26 maggio 2011

Fra ballottaggi e referendum ecco come (mai come stavolta) scende in campo la musica

Vecchioni ha vinto l'ultimo Sanremo e questo già di per sè dovrebbe essere un elemento indicativo di come potrebbero andare i ballottaggi. Intanto in questi giorni il mondo della musica ha preso posizione come non succedeva da anni, soprattutto a Milano dove il coro pro-Pisapia ha trovato tante e assai trasversali voci tra rock, pop e cantautorato. Sarà per i locali che chiudono e per le carenze croniche di palchi di piccole e medie dimensioni, sarà perchè la musica dal vivo è combinata male, tra volumi sotto controllo e fondi pubblici dirottati altrove: insomma mai come in queste elezioni, anche i più prudenti e attenti a non inimicarsi alcuno hanno preso nettamente posizione.

Vecchioni guida la pattuglia dei milanesi a favore del centrosinistra, ringalluzzito forse proprio dalla vittoria Sanremese. Intanto domani sera -venerdì 27- sempre a Milano tocca a Claudio Bisio che presenta una serata alla quale partecipano Paolo Rossi, Gioele Dix, Lella Costa, Daniele Silvestri, Giuliano Palma, Elio e le Storie Tese. Si parla di Jovanotti e Ligabue per un appello via video. Ma per Pisapia avevano già cantato, prima del primo turno, Subsonica e Afterhours, e aveva lanciato appelli Capossela dagli Arcimboldi. Pressochè tutta la cosiddetta scena indie e i gruppi del florido sottobosco musicale milanese sono con lui.

La Moratti, preferisce puntare sui grandi nomi e annuncia per la chiusura della campagna il concerto di Bocelli, probabilmente certa di poterlo avere dalla sua, ma il tenore ha smentito dalla colonne del "Corriere della sera" dicendo di esser stanco del tour in Asia appena concluso. Lo sostituirà Gigi D'Alessio, le cui simpatie politiche sono ben note, e chissenefrega se i milanesi non gradiranno la sua napoletanità. Stranamente non arruolato per questo giro Davide Van De Sfroos cantore spesso accostato al sole delle Alpi (che peraltro a Sanremo si piazzò terzo, sempre per rivangare l'accostamento tra classifica festivaliera e direzione dei venti politici).



Qui nella nostra città, Novara, la campagna elettorale non ha previsto momenti musicalmente salienti. Qualche band locale ha suonato, ma credo per soldi non per ideologia. In questo week-end c'è il festival Jazz, ma l'evento non contempla prese di posizioni politiche di sorta... Naturalmente anche tra chi organizza eventi e concerti il tifo per l'uno o per l'altro si fa sentire (anche con qualche caduta di stile su Facebook per essere sinceri). In base a chi vincerà capiremo - nel nostro piccolo - se tornerà Street Festival o se resterà la manifestazione clone, ArtFestival, e se quest'estate tornerà ancora Davide Van De Sfroos o se potremo sperare non dico nel Vecchioni di turno, ma almeno in un Elio o in una Carmen Consoli.


Anche per il referendum la musica si prodiga per il difficilissimo compito di sensibilizzare la cittadinanza affinchè si raggiunga il quorum. Ieri 25 e stasera 26, "musica per il Sì: per fermare il nucleare, per l'acqua pubblica, e per una giustizia uguale per tutti", concerti in tutta Italia da Monfalcone a Vercelli, da Roma a Taranto, con la partecipazione di Simone Cristicchi, Marlene Kuntz, Giuliano Palma&Bluebeaters, Stefano Di Battista, Marina Rei, Banda Osiris, Paola Turci, Servillo&Solis String Quartet, Almamegretta, e il redivivo Mimmo Cavallo. Ovviamente chi è per il no si guarda bene dal cantare... Roberto Conti

11 maggio 2011

30 anni fa moriva Bob Marley indiscusso re del reggae

«I soldi non comprano la vita». Con queste parole, rivolte al figlio Ziggy, l’11 maggio di 30 anni fa il re del raggae Bob Marley si congedava dalla sua esistenza terrena. A portarselo via è stato un cancro alla pelle, curato in maniera solo parziale, a causa della sua religione che impedisce le mutilazioni. Da allora riposa in una mausoleo a Nine Mile, il villaggio giamaicano che lo ha visto nascere, nel 1945.Nella tomba ha voluto portare con sé: una pianta di marijuana e i suoi semi, un pallone da calcio, una Gibson Les Paul “Solid Body”, una Bibbia e un anello ricevuto dal principe etiope Asfa Wossen. Tutti oggetti che simboleggiano, in un modo o nell’altro, le passioni che lo hanno accompagnato nell’arco della sua intera vita. Da quando, bighellonando per i sobborghi di Kingston, insieme a Neville O’Riley Livingston (noto come Bunny) passava il tempo ascoltando il bluse e il rock americano da una vecchia radio, cercando poi di riprodurre quei suoni con ’chitarre artigianalì assemblate con corteccia, bambù e fili elettrici. Bob si trasferì nella capitale caraibica dopo che il padre, bianco, lo abbandonò insieme alla madre, nera. «Mio padre - dirà qualche anno più tardi - era come quelle storie che si leggono, storie di schiavi: l’uomo bianco che prende la donna nera e la mette incinta». Fin da piccolo quindi, anche a causa delle sue origini etniche miste, conobbe la violenza e i pregiudizi razziali che, ancora oggi, infiammano Kingston. Grazie all’amore per la musica, e alla devozione verso il Rastafarianesimo, a cui si era convertito, riuscì tuttavia a sopravvivere, mostrando fin dalla prima adolescenza uno spiccato talento musicale. Nel 1962, all’età di 16 anni, Bob registrò i suoi primi due singoli. La sua attività da musicista professionista, comunque, ebbe inizio due anni più tardi, quando insieme a Bunny fondò la band The Wailers.Ancora oggi è considerato l’indiscusso re del reggae, il genere musicale nato dalla contaminazione dello Ska giamaicano con il sound statunitense, che Bob ebbe il merito di portare nel mondo. La consacrazione internazionale del genere avvenne, infatti, quando nel 1973 Eric Clapton produsse una cover del brano degli Wailers, “I Shot the Sheriff”. Dopo quasi mezzo secolo le sue ritmiche in levare vengono ormai applicate per ogni tipo di contaminazione, dalla musica elettronica al pop, passando per il rock italiano. Ne hanno fatto uso, per esempio, Vasco Rossi e Loredana Bertè, in diversi loro successi. Nel 1975 Bob lasciò Bunny, iniziando la sua carriera solista. Quello stesso anno irruppe nel mercato uno dei suoi brani più celebri, “No Woman, No Cry”. Da quel momento ogni sua produzione ha irrimediabilmente conquistato, e mantenuto per settimane, le vette delle classifiche di mezzo mondo.Non meno importante è stato il suo impegno politico, da lui visto però quasi più come una vocazione spirituale, pacifista ed ecumenica che come una ideologia. «Emancipate voi stessi dalla schiavitù mentale -cantava in “Redemption Song”-, nessuno a parte noi stessi può liberare la nostra mente». Forte fu il legame con l’Africa, come Fela Kuti e Malcom X, sognava l’unione del popolo nero, per una nuova era di libertà.Nel ’78 ricevette, a nome di 500 milioni di africani, la medaglia di pace dalle Nazioni Unite. Due anni dopo partecipò, inoltre, alla celebrazione dell’indipendenza dello Zimbabwe, ma non si dimenticò mai dei ghetti in cui era cresciuto. Fino alla fine si è battuto per la cessazione delle violenze a Kingston, pagandone le conseguenze. Nel 1976, qualche giorno prima dello “Smile JamaicA”, un concerto allestito per attenuare le tensioni tra le diverse fazioni politiche giamaicane, Bob e la moglie Rita vennero feriti nel corso di una spedizione punitiva attuata contro di loro.Bob però cantò lo stesso. «Le persone che cercano di far diventare peggiore questo mondo -disse- non si concedono un giorno libero. Come potrei farlo io?» Nel corso di un altro concerto, organizzato per gli stessi motivi pacifisti dello “Smile JamaicA”, nel ’78 Marley riuscì addirittura a far incontrare sul palco i due leader politici rivali, Michael Manley ed Edward Seaga, e a fargli stringere la mano.Prima di morire in un ospedale di Miami, Bob riuscì ad esibirsi anche in Italia, dove, il 27 giugno dell’80 suonò allo Stadio San Siro di Milano, davanti a una folla di 100mila persone. Nonostante giornali e Tv, ancora oggi, non facciano altro che marcare l’argomento, il musicista però, pur non nascondendolo, non ostentò mai il suo uso di marijuana.Per lui era un’abitudine naturale, che proveniva dalla sua cultura etnica e religiosa. Anche se tale pratica nel 78, a Londra, gli costò un arresto. «Coltivare erba non è legale? Se è Dio che ce l’ha data -ha detto ironicamente una volta- allora vuoi dire che anche Dio non è legale?» Oggi la musica di Bob continua a vivere, oltre che nelle tante registrazioni che il cantante ci ha lasciato, anche nelle esecuzioni di tre dei suoi 13 figli. Ziggy, Stephen e Damian, infatti, continuano la tradizione musicale del padre con la loro band, i Melody Makers. r.co.

2 maggio 2011

Ascolti emergenti di maggio

The Ex Kgb - Fisrs Putin ***
Già stringendo tra le mani una copia del cd First Putin, della band italianissima The Ex Kgb, si capisce che sarà qualcosa di estremamente partciolare.Suoni folk, rock 'n' roll pimpante e voce alla indie-english style sono perfettamente mescolati tra loro per creare un sound da ascoltare a pieno volume. Inutile dire che lo zampino di Ronan Chris Murphy per la produzione del cd, abbia dato un tocco tecnico ai brani non indifferente. La batteria spicca su tutti gli strumenti, quasi come a dimostrare di essere la colonna portante del trio. Ritmica impeccabile la chitarra, che già dal primo accordo ti va venire voglia di scatenarti, anche se sei nella privacy della tua stanza. Il basso, presente ed irruente in ogni brano, regala suoni corposi e in perfetta simbiosi con la batteria, dando ad ogni pezzo la grinta necessaria. Notevole il brano Pussy Galore, una ballata dal sapore rock'n'roll che farà scatenare anche i più scettici a riguardo. Un ottimo lavoro insomma, consigliatissimo. Monica Bertozzi



U’Papun - Fiori innocenti ***

Sottile, tagliente, ironico. Questo è Fiori innocenti il disco d’esordio dei pugliesi U’Papun.
Il lavoro si apre con “Inutile alchimia” che è quasi un benvenuto nel mondo di Alfredo Colella. Un mondo attuale e reale di cui gli U’Papun sono a volte spettatori esterni , come “La sposa in nero”. Brano che mette a confronto il sentimento puro di una giovane ragazza e il cinismo della cultura media, o “La danza degli insoddisfatti” quadro di una società piatta e perennemente annoiata e intontita. Altre volte Gli U’Papun cambiano prospettiva e vivono in prima persona vizi, stravizi e frustrazioni, come in “Maledettissimi soldi” brano diretto e cattivo che non lascia scampo a molte interpretazioni. Così come in “Vivere come un’attrazione” dove prevale la voglia di distacco dalle masse, fino al malato distacco da se stessi.
Una menzione particolare è per “L’appaprenza”, già singolo di lancio del disco. Un’ ironica quanto mai reale fotografia del mondo dello shobiz, che si avvale del featuring di un Caparezza in gran spolvero. Dopo aver spazziato e giocato tra folk, rock, ska, e funk troviamo anche un lato più cantautorale. “Uomo qualunque” è l’unica ”ballad” del disco. Triste e introspettiva è la dichiarazione di sconfitta di un uomo che vede nei potenti privi di scrupoli un punto di riferimento e di arrivo. “Biancaneve (donna emancipata)” e “Giulietta” sono delle gustose e divertenti rivisitazioni in chiave moderna del classico “C’era una volta…”. Gli U’Papun sono un folle carrozzone che porta in scena la vita reale, o come gli ha definiti Red Ronnie “Il lato deviato della Puglia”. Un lato certo deviato ma che non ha paura di parlare chiaro, di osare con le parole e con gli strumenti. Daniele Bertozzi



Koinè - Il rumore dei sassi **
Una Bella copertina in pieno stile urban, un titolo accattivante che incuriosisce e porta all’ascolto del nuovo album del quartetto ferrarese con tutta la volontà e la voglia del caso.
Peccato che l’illusione duri poco, troppo poco. Basta la title track Il rumore dei sassi per capire che ci si ritrova davanti all’ennesima produzione pop-rock italiana piatta e vuota. Così ascoltiamo undici tracce in cui sembra di trovarsi nel bel mezzo degli anni novanta ora in un disco di Nek, ora in uno degli O.R.O. L’unico episodio che si salva è Lasciami cenere, brano accattivante e movimentato, mentre brani come 100 volte, Sul binario e la conclusiva Con te non lasciano nulla, sia nei testi che nelle musiche non c’è nulla che possa cogliere l’attenzione e farsi ricordare. Sia chiaro, non è un brutto disco composto da brutte canzoni. Semplicemente il lavoro non è nulla di più che un esercizio di stile con una grande produzione e grandi arrangiamenti, ma quello che davvero manca sono le idee, la personalità e l’avere qualcosa da dire pensando troppo all’essere fruibili e radiofonici. Daniele Bertozzi