17 gennaio 2005

Laura Platamone - La più bella città dei mortali

Premio letterario 'Provincia cronica' prima edizione
Laura Platamone - La più bella città dei mortali

Man mano che la macchina procedeva per quella strada conosciuta, Linda iniziava a sentirsi al sicuro.
Quello era il suo mondo. Non le interessava quello che dicevano le classifiche nazionali, lei lì si sentiva bene e ovunque andasse, per lavoro, vacanza o qualsiasi altro motivo, arrivava sempre un momento in cui avvertiva l’irrinunciabile bisogno di ritornare alle sue radici. In quella città che soffriva i colpi dell’emarginazione. A sud di tutto. Capolinea di una politica che troppo spesso chiudeva gli occhi. Abitata da persone che avevano perduto la voglia di fare. L’aveva odiata per anni ma poi, col tempo, aveva anche imparato ad amarla.
Fino ai tempi dell’università era stata la sua prigione, dalla quale era uscita poche, pochissime volte. Nella sua testa esistevano metropoli enormi e piene di vita e il loro nome era sempre lo stesso: libertà.
Poi era approdata a Palermo e non sapeva se fosse una metropoli o no, ma di sicuro lì nulla, o comunque poco, sapeva di libertà. Certo poteva uscire con chi voleva e rientrare ubriaca all’alba o invitare nel suo letto quell’amico dell’amico di una sua collega solo perché aveva detto che il suo modo di ragionare lo “intrippava”. Ma lì c’erano gli impegni, i doveri, la casa da pulire, pasti da preparare, orari e autobus in ritardo sempre troppo pieni.
Una vita che doveva reggere per cinque giorni la settimana ma troppo spesso, già al giovedì, imbracciava la sua valigia sgangherata e tornava a casa. Nella sua Agrigento. Quella città dove traffico voleva dire una coda dalle poste alla stazione, trecento metri di caos strombazzante che, in genere, si risolveva al massimo in dieci minuti.
Era stato allora che aveva imparato ad apprezzarne i ritmi lenti, la possibilità di girarla tutta in meno di mezz’ora, il mare d’inverno e posti che fino a quel momento non aveva saputo vedere.
In quella città, che guardava con gli occhi di un’innamorata, esaltandone i pregi senza scorgerne i difetti, voleva crescere e invecchiare, lì avrebbe voluto crescere i suoi figli e trascorrere la sua vita, invecchiando tranquilla.
Ma il destino aveva scelto per lei un’altra strada, o forse era stata lei a inseguirla perseverando con tenacia in quel sogno che credeva irrealizzabile.
Ricordava i lunghi tramonti passati sulla sabbia bianca in compagnia solo del suo fido block- notes, le frasi buttate giù sull’onda dei rimpianti e del sapore amaro delle sue delusioni. Le parole scritte veloci su quei fogli a quadretti, con la biro blu che troppo spesso l’abbandonava sul più bello. Ma lei apriva la borsa e ne tirava fuori un’altra. Mai e poi mai la voce delle sue parole sarebbe stata messa a tacere da un così banale “disguido tecnico”.
E alla fine quei pensieri scritti rapidamente che erano la sua terapia contro gli inevitabili fastidi della vita erano diventati racconti e libri e lei, adesso, era una scrittrice.
Ma per farlo aveva dovuto abbandonare le sabbie chiare della sua terra e i quaderni a quadretti, comprare un pc e andare lontano.
Erano passati dieci anni, dodici libri e più di duecento racconti, ma il primo premio, la prima soddisfazione era arrivata proprio lì, nella sua città.
Lo ricordava ancora quel pomeriggio di Giugno, preludio di quella che sarebbe stata definita, a posteriori, l’estate più calda del secolo. E ricordava quella poesia premiata, l’emozione di sentirla recitare dalla voce appassionata di un’attrice, mentre lei poteva semplicemente perdersi ad ascoltarne le parole e lasciarsi trasportare dalle suggestioni che le infondeva. Dimenticando di essere nella sala affollata della biblioteca cittadina, dimenticando che lì intorno c’erano centinaia di persone, dimenticando per un attimo anche chi fosse e cosa stesse facendo. Una lacrima leggera asciugata di fretta, le era scesa lungo la guancia, lì sotto gli occhi di tutti. Se qualcuno dei presenti si fosse accorto l’avrebbe di certo attribuita all’emotività di una giovane donna per un riconoscimento così importante. Lei invece sapeva che quella poesia e quella lacrima erano per lui...
A quel tempo aveva appena maturato la decisione di diventare una scrittrice, pensava che i sogni che aveva tradito erano già stati fin troppi, a quello non avrebbe rinunciato, a costo di qualsiasi sacrificio. E si era impegnata giorno e notte, per migliorarsi e farsi conoscere, ma ben presto aveva capito che dalla sua casetta di campagna non avrebbe mai concluso molto. Avrebbe potuto scrivere tonnellate di pagine, ma come le centinaia di curriculum inviati per posta o e-mail, nessuno, o comunque pochi, si sarebbe degnato anche solo di leggerle.
Il flagello di quella città che, pur essendo capoluogo, soffriva di una scarsità di iniziative e opportunità sconvolgente. Disarmante per chiunque avesse qualcosa da dire o da proporre. A poco a poco la mancanza di supporto o interlocutori riusciva a bloccare ogni iniziativa. Linda lo sapeva bene e quando ci pensava, la sua mente andava a quell’agenzia pubblicitaria che non aveva mai aperto i battenti, a quel logo che aveva disegnato sul muro con l’entusiasmo di chi crede in qualcosa e che ora giaceva sotto le quattro mani di ducotone candido che c’erano volute per coprirne lo smalto nero. Ma lei, non voleva tradire l’ennesimo sogno, non voleva lasciarsi coinvolgere in quello stato di cose in cui versava tutta la sua terra e la sua gente perciò aveva scritto e scritto e, in quelle buste gonfie che consegnava all’impiegato pigro delle poste, c’erano le storie e speranze, insieme a tutta la sua vita. Nonostante avesse ormai perso il conto di quante ne avesse inviate non si perdeva d’animo e continuava a crederci. E, alla fine, la risposta tanto attesa era arrivata, tutti i suoi sacrifici erano stati ripagati - pensava - ma non sapeva che il più grande doveva ancora arrivare. Con la prima proposta editoriale e l’immediato, inaspettato successo lei avrebbe dovuto lasciare la sua terra, Agrigento, che, qualche millennio prima, le parole stupite dello storico Pindaro, avevano definito come la più bella città dei mortali. A guardarla oggi, di quella memoria antica non rimaneva molto all’infuori della verde valle che ne custodiva il tesoro dei templi, sembrava piuttosto il dipinto bizzarro di un pittore visionario, coi suoi palazzi dai colori polverosi ammassati senza alcun ordine e quelle strade tortuose e prive di alcuna geometria, che profumavano troppo di deserto e troppo poco di civiltà.
Adesso, dopo dieci anni, Linda tornava a fare parte di quel quadro, ma in una veste diversa, perché ora, quando camminava per strada, la gente la vedeva e la fermava. La riempiva di complimenti per quello che pensava e diceva, per la sua carriera. Lei, dal canto suo, nonostante il successo fosse ormai un dato di fatto nella sua vita, non si era mai abituata a quello stato di cose, già mettere un autografo sulla copertina del suo libro le sembrava di un ridicolo enorme, forse perché quello lei non lo sentiva come un lavoro, ma piuttosto un’esigenza, qualcosa che faceva perche ne avvertiva il bisogno profondo e che le regalava piacere e benessere. Vedere adesso quelle persone che fino a dieci anni prima l’avevano perlopiù ignorata, cercarla e complimentarsi la dava la misura di quanto in quella terra il conformismo fosse ancora una virtù. Lei dal canto suo non ci aveva mai creduto e non se ne era mai fatta coinvolgere, ma bastava davvero poco per fare di qualcuno un VIP da osannare e ricercare. Già apparire sulle emittenti locali era un motivo di ingiustificata popolarità. Lei che aveva frequentato i salotti delle tv nazionali e i talk show più conosciuti, in quella terra di false modestie, era ormai un vero personaggio e, nella folta schiera delle personalità cittadine, era davvero in ottima compagnia, insieme a Gino il paladino, che con la sua armatura presidiava ogni processione e i pazzi dell’ex manicomio ormai a piede libero. Il vecchio Tobia continuava a sussurrarle “ciao bella biondina” ogni volta che l’incrociava per strada e, poco importava se lei, i capelli biondi, non li avesse mai avuti.
Il pensiero di essere tornata per rimanere, la confortava. Troppe volte l’aveva fatto con l’obbligo di contare i giorni e le ore, tra aerei in partenza e appuntamenti segnati su un’agenda troppo fitta di impegni. Adesso avrebbe avuto tutto il tempo di scrollarsi di dosso una frenesia che, pur non appartenendole, l’avvolgeva da anni e riappropriarsi di quei ritmi e quei luoghi che non aveva mai smesso di sentire “casa sua”.

Il portone pesante di quella villa barocca in pieno centro cigolava ancora come la prima volta che vi era entrata. Lo ricordava ancora e ricordava il pensiero che non sarebbe stato facile convincere quelle anziane signorine a venderla. In città erano quasi una leggenda, le streghe del viale le chiamavano, quelle due gemelle dannatamente ricche, ma così vecchie e sole che avrebbero portato nella loro tomba quel ricco patrimonio senza eredi. In effetti inizialmente si erano mostrate restie anche solo ad aprirle la porta, ma Linda non si era scoraggiata. Da quando aveva imparato che anche i sogni possono realizzarsi nulla le sembrava impossibile.
Si era presentata a bussare alla porta di Villa Russo in un fresco pomeriggio di marzo, in mano alcuni dei suoi libri e nel cuore la speranza di riuscire nella sua impresa.
Era stata una vera sorpresa scoprire che quelle due vecchiacce non erano affatto delle streghe e, forse per il fatto di averla riconosciuta, forse per l’estrema solitudine in cui vivevano, l’avevano accolta con tante feste e invitata a tornare tante e tante volte. E così lei aveva fatto, nelle frequenti, quanto brevi, fughe verso casa, non dimenticava mai di passare a trovare Anna e Lisa.
Linda dal canto suo non aveva subito fatto la sua proposta d’acquisto, non le sembrava educato e voleva comunque valutare bene ogni aspetto della cosa, ma a poco a poco aveva iniziato a buttare li, come fosse per caso, frasi del tipo “ora che l’attività di scrittrice è già assodata potrei decidere di tornare qui in città” oppure “adoro questa zona, è qui che sono cresciuta, proprio nel palazzo qui di fronte” o ancora “se trovassi il posto giusto metterei su una casa editrice tutta mia. Sento di essere pronta per questo”
Le signorine l’ascoltavano rapite, specialmente Anna, la più vivace delle due, ogni volta che la sentiva parlare i suoi occhi brillavano di una luce quasi emozionata.
Un giorno, mentre l’altra sorella si era ritirata per il riposino quotidiano, aveva tirato fuori un involto di carta ingiallita, centinaia di foglio vergati con una grafia sottile ma chiara e comprensibile.
“Linda cara, tu ormai sei un’amica per me, senza le tue visite gli ultimi anni sarebbero stati decisamente tristi e solitari. È proprio in virtù di quest’amicizia che ti affido la mia creatura, l’ho serbata per cinquant’anni, adesso che della mia vita resta davvero poco tu sei l’unica persona che penso possa avere la sensibilità di capire”
Aveva pronunciato quelle parole quasi sussurrandole, con la voce spezzata da un’emozione così profonda da perdersi nello spazio e nel tempo. Da parte sua Linda era davvero stupita di quel gesto. Non sapeva ancora che quel dono sarebbe stato l’ultimo. Di lì a qualche settimana una telefonata di sua madre l’aveva avvertita che Anna era morta.
Quella notizia l’aveva riempita di tristezza, non avrebbe mai saputo che il suo romanzo, sottoposto all’attenzione dell’editore che l’aveva resa famosa, era stato valutato positivamente. In quella storia che parlava d’amore e pregiudizio, della vita unica di una ribelle d’inizio secolo c’era davvero il seme del successo. E Linda continuava anche a chiedersi quanto della vecchia Anna ci fosse li dentro, in quelle storie di passione raccontate con dovizia di particolari, in quel’erotismo d’altri tempi che metteva un brivido alla schiena senza mai risultare volgare, in quelle aspirazioni frustrate da una sorella troppo possessiva e gelosa. Morbosa. Lisa...
Il giorno dopo il funerale era stata proprio la sorella di Anna a chiamarla. Aveva una cosa importante da dirle, e in effetti anche lei doveva parlarle. Quel manoscritto era troppo prezioso per lasciarlo a perdersi ma riteneva corretto informarla della proposta di pubblicazione e valutare insieme a lei.
L’impressione di desolazione che ebbe tornando in quella casa fu enorme. Era tutto come l’aveva lasciato ma il solo fatto di vedere l’antica sedia a dondolo, sulla quale Anna passava i pomeriggi, vuota e ferma, le metteva una tristezza infinita.
Lisa l’aspettava sul divano, quello era il suo posto, ma lei sembrava un’altra, l’ombra di se stessa, gli occhi chiarissimi due biglie di vetro privi di espressione, solo lacrime umide.
Senza dire nulla le aveva allungato un foglio. Non ci aveva messo molto a riconoscerne la grafia sottile.

Amica Mia,
non so quanto strano potrà apparirti una lettera da parte mia, ma ormai che conosci la mia storia mi sento legata a te da un filo invisibile quanto forte. Tu ormai fai parte del mio destino e voglio che questa cosa continui anche quando io non ci sarò più e purtroppo so che è questione di tempo...non molto perché il tempo alla mia età non è più un alleato dei sogni ma un nemico che trama per portarti via e sai che non puoi opporti perciò meglio fare in fretta ciò che resta da fare o si corre il rischio di lasciare incompiute anche le cose che ci stanno a cuore.
In questi anni sei stata una compagnia impagabile e io ho osservato te, i tuoi comportamenti, ascoltato le tue parole, le tue idee e anche il tuo cuore. So perché quel giorno di Marzo hai bussato alla mia porta, l’ho capito vedendo come ti guardavi intorno ogni volta che mettevi piede alla villa e ascoltando il tuo entusiasmo quando parlavi del tuo “posto dei sogni”. So che quel posto è questa casa, so che è qui che vuoi tornare e rimanere e lo voglio anche io. È il mio dono per te e ti prego di accettarlo visto che è davvero poca cosa in confronto a quello che tu hai fatto in questi anni per me.
Un bacio grande
Tua
Anna

Era passato un anno esatto da allora, dalla morte di Anna, da quel regalo che era molto più che un semplice dono ma la perfetta realizzazione del suo sogno. Dietro il portone pesante uno stuolo di gente l’aspettava per l’inaugurazione della sua piccola casa editrice. Accanto alla porta la targa di ottone lucente rifletteva il sole di Settembre in bagliori accenati. L’incisione diceva “Edizioni La Fenice – Dedicato a te Anna. Che adesso vivrai per sempre grazie al tuo cuore che sapeva vedere e sentire”

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