19 gennaio 2005

Mirko Dadich - Sinfonia incompiuta: Estate

Premio letterario 'Provincia cronica' prima edizione
Mirko Dadich - Sinfonia incompiuta: Estate

L’ennesimo pomeriggio gettato ai rovi.
Seduto sulle panchine della stazione, insieme a Gae e Fede, penso ad un muro grigio alto quanto il cielo. Una superficie scabra, corrugata, su cui sbattere forte la testa e soffocare nel cemento. È un martedì pomeriggio. La scuola è finita. La scuola è finita e chissenefrega. I primi giorni di vacanza scivolano nella noia, una coperta calda e soffocante. Un tendaggio tenue che decora le ore buttate via come stracci e l’eterna domanda:
-Che si fa?
-Mirko, io mi sono rotto di mettere ‘ste erbacce sui binari.
-Andiamo via, cazzo. Fede sbuffa spazientito.
Siamo seduti sulle panchine di pietra alla stazione di Classe. Buttati sul granito, in attesa che l’espresso per Rimini spappoli i fiori bianchi ed i rami che abbiamo adagiato sulle rotaie. Le siepi curate sono ridotte ad uno sfacelo, un’apocalisse vegetale. Dopo il nostro passaggio non cresce più nulla.
Gae si raschia la gola e sputa per terra con sdegno, come i vecchi acidi e catarrosi del Circolo.
-Fumiamoci una sigaretta, no? Dice, ficcandosi un dito nel naso. -Poi decidiamo.
Le nostre bici sono scaraventate sull’asfalto e rigorosamente senza cavalletto. Mentre afferro il manubrio, il treno passa improvviso e singhiozzante. Un sogno metallico lungo kilometri, finestrini e facce impolverate ed ho un’ultima visione di foglie e petali triturati e risucchiati via. Verso sud.

MS Blu.
Gae ruba a sua madre le sigarette che poi nasconde nella cabina del contatore del gas.
MS Blu.
Tutta un’altra cosa rispetto alle Nazionali che fumano i miei. Pessima esperienza, quella.
Fede parla di una negli spogliatoi della piscina, che si è fatta toccare le tette. Anzi, ciucciare.
-Ed io gliele ho succhiate.
Gli ridiamo in faccia, -Ma che stronzate spari?
-Vi dico che è vero! Si incazza lui, -Chiedetelo a Filo!
Aspiro una lunga boccata, smorzo un colpo di tosse ma faccio finta di niente. Siamo distesi in un campo di pannocchie lungo la ferrovia. Siamo in incognito. Nessuno può vederci. In alto, un cielo frettoloso che mi sfila sugli occhi. È azzurro, svogliato e incurante: potrei vederci il mio riflesso come in un lago alpino. Il pomeriggio vola via così, con le braccia arrossate dalle foglie rigide, incartapecorite; e le nostre parole se le porta via il vento.

Ceno così in fretta da non avvertire un singolo sapore sulla lingua. Con la bocca ancora piena mi alzo da tavola e saluto i miei.
-Mangia almeno una pesca! Ti ho comprato quelle dure, sono in frigo. Dice mia mamma, un po’ scocciata. Tengo in bocca la pesca fredda stretta tra i denti e raggiungo gli altri alle panchine.
Scatta una gara di sgommate tra urla e risate. Alla fontana si decide la serata.
-Facciamo un po’ di vetri, stasera?
-Si.
Pedaliamo fino allo Zuccherificio. Imboscate le bici, ci infiliamo nel buco della recinzione. La fabbrica si staglia contro il tramonto livido, maestosa nel suo abbandono come una cattedrale nel deserto. Le sue rovine rossastre mi suscitano impressioni di guerre nucleari, di civiltà lontane ed estinte.
Sono anni che ci intrufoliamo qui: lo conosciamo questo posto, come le nostre tasche, come il cassetto buono per nasconderci i giornalini porno. Lo Zuccherificio è routine, ormai. Ma per me conserva ancora un’aura, una vibrazione di magia. La magia della ruggine e delle macerie, di macchinari sconosciuti e di quei suoi sotterranei da incubo.
Un rumore di qualcosa che si rompe mi riporta alla realtà.
Zuccherificio. I mattoni rossi delle officine. Le vetrate. I pezzi di cemento per terra.
Fede ha già iniziato a tirare sassi ai finestroni, seguito a ruota da Gae, con il suo lancio da cecchino. Generazioni di ragazzi sono passati di qui negli anni, ed i soli vetri superstiti sono quelli dei piani superiori. Noi miriamo a quelle.
I bersagli colpiti esplodono, risuonando come petardi fuori stagione.
I miei lanci sono fiacchi, cazzo.
-Mirko sei scarso duro.
-Lo so, lo so. Faccio cagare.
Gae afferra pietre lisce, soppesandole. Le sceglie con cura. Sta puntando un gruppo di lucernari intatti, nell’edificio più alto e lontano. In mano ha una pietra grigia. La luce sta evaporando impercettibilmente ed inesorabilmente.
Gae guarda lontano e dice:
-Un giorno distruggerò tutte queste finestre. Tutte.
Si inarca all’indietro e flette il braccio scagliando la pietra, facendola fischiare nel blu scuro.
Silenzio.
Lontano, uno schianto saluta la notte.

Un giallo caldo sulle spalle nude. Mi schermo gli occhi con la mano. Il sole alza il volume dei colori che sembrano metallizzati.
Aspetto seduto sulla bici.
Ma quanto ci mettono porca puttana?
Quei due sono dei cazzoni sempre in ritardo. Sagome distorte attraversano i binari. Sagome di plastica fusa nella calura.
Sono le due del pomeriggio: è un caldo fottuto.
-Finalmente! Che cazzo stavate facendo?
Gae suda copiosamente, anche da fermo.
-Dai non rompere. Abbiamo perso un sacco di tempo per cercare un pallone decente.
-Ma quella non è la palla di Ubi?
Fede gioca distratto con la palla del suo cane. Incrostata di fango e mezza sgonfia: praticamente un cesso.
-Sì, ho fatto una fatica per prendergliela...
-Fede quella palla è una merda.
-E' tutta sbavata.
-E' vero.
-Chissenefrega. Ah, non ho il telo.
-Perchè?
-Perchè mia mamma dormiva ed io non so dove cazzo tiene i teli da mare. Tanto uso il tuo, no?
-Sei un coglione.
-Dai froci andiamo.
-Oh sì Federico, mio bel frocetto vengo subito!
Partiamo svogliatamente sotto gli implacabili raggi solari. Padroni delle strade. E’ l'ora della siesta, in giro non un'anima.
Occupiamo tutta la corsia, pedalando senza mani.
Guardo la campagna bruciacchiata, certi rottami o lamiere in lontananza che lampeggiano come eliografi.
-Che merda è un eliogràfo?
-Eliografo idiota. E’ una specie di specchietto per fare segnali. Riflette il Sole, quelle cose lì.
-E tu come fai a saperlo?
-Boh, forse l'ho letto da qualche parte.
-Gae, vedi? E' un'intellettuale.
Continuiamo a discutere attraversando il paesaggio e vari altri argomenti. Il tempo può finire ora. E al futuro chi ci pensa?
Fede esordisce con:
-Avete visto che tette che ha la Catia?
-Ha due tette favolose.
-Da succhiare! Ahhh.
-Dicci la verità, Mirko. Quante seghe ti fai pensando a lei? Eh?
-Io? E’ Gae che ha la mano consumata.
-Sei un segaioloooooo!
Urliamo. Zigzaghiamo sulla linea di sorpasso. Parliamo e cazzeggiamo.
Mi piace sentire i polpacci che lavorano, che spingono sui pedali. Mi piace avere in mente le tette di Catia.
In testa ho il mare e il sole. Amici e biciclette.
Che cazzo mi serve di più.
-Mirko sei lento!!
-Whoooooo!
Quei due mi sorpassano improvvisamente, pompando a testa bassa.
-Bastardi!
Rido e mi fiondo all'inseguimento.
Come tre velocisti in scia ci superiamo a vicenda, sputandoci di tanto in tanto.
Destinazione: mare. Con tutti i significati di cui è carica questa parola. Orizzonti acqua sale libertà vacanze ragazze giocare gelati relax parolacce calore amicizia pelle e sabbia.
Siamo in velocità e il tempo lo lasciamo indietro.Fanculo non ci prenderete mai.

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