'album cerca di riprendersi con Temporale, brano elettronico dai battiti accelerati, ma anch'esso senza particolare sostanza, e poi si cambia totalmente con Chainless, canzone in inglese scritta dal produttore ed arrangiatore dell'album, Max Zanotti. Un brano che non c'entra niente, nemmeno vagamente, col resto dell'album. Una scelta quantomeno insolita, per poi tornare all'italiano con La prima scelta. A questo punto Gian Maria ed Elisabetta, qualora si fossero presi la briga di ascoltare l'album dell'ex compagna, potrebbero anche giustamente incazzarsi. E tanto per non distaccarsi troppo dai Sick tamburo, anche Eva si tuffa nel mondo degli acronimi, con L.I.U.S.S., che di per sé non significa niente, se non "Lontano in una stanza stretta". Un brano sostenuto da un utilizzo leggero e armonioso di alcuni archi sintetizzati, per parlare della solitudine provata nell'intimità della propria stanza, per fare il punto su se stessi e riaprirsi alla vita. Con questo brano in stile Mùm (anche se il cantato verso la fine invece di essere armonioso e leggero è abbastanza fastidioso) il disco si sposta su orizzonti internazionali, e dal brano successivo si passa anche alle atmosfere dark. Il nemico è un brano oscuro che come il resto dell'album parla della difficoltà dell'accettazione, ma come per il resto dell'album l'oscurità è solo ostentata ed apparente. Più o meno sempre sullo stile degli islandesi Mùm, cioè con un cantato lieve o supposto tale e alcuni inserti leggeri di archi sintetizzati, è anche il brano finale, Regina veleno, risalente all'epoca dei Rezophonic. Purtroppo anche in questo brano Eva dimostra di non trovarsi propriamente a suo agio quando deve esprimersi in canzoni dai toni lievi. E purtroppo negando totalmente lo spirito punk la cantante friulana perde un po' la sua ragion d'essere.
Che altro dire? Seppur con la consapevolezza che questa recensione insiste particolarmente sui punti dolenti dell'album, vi invitiamo comunque ad andare al concerto di Eva, se non altro per vedere come se la cava quella che a livello di immagine è comunque una delle principali figure emerse negli anni recenti della scena indie italiana. La forma e la sostanza, però, le ha lasciate totalmente in eredità ai Sick tamburo. Marco Maresca

16 giugno 2013

Matteo Toni si racconta in occasione del secret show di Cameri (VIDEO)

La musica che non ti aspetti questa volta approda in una cascina in quel di Cameri, nel Novarese.
Ospiti Matteo Toni e i Rumor per un secret eccezionalmente elettrico e all'aria aperta.
Matteo Toni, accompagnato da Giulio Martinelli alla batteria, ha proposto i brani di Santa pace, un disco sorprendente con atmosfere diversissime che spaziano dal blues al reggae.
Noi li avevamo scoperti dal vivo in apertura di un concerto di Umberto Maria Giardini: tennisticamente vestiti e scalzi, hanno creato un contesto piacevole e rilassato, che non potevamo farci scappare per una serata in cascina che sarà difficile da dimenticare...
I giornali di settore hanno parlato con entusiasmo del disco di Matteo, noi ce lo siamo fatti raccontare con una simpatica video intervista.
In apertura hanno suonato i bravissimi e giovanissimi Rumor, freschi di uscita con l'ep Pois.




Guarda la fotogallery del secret show
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12 giugno 2013

Victorzeta & i fiori blu - Dans le rêve - Rec. in 10 parole













Arriva l'estate e con essa i ritmi si fanno esotici e danzerecci. L'orchestra di Victorzeta e i fiori blu ci accompagna quindi verso la bella stagione col suo album Dans le rêve (Bulbartworks / Full heads / distribuzione Audioglobe).

Recensione in 10 parole: reggae, calypso (e tante altre contaminazioni caraibiche), italiano (il cantato, profondo e spensierato allo stesso tempo), folk, Gaber (l'album si conclude con una cover di Shampoo), orchestra (e non piccola per un progetto pop: 9 elementi stabilmente presenti sul palco più vari ospiti), live (una band come questa trova nell'attività dal vivo la sua ragion d'essere), ballare (è d'obbligo, ascoltando questa musica), copertina (azzeccata: incuriosisce ed esorta all'ascolto), originalità (è un po' il punto debole: non c'è molto di nuovo, sebbene le canzoni non siano male). Marco Maresca

Voto: **

Tracklist:
1. Fiori blu
2. Anemia sentimentale
3. Nuove strade
4. Il serpente
5. Sciami
6. Tak mało
7. Numeri 0123
8. Skauntry
9. Lascia che mi lasci andare
10. Dans le rêve
11. Allergie
12. Zacapa

13. Shampoo

10 giugno 2013

Il storielle folk dei GTO nel festoso Little Italy

I GTO sono in giro dal 1993 e sono arrivati al quinto disco. Little Italy, distribuito da Self, è un album folk che racconta tante piccole storie dei giorni nostri. Una musica da festa del paese, con la quale si può ballare e lasciarsi andare con leggerezza, ma indubbiamente non è questo il solo scopo dei GTO, altrimenti non sarebbero in pista da tutti questi anni. C'è una certa forza, infatti, anche nei testi. Si parte dallo ska di Barabba, un brano sulla giustizia e i suoi punti deboli, con citazioni dalla Bibbia ma anche da Rino Gaetano. Il rude è un brano western, una storia struggente su un uomo che amava vivere da solo, che si credeva più forte di ogni cosa finché non vide nel bosco un uomo impiccato, e in quel momento prese coscienza della morte. Little Italy è un brano fin troppo prevedibile sui vizi dell'italietta, e forse è il punto debole dell'album per le critiche fin troppo scontate. Per fortuna l'album si risolleva con una bella ballata, intitolata La via del mare, che per argomento ha le strade che divergono e le relazioni che si interrompono, e le canzoni che ricordano il passato. Il mondo circense, con le sue suggestioni e i suoi ritmi, è narrato in Lumea mea este. In Montedoro c'è il classico folk all'italiana con il quale i GTO si destreggiano bene. Granelli di sabbia è un brano ricco di passione, di vita vissuta e consumata, che sa di Zucchero e di Gipsy kings. Cielodivento è un piccolo capolavoro nell'album, una canzone da Nomadi, da concerto in piazza, da gente che si abbandona alla danza e si affida al ritmo circolare delle stagioni. L'atmosfera da festa in piazza prosegue con Amore fermati, che parla di un matrimonio interrotto poco prima del sì. La regina ripercorre alcuni clichè della musica popolare, introducendo la figura della donna di paese, quella più chiacchierata, quella più guardata ed invidiata, della quale tutti immaginano le storie segrete. Per concludere in bellezza, Festa popolare riassume l'atmosfera che pervade tutto il disco, e regala un ultimo momento di danze spensierate e di ottimi fraseggi di chitarra. Si chiude così un album leggero nella forma ma intenso nelle intenzioni, oltre che nelle emozioni procurate. E per fortuna con l'estate inizia finalmente il periodo delle sagre di paese. Marco Maresca

9 giugno 2013

Wonder Vincent - The amazing story of Roller Kostner - Rec. in 10 parole














The amazing story of Roller Kostner, album d'esordio dei Wonder Vincent, uscito per l'etichetta Curadomestica, è una sorta di concept album su un antieroe di fantasia, un veterano cieco da un occhio, conosciuto come Roller Kostner, il quale racconta la sua esperienza di vita in un misto di pop, punk e rockabilly.

Recensione in 10 parole: inglese (la lingua dei testi ma anche del personaggio, la cui storia è scritta sul libretto del CD), pop eclettico (le tendenze punk e rockabilly sono comunque mitigate da un'impostazione sempre radiofonica dei brani), ritmiche (a volte particolarmente raffinate per brani punk), concept album (le canzoni non sono legate tra di loro ma comunque raccontano una storia coerente), dedizione, bravura, copertina (troppo classicamente punk: rischia di depistare), lingua (forse è il limite principale del disco: essendo un progetto ambizioso a livello di testi, perché non provare ad utilizzare l'italiano?). Marco Maresca

Voto: **/

Tracklist:
1. Semen waterfall
2. M.B.R
3. Funk'o'saur
4. My little Bunny
5. Peggy you enter
6. Aamorymonky
7. Piss & love
8. Venus in Darfur

7 giugno 2013

Acciaierie lombarde folk e l'epica industriale dei Sesto Marelli

Direttamente da Sesto San Giovanni ecco i Sesto Marelli (esattamente come il quartiere della città dell’hinterland milanese), al loro primo album di inediti dopo tanta gavetta e tante serate passate a suonare in giro per i locali della Lombardia, fin da quando erano conosciuti col nome di Los Desperados. Acciaierie lombarde folk ha un titolo che è tutto un programma: folk popolare con racconti di provincia e con quello spirito “partigiano” che ancora ricorre nel sestese.
Il quintetto, composto da Roberto Carminati (voce e chitarra acustica), Alex e Christian Aliprandi (rispettivamente chitarra elettrica e batteria), Alessandro Muscillo (basso) e Mariela Valota (violino), ha una sua identità precisa con un sound che ricorda soprattutto Davide Van Der Sfroos e che in certi frangenti richiama i Bandabardò, i Modena City Ramblers e tutto ciò che è vagamente “irish”. Ne sono la dimostrazione le introduttive Un’ora lurida e soprattutto l’esaltante Lasciami sanguinare. I racconti goliardici di provincia proseguono con Che la festa cominci e con Gli Stones (come dicono), senza che venga trascurata la letteratura e l’immaginario fiabesco (Il conte, La sirena, Signora Wolf). Ma il pezzo più sorprendente forse è Il ritmo del tuo cuore, che prevede un testo dolce come le carezze accompagnato da una melodia quasi hard rock.
Dieci canzoni in 40’ che scorrono via lisci come l’olio e che divertono. Rusticani e diretti, i Sesto Marelli confezionano un disco pop-folk di impatto che traccia l’immaginario della periferia post-industriale. Una realtà disillusa ma che vive ancora di quelle radici e di quelle tradizioni che mai potranno assopire nel tempo, specialmente in una città progressista come Sesto San Giovanni. “Acciaierie Lombarde Folk” è un bel disco da prendere in considerazione per il genere, in particolare andrebbe ascoltato in un pub (o anche a casa) purché non manchi una buona birra da sorseggiare, in modo da calarsi completamente nell’immaginario provinciale. Marco Pagliari


Il rumore della tregua - La guarigione - Rec. in 10 parole













Primo EP per la band milanese Il rumore della tregua. Sin dagli inizi si sono esibiti nei più importanti locali di Milano e hinterland, prima come trio, in seguito con aggiunta di fiati e basso fino ad arrivare a questo EP d'esordio.

Recensione in 10 parole: contatto (è quello che si stabilisce da subito con la band attraverso il sound del primo pezzo Haiku), nome (del gruppo fa riflettere: che rumore ha la tregua?), box (è in un box che nasce la band nel gennaio 2011, siamo nella provincia a nord di Milano), fiati (ne fanno un uso ben calibrato in tutti i pezzi, spesso accompagnandoli per mano con discrezione fino alla fine), peccati (da confessare Harry sembra averne parecchi. Da ascoltare attentamente), pignoramenti (spopolano bellamente nel Paese di santi, navigatori, inventori e grandi artisti... e la band ci ha fatto su una ballata), western (ci finiamo dentro col pezzo Revival), influenze (nel sound, dal cantautorato italiano anni '70 al rock indipendente anni '90 di La Crus, Afterhours, Massimo Volume, passando per l'alternative rock di Nick Cave e The National), personalità (la giovanissima band milanese dimostra di averne in questo lavoro, considerando le varie contaminazioni di cui sopra), citazione (della stessa band: “La guarigione è un disco per chi vive fuori dal cerchio di quelli che si dichiarano fuori dal cerchio. E ha imparato che non è facile”.)
Alessandra Terrone

Voto: ***

Tracklist:

Haiku
L'odore dei cani
Confessa il peccato Harry
La ballata del pignoramento
Revival


Posthardcore e doom sperimentale col nuovo disco dei Marnero

Che bello il nuovo disco di Marnero. Esce oggi, 2 giugno 2013, e lo recensisco subito, a freddo. Otto tracce ventose e rassicuranti, autoprodotte dalla band grazie all’aiuto, tra le altre etichette, di Sangue Dischi e To Lose La Track.
Marnero, composto da membri di Laghetto ed altre realtà della scena indipendente italiana, arriva così al terzo disco, e dopo lo split con i romani Si Non Sedes Is ed il primo full lenght 12”, Naufragio Universale arriva a veleggiare con sonorità più decise, violente e tenebrose. Sanno che la tempesta va affrontata con ogni mezzo necessario e fanno il possibile per lacerare suoni, idee e certezze. Si tratta di posthardcore e doom sperimentale.Il disco è suddiviso in quattro capitoli denominati “quadranti”, il cui primo inizia con Come se non ci fosse un domani, che parte schizofrenica e botchiana. Parole impresse nella tempesta e una calma scandita da bassi prorompenti e parole che traspirano ansia. ( come infatti non c’è) ne è la sardonica conclusione.Il secondo quadrante inizia con Non sono più il ghepardo di una volta e si chiude con ( che non sono mai stato ), pezzi che vantano la partecipazione di Lili Refrain. Sovrapporsi di voci parlate a ritmi ridondanti, secchi, decisi, da paranoia. Destinati a sfociare in piccole crisi quotidiane dettate da chitarre e rintocchi, prima lievi e poi roboanti, che ci accompagnano alla furia del secondo brano, delirante e frammentariamente burrascoso. “E quindi tutto bene, dai, a parte la vita... E a parte che persevero a riaprirmi la ferita con la falce arrugginita, insomma, mi sa che sbaglio".Il porto delle illusioni apre il terzo quadrante ed inizia con piano, batteria ed arpeggi. Il basso entra successivamente e si divora la scena. Troviamo le parole solamente alla fine del brano, altisonanti e velocissime. Progologia inizia lentona e netta per finire quasi alla Cap’n’Jazz. Rotta irreparabile è veramente rock, da cantare in coro, ed è l’inizio dell’ultimo atto de Il SopravvissutoZonguldak fa calare il sipario tra le tenebre tra agitatissimi riff e stupefacenti arrendevolezze: “E io, come loro, da tempo ancorato incatenato al centro di un quadrato E mi ero legato da solo le mani come i casi umani, un po' troppo umani. Ma mentre accoltello il me che io ero ieri il me di oggi è impiccato dal me di domani... Bene!”.Nota geografica: le principali città che si affacciano sul Mar Nero sono: Sebastopoli, Yalta, Odessa e Trebisonda.Supportate Marnero e la realtà indipendente italiana, supportate Sangue Dischi, Donnabavosa e tutto ciò che ruota intorno a Il Sopravvissuto. Informatevi, prendete contatti. Questo disco è un vero gioiello: nutriente, stimolante, violento e consapevole. Andrea Vecchio

Una - Una nessuna centomila - Rec. in 10 parole














Il cantautorato femminile è un labirinto intricato: chi ci si avventura rischia di perdersi per sempre. Sia che ci si incammini con prudenza, sia che si tenti di spingersi troppo in là. In questo labirinto si è incamminata anche Marzia Stano, in arte Una, col suo album Una nessuna centomila, pubblicato per MArteLabel con il sostegno di Puglia sounds record.

Recensione in 10 parole: personalità (ce n'è tanta. Si parte da riferimenti musicali palesi che però vengono rielaborati in modo del tutto nuovo), ispirazione (Una cita come riferimenti musicali Bob Dylan, John Lennon, Lou Reed, Patti Smith, Joni Mitchell), testi (ascoltate Lezione di storia dell'arte per capire come sia ancora possibile risultare originali nonostante sembri che tutto sia già stato detto), Tracy Chapman (e la sua world music del periodo di New beginning), novità (era da tempo che ci si aspettava un'artista femminile così), politica (viene marginalmente trattata nei brani, come in Oggi è un bel giorno, che parla dell'esito delle elezioni comunali di Milano e Napoli nel maggio 2011), Giacomo Fiorenza (il produttore di Molteni, Paolo Benvegnù, Giardini di Mirò, Offlaga disco pax e Marco Parente è un'ottima guida per la cantautrice), complimenti (e alla prossima). Marco Maresca

Voto: ****

Tracklist:
1. Come il mare
2. Contraria
3. Qui ed ora
4. Molto bello
5. Lezione di storia dell'arte
6. Farfalle
7. Fuori di testa
8. Non è colpa delle rose
9. Stiamo bruciando
10. Oggi è un bel giorno

Antonio Firmani - The 4th row - Rec. in 10 parole















Un EP autoprodotto, di sole tre tracce, intitolato The 4th row, anticipa l'album vero e proprio, di prossima uscita, ad opera di Antonio Firmani.

Recensione in 10 parole: troppo poco (il materiale: per farsi un'idea più completa ci vorrebbe qualche canzone in più), inglese (il cantato), british (l'ispirazione dell'album), orchestrale (pianoforte, contrabbasso, violino, viola e vibrafono sono alcuni degli strumenti usati), delicato, rilassante, piacevole, maturo (le tre tracce sono scritte molto bene), speriamo (che il futuro album estenda ulteriormente i contenuti dell'EP mantenendo la stessa qualità). Marco Maresca

Voto: ***

Tracklist:
1. Last two years
2. The givin' tree

3. The 4th row

4 giugno 2013

I Perturbazione e il rischioso cambiamento sonoro

“La rapidità dello stile e del pensiero vuol dire soprattutto agilità, mobilità, disinvoltura; tutte qualità che s’accordano con una scrittura pronta alle divagazioni, a saltare da un argomento all’altro, a perdere il filo 100 volte e a ritrovarlo dopo 100 giravolte”, con questa immersione nelle “leggerezza pensosa” suggerita dalle parole di Italo Calvino, i Perturbazione si riaffacciano al pubblico con il loro nuovo disco, Musica X, uscito a maggio in allegato alla rivista mensile XL e disponibile nei negozi da giugno. Gruppo che ha alle spalle una decina d’anni di carriera ed altri sei album, i Perturbazione aprono il sipario al loro nuovo lavoro con un’affermazione che accompagna le loro ultime interviste: “ci piacciono quelli che sono cambiati”, affermazione che loro hanno applicato alla lettera. Dieci brani per un totale di 35 minuti di musica, Musica X è il lavoro più breve della band di Rivoli ma condensa una poetica matura e una narrativa sfrontata con una grande novità: il sound elettronico e pop, protagonista in molti brani, che prende il posto della melodia armoniosa, e a tratti nostalgica, a cui i Perturbazione ci hanno abituato.
L’album racchiude ospiti originali a cominciare dalla produzione artistica di Max Casacci, già produttore dei Subsonica, per arrivare ai featuring di Luca Carboni, I Cani ed Erica Mou; gli ultimi due artisti erano dei perfetti sconosciuti per me e l’ascolto dell’album dei Perturbazione mi ha permesso di esplorare nuove oasi musicali e giungere alla conclusione che I Cani (progetto musicale di Niccolò Contessa) sono stati una scoperta piacevole, talentuosi davvero. Il risultato è una raccolta di brani che fanno da ponte tra una generazione e l’altra e il titolo scelto, Musica X, che richiama neanche così vagamente Generazione X (locuzione diffusa nel mondo occidentale per descrivere tutti coloro che sono nati approssimativamente tra il 1960 e il 1980), lo conferma.
Parlando dei testi, l’altra grande novità è la tematica del sesso, mai così presente nel passato repertorio dei sentimentalisti Perturbazione; sesso analizzato in multiprospettiva (la sua potenza espressiva, la sua profondità emotiva e la sua essenza carnale) con cui i Perturbazione si confrontano, ci giocano, alternano, e spesso condensano, con altri temi: la manuntenzione dell’amore, lo scoppio della coppia, le riflessioni dell’età adulta (così lontana da quel tempo caratterizzato dai voli pindarici in cui tutto era ancora desiderabile). Ma facciamo parlare le canzoni, cominciando da quella che apre l’album, l’orecchiabile, e canticchiabile già dopo il primo ascolto, Chiticapisce, un esordio di vocine melodiose, taglienti e rimbalzanti che lasciano spazio ad un rullo di batteria che stende il tappeto all’incessante critica sociale su cui si incentra l’intero brano: “il mondo non ti merita, non ti capisce, ma il ruolo della vittima, ti ferisce, da sempre la politica, non ti capisce, ma ti rapisce un comico”; la voce di Tommaso Cerasuolo accarezza chi si sente chiamato in causa, narra di quotidiane attese politiche e sociali (la parola “comico” non è messa lì casualmente, secondo me) che rispecchiano e riflettono l’attuale scenario italiano di cui ognuno vorrebbe una svolta (“sempre in attesa di un’aria diversa”), e  di speranze di cambiamento che possono stravolgere l’esistenza in meglio, se siamo pronti ad affacciarci al nuovo (“spalanca la finestra, essere foglia che il vento attraversa, senza nemmeno farlo apposta”). Il risultato è un brano energico e consolatorio, con arrangiamenti musicali non banali, un timbro elettronico che dà un suono pop, diverso, un respiro nuovo che, secondo me, vale l’intero album, una luce strana che invoglia a proseguire per capirci di più.
Si continua con La vita davanti, il primo singolo, una cantata deliziosa puro stile Pertubazione, brano adamantino per le piccole perle di saggezza racchiuse nel testo: “quando hai tutta la vita davanti, credi ancora nelle verità, nelle mezze bugie dei cantanti”. Riflessioni che sono il frutto della vita trascorsa, senza i cui insegnamenti non ci si potrebbe affacciare alla vita davanti nel modo in cui Tommaso e i compagni ci invitano a fare: con speranza ed ottimismo. Pare di vederli, indaffarati a portare avanti le loro vite con le loro scelte che possono essere anche le nostre, “e non credere che capiti solo a te”, mentre il tempo scorre, “non capisco, come mai, l’orologio segna sempre avanti”, per poi ritrovarsi grandi, a desiderare ancora di fare di “ogni scelta un’opportunità”, ad affacciarsi alla vita la con curiosità degli anni della fanciullezza ma con la solidità della presenza dell’amore maturo, “apro gli occhi, eccoti qua”. Un brano piacevole, che ti assorbe al primo ascolto e che ti dà l’impressione che i Perturbazione, grazie alla loro bravura, sanno sempre cosa fare e dove andare.
Segue Musica X, la mia prediletta, un incipit epico che sospira “cantami o musa, dei luoghi abbandonati, e della musica che li rende abitati”, un omaggio alla musa musica che è ovunque, “nelle stanze di ospedale, nei cortili degli asili,  nei corridoi dei licei, dentro alle cuffie di un dj, prima dell’ultimo metrò, sotto la doccia a squarciagola”, ma anche un omaggio alla musica come compagna, volontaria o no, di momenti culminanti della vita, anche tragici come “il viaggio di un amico senza ritorno”, e come strumento potente di salvezza per uscire dalla solitudine, “che sta a metà tra un esorcismo e una preghiera, per ricordarci che la musica è là fuori”. Un bel brano, dalla forte ispirazione poetica contrastata, abilmente, da una ritmica house che ricorda molto gli anni ’80.
E’ la volta di Diversi dal resto, della coppia che scoppia e del sesso ai tempi dell’Ikea. Sì perché Diversi dal resto parla proprio della vita di coppia in tutte le sue sfaccettature: il litigio nato in un sabato all’Ikea (tempio dell’approvvigionamento di mobili e casalinghi per molte coppie, e non solo), l’insofferenza dell’uno verso l’altra che può nascere chiusi in auto durante la coda in autostrada, “amore mio ti odio anch’io bloccati in mezzo al traffico”, il magico momento del riappacificamento in un luogo circondati da persone, “seduti su un letto tra migliaia di occhi” dove “ritrovare la gioia e il coraggio”, per arrivare ben oltre, come recita il testo: “amore mio ti voglio anch’io qui nel reparto biancheria”.
Infinita tenerezza per Mia figlia infinita, una dolce prosa di un papà dedicata alla propria figlia. La dolcezza del brano accarezza le orecchie e il violoncello di Elena Diana rende ancora più delicato l’ascolto. Qui Tommaso non si dipinge come il principe azzurro che accompagna la figlia in una fiaba, tutt’altro, “non sono un principe e tu lo imparerai, sono il sergente che al fronte ti aiuterà a gettarti a terra prima delle bombe, a evitare mine sul sentiero, ad aspettarti che il peggio ti aspetti davvero”, una simbolica preparazione alla guerra che è la vita senza tralasciare, ovviamente, la dolcezza di un papà verso la sua bimba “mia donna di cuori, mia copia vestita”. Eccolo uno dei diversi passaggi generazionali, la trama portante che contraddistingue il nuovo album dei Perturbazione, i precedenti dischi abbondavano di giochi di parole, di rime e intermezzi musicali interamente costruiti sui sentimenti individuali, sulla differenza tra essi, sull’intimità dell’inquietudine ma anche dell’innamoramento. L’intimità non si è persa ma è cambiato, notevolmente, il baricentro di tutto. Mia figlia infinita è una canzone d’amore disarmante, sincera e vera, tessuta di armonia anche se è travestita da guerra; ancora una volta i Perturbazione danno la dimostrazione di saper cantare di cose semplici, di tutti i giorni, dove la banalità lascia spazio a piccole perle poetiche.
Segue I baci vietati, ideale proseguimento del brano precedente, che s’interroga sui dubbi esistenziali, individuali ma anche generici, di ognuno, “chissà se son contento oppure mi accontento di non raccontare mai a nessuno cosa sento”, e su quelli specifici sulla condizione di genitore, “con mio padre non ho mai parlato di sesso, mi domando con mio figlio farò lo stesso?”; qui la voce di Tommaso si alterna con quella di Luca Carboni e il risultato è un brano piacevole (nonostante la presenza di Carboni, non me ne vogliano i suoi estimatori), un riuscito connubio tra voci e generazioni, il tutto elegantemente accompagnato dal pianoforte. Secondo quanto dichiarato dalla band, la scelta su Luca Carboni nasce dall’ammirazione per un artista poetico e genuino che la band ha seguito per anni, e per dare spazio a diverse generazioni di artisti. Anche se Carboni non trova la mia piena approvazione, lui è un discreto rappresentante della musica italiana anni ’80, intimista e sentimentalista, in puro accordo con la linea dei contemporanei Perturbazione; quante adolescenti degli anni ’80-’90 ricordano di aver sospirato davanti ad una canzone di Luca Carboni? Beh, devo ammetterlo, almeno a un paio, io, sì. Bravi Perturbazione, avete azzeccato il colpo!
Il viaggio nel tempo continua con Monogamia, brano dal ritornello battistiano (“ho cento paia di sguardi dentro agli occhi e li confronto tutti quanti con i tuoi”), un ritmata presenza di basso e andature funky anni ’70 per un testo carino e senza grosse pretese.
Ossexione e Questa è Sparta, assieme alla precedente I baci vietati, formano la trilogia della collaborazione generazionale ma, stavolta, sono i giovani a dire la loro. In Ossexione Tommaso duetta con Erica Mou (giovane cantautrice che mi sono andata ad ascoltare che ha, sì, una voce delicata e languida ma i suoi lavori individuali non mi convincono) in una cantilena giocosa sul sesso e i suoi derivati, sesso in risposta a tutto (col rischio che sia soluzione di niente), sesso come ossessione, “eterna rotta della mia navigazione”, qui le voci sono le protagoniste di un rapporto quasi morboso e creano ottime armonie vocali grazie anche al piacevole arrangiamento musicale.  Questa è Sparta vede la collaborazione con i talentuosi I Cani (qui presenti con lo stesso cinismo che caratterizza i loro brani): benvenuti in una Sparta contemporanea dove l’ossessione si chiama bellezza, dove si sopravvive in virtù dell’estetica, dove “la bellezza affermano non ha nessun valore, soltanto che se manca si sanguina e si muore” e poi ancora “disciplina!” per sopravvivere in una società moderna, senza scrupoli, dove la virtù che conta è come appari e non come sei.
Infine ecco Legàmi, accento sulla a, e accento sulla raffinatezza compositiva grazie all’arrangiamento delle campionature dei suoni (tra cui gli archi veri e poi ricampionati, appunto) che ricordano le atmosfere suggestive e inconfondibili dei Depeche Mode, soprattutto nella parte finale del brano. Pulsazioni malinconiche ma vitali che conducono all’esplorazione dei rapporti, a rintracciare la semplicità delle relazioni per restare umani, “che cosa tiene insieme il sangue e il donatore, che cosa rende uguali i nostri passi, diverse le intenzioni, destinazioni uguali” e poi ancora, “abbiamo l’incoscienza dell’albero e dei suoi rami”, ognuno di noi è un albero che deve avere radici ben piantate per proiettarsi sempre più in alto ed abbracciare, coi suoi rami, l’aria e tutto ciò che lo circonda, sembra una sciocchezza ma non lo è. Amare incondizionatamente è una grande sfida e una grande necessità, “non so come ti chiami, ma dimmi che mi ami”. Il risultato finale è una canzone dal mood vintage anni ’80, davvero molto bella.
Sono lontani i tempi di In circolo e Del nostro tempo rubato, siamo di fronte agli ennesimi artisti che hanno fatto un passo avanti, il passo verso la maturità personale e, di conseguenza, professionale. Intimisti ed esplorativi, evocativi e narratori come sempre, i Perturbazione rimangono gli eleganti e ingenui esploratori della vita che abbiamo imparato a conoscere con le loro canzoni con una differenza, sono maturati e hanno messo un freno alla tristezza. Lo affermano loro stessi nell’intervista pubblicata su XL, sono finiti i tempi dei fan che a fine concerto dicevano: “Siete stati bravissimi, mi avete fatto piangere”, ciò non significa non commuoversi davanti alla bellezza. Non rimane che attendere un loro concerto per condividere, assieme a loro, la gioia di ascoltare bella musica. Sonia Stevanini

1 giugno 2013

La jeunesse dorée - Saremo santi, un giorno - Rec. in 10 parole















Saremo santi, un giorno (Red cat records / Audioglobe / The orchard) è un disco elettro-pop proveniente da Avellino, in Campania, città della quale sono originari sia il trio denominato La jeunesse dorée, sia il regista Federico Di Cicilia, che ha utilizzato alcuni brani della band per il suo film L'ultimo goal.

Recensione in 10 parole: italiano, abbastanza monocorde (il cantato), vita quotidiana (le canzoni parlano di rapporti interpersonali, relazioni, allontanamenti, separazioni), elettronica suburbana (le storie narrate sono sostenute musicalmente da un comparto elettronico a volte frenetico, che dà l'idea di corsie preferenziali, dischi orari, binari dei treni e dei tram, argomenti peraltro trattati nelle canzoni dell'album), Battiato (alcuni brani, ad esempio Astrologie e Antiquariato, ricordano il suo stile) , sovraincisioni vocali (un po' strano il modo in cui vengono usate: le armonie vocali che ne risultano sono molto cupe, quasi darkwave). Marco Maresca

Voto: **/

Tracklist:
1. Le cose che tornano
2. La jeunesse dorée
3. Die blaue
4. Astrologie
5. Antiquariato
6. Caffè nazionale
7. Em

8. Fischia il treno (e non si muore)