22 gennaio 2005

Dario Ghiringhelli - Tutti al mare

Premio letterario 'Provincia cronica' prima edizione
Dario Ghiringhelli - Tutti al mare


A conclusione dell’anno scolastico, ottenuto con successo il superamento dell’esame di stato, detto anche della maturità, si strappava l’autorizzazione dei genitori a trascorrere qualche giorno in una località marina nella vicina Liguria.
In tale occasione si formava una specie di squadra, composta da un certo numero di ragazzi a cui non faceva difetto qualche specifica risorsa economica, utile per organizzare una spedizione marina essenzialmente rivolta alla ricerca spasmodica di una avventura da consumarsi, come diceva la canzone, grazie a qualche rotonda sul mare. Anche a me toccò di essere coinvolto in tale singolare e straordinaria vicenda.
La quartina dei partenti era costituita, oltre che dal sottoscritto, da Gigi, Ottavio, Massimo. Dopo una serrata discussione relativa alla scelta della destinazione, (considerazioni del tipo: “se si cercano grandi emozioni non è certo la Liguria in cui si deve andare, quello è un luogo di milanesi senza fantasia”, “vero, lì non è un posto dove si rimorchia, le ragazze sono belle, ma cercano tutte un marito”.), prevalse la mia decisione di privilegiare Albissola Mare quale luogo per portare a compimento la nostra voglia di conquiste femminili, giocando in trasferta animati da un senso di liberatoria trasgressione.
Conoscendo bene il posto per avervi, in anni passati, trascorso ripetute settimane di villeggiatura, fui in grado di suggerire il nome dell’albergo in cui avremmo alloggiato: l’hotel Wanda, con vista diretta sulla spiaggia e sul mare, di cui ricordavo bene la favorevole ed allettante caratteristica di disporre anche di un ingresso posteriore, che dava accesso alle stanze, senza obbligo di passare dalla scalinata centrale la quale immetteva nella hall principale.
Si era intorno alla metà di luglio di un favoloso ’64 e avevamo la meravigliosa età dei venti anni. Fu collegiale la decisione di raggiungere la meta in treno sulla tratta Milano – Savona, con trasbordo in autobus da Savona ad Albissola. Il tempo di viaggio, senza problemi di guida, ci avrebbe consentito di formalizzare una strategia di comportamento durante quei pochi giorni di vacanza.
Appena giunti in albergo, dopo esserci sistemati in due camere doppie, Massimo con Ottavio ed io con Gigi, in attesa dell’ora di cena, ci recammo in perlustrazione sul lungomare per identificare lo stabilimento balneare più densamente popolato di fanciulle facilmente circuibili. La scelta cadde sui bagni Sant’Antonio, un edificio in muratura che riecheggiava, in qualche modo, la forma di una nave e dalla cui spiaggia confinante con il molo principale di Albissola si poteva controllare bene tutte le persone che vi passeggiavano.
C’erano fanciulle con masse di capelli platinati, dalle scollature generose, con fianchi persuasivi che attiravano su di esse molte nostre occhiate di interesse. Ragazze di quel tipo non passavano certo inosservate.
La cena di quella prima sera fu un po’ strana perché nessuno dei miei compagni intese aderire alla proposta dei vari piatti di pesce offerti dalla cucina, come era logico e naturale in un posto di mare.
Mi resi conto di essere con dei commensali rigorosamente carnivori che ordinarono allo stupito cameriere tre cotolette alla milanese, guardandomi con disprezzo per la mia scelta di un ottimo fritto misto. Come era facilmente prevedibile, l’esito delle cotolette fu disastroso, sia per il tempo di attesa, sia per il modo in cui erano state cucinate dopo essere state sottoposte ad un vero e proprio processo di carbonizzazione.
Essendo stato responsabile della scelta dell’hotel Wanda, fui oggetto di una serie di improperi da parte degli amici che ritrovarono la consueta calma solo durante la degustazione di eccellenti affogati all’amarena, ripromettendosi, per l’indomani, di rifarsi con sostanziosi primi piatti, orientando i secondi in puro stile esclusivamente vegetariano.
La mattina successiva, dopo aver rispettato la tradizione che prevedeva l’acquisto in panetteria di un pezzo di vera, calda focaccia ligure, facemmo il nostro ingresso nella spiaggia dei bagni Sant’Antonio, sistemandoci sulle sdraio a noi riservate all’ombra di un paio di ombrelloni.
Da quel momento in avanti prendeva avvio l’apertura della “caccia”.
Gigi, Ottavio e Massimo, provetti nuotatori, iniziarono a sfoggiare la loro prestanza fisica, mettendosi in evidenza, dopo aver raggiunto e conquistato, con poche bracciate, la piattaforma della boa, dalla quale potevano dominare la popolazione femminile della spiaggia, mentre io, che avevo sempre aborrito di nuotare per l’atavica paura di annegare, me ne stavo tranquillo a fumare sulla sdraio. In modo del tutto da me inaspettato fui avvicinato da una ragazza che mi colpì per la sua altezza apparsami subito notevole, se rapportata alla mia bassa statura. Nel chiedermi, con massima cortesia, l’accendino in prestito, sedendosi sulla sabbia vicino alla mia postazione, iniziò a dialogare con simpatica disinvoltura.
Nel giro di pochi minuti seppi che si chiamava Cinzia, che aveva ventun’anni, che era ospite nella casa di una zia a Savona, ma che era originaria di Casale Monferrato e che era impiegata presso uno studio notarile. Volle conoscere il nome dei miei amici i quali, da lontano, osservavano con interesse divertito lo sviluppo di questo mio incontro. Sentendomi un po’ imbarazzato dalla sua pur piacevole tendenza ad intromettersi nelle faccende altrui, mi sforzai di essere cortese, badando a non far cadere il discorso, senza, per altro, preventivare quale sarebbe potuta essere la parte conclusiva della vicenda, finché Cinzia, con ineffabile spontaneità, non se ne uscì con una domanda che risultò per me sconvolgente:
“Facciamo un giretto in moscone? Sai sono brava a remare”.
Nello strettissimo giro di pochi secondi il mio cervello cadde in preda di contrastanti considerazioni, mentre mi affannavo affinché dal viso non trasparisse il mio dramma interiore.
“Non ho mai messo piede su una barca in vita mia. Non so nuotare, non so remare, ignoro come si faccia a spingere un moscone dalla spiaggia in mare. Se mi rifiuto, questa mi affibbia, all’istante, la patente di imbranato. Proprio a me deve capitare questo affare?”.
Tali e siffatte erano le mie cogitazioni, finché dalla bocca mi uscì un labile e quasi rassegnato:
“Va bene, andiamo”.
Non appena mi sollevai dalla sdraio per seguire Cinzia verso la riva dove stavano ormeggiati i mosconi, mi resi conto di una sconcertante realtà: la mia testa arrivava a malapena all’altezza delle spalle di Cinzia.
Fui colto da sgomento per la consapevolezza che, in coppia, formavamo un perfetto articolo “il”, unito al disappunto che ero io a rappresentare la “i” e non, purtroppo, la “l”. Fui assalito da quel profondo e amaro turbamento interiore che assale l’individuo quando si rende conto di avere agito in maniera avventata e riprovevole, accettando un invito del genere.
Cinzia, nel suo sfolgorante bikini a fiori, non realizzò il senso di vergogna che mi aveva assalito, in quanto già impegnata a spingere in acqua quell’infelice imbarcazione. Privo di riflessi, mi accomodai macchinalmente sul seggiolino, mentre la fanciulla, libera da impacci e da incertezze, iniziava a manovrare, con movimento ritmico, i remi per imprimere al galeotto galleggiante un movimento nella direzione da lei voluta.
Poco prima di raggiungere la vicinanza della boa, dove i miei tre compagni stazionavano, avvertii un senso di freddo alle estremità inferiori della gambe, accorgendomi, con violenta sensazione di repulsione, orrore e spavento, che i miei piedi erano letteralmente immersi nell’acqua salmastra.
Cinzia, rilevando in un baleno lo sbiancamento accentuato del colorito del mio volto e lo stato di trepidante e tormentoso affanno del mio respiro, ebbe il buon senso di invertire la rotta del natante in direzione della riva, mentre Gigi, Ottavio e Massimo ci seguivano, nuotando a larghe bracciate.
Giunti finalmente sulla terraferma, mi mancò finanche la forza di effettuare le presentazioni di rito che la circostanza richiedeva, tutto preso come ero a soddisfare quell’esigenza fisiologica derivante dall’intensa reazione impulsiva di timore e paura da me avvertita di fronte al pericolo di un irreparabile annegamento.
Lasciai i bagni Sant’Antonio per rifugiarmi nella mia camera in albergo dove, qualche attimo dopo, fui raggiunto dai miei compagni che, per rendere meglio l’idea del loro punto di vista in proposito, dopo aver messo debitamente in risalto, senza alcun ritegno, le allettanti qualità fisiche di Cinzia, facendo ricorso al linguaggio più scurrile, non si astennero dal dileggiarmi per non aver saputo sfruttare a dovere quell’appetitosa conoscenza.
Ripresomi, ebbi la netta convinzione che, grazie al mio comportamento, nessun’altra occasione di incontro con Cinzia si sarebbe mai più verificata.
Il che contribuì a restituirmi un poco di serenità. Ma mi sbagliavo, perché un seguito ci sarebbe stato.
Durante la colazione e la cena di quella giornata, fui ancora oggetto di scherno e derisione da parte dei tre colleghi di villeggiatura ai quali feci rimarcare, come forma di difesa, che loro, dopo un giorno e mezzo di permanenza, non avevano ancora costruito alcun approccio con l’altro sesso.
Fui subito smentito perché la serata aveva riservato anche a Gigi il suo colpo di vita.
Fin dal nostro arrivo ad Albissola, poco più avanti dell’ingresso dell’albergo, era posizionata una bancarella sulla quale erano esposti numerosi giocattoli, i più svariati pupazzi, insomma un campionario che poteva essere oggetto del desiderio di bimbi dai tre ai sette anni. Avevamo tutti notato l’avvenenza di natura un po’ zingaresca dell’addetta alla vendita, soprattutto Gigi, notoriamente e sensibilmente attirato dalle fanciulle esibenti con ostentazione e compiacenza fluenti chiome corvine.
Il nostro programma della serata consisteva nell’assistere, presso il cinema all’aperto, al film di Zeffirelli “Giulietta e Romeo”, prospettiva non molto allettante a cui Gigi preferì non aderire, avendo in animo di cimentarsi nella conquista dell’ambulante morettona.
Rientrando in albergo, dopo la serata passata al cinema, trovammo Gigi in confidenziale conversazione con la venditrice di giocattoli. Ci salutò dicendoci che sarebbe rimasto lì a chiacchierare con Tamara, (il giorno dopo saremmo anche noi venuti a conoscenza del suo esotico nome), fino al momento di chiusura di quella mobile bottega.
Sorbendo l’ultimo digestivo al bar dell’albergo prima di prendere possesso delle nostre stanze, ci dichiarammo all’unanimità convinti che Gigi avrebbe perfezionato con appagante corollario la sua avventura con l’ambulante venditrice.
Mi coricai leggendo quel passo de “Il Gattopardo”, “…… noi fummo i Gattopardi, i leoni: chi ci sostituirà saranno gli sciacalletti, le iene; e tutti quanti, gattopardi, sciacalli e pecore, continueremo a crederci il sale della terra…..”, che ben si addiceva alle presuntuose illusioni della nostra generazione.
Restai in attesa del rientro di Gigi, avidamente curioso della dettagliata cronaca della sua impresa amorosa. Intorno alle tre fece il suo ingresso in camera, recando ben visibili i segni di un angoscioso tormento e di un evidente deperimento fisico.
“Raccontami tutto per filo e per segno. E’ stata una scopata redditizia?”. Gli chiesi con pruriginosa curiosità.
Prima di rispondermi si tolse dalle tasche, deponendoli sgarbatamente sul letto, due yo-yo, un orsetto di peluche, una girandola multicolore e una trottola.
“Ho speso un capitale per queste stronzate, ma è stato l’aggancio per convincere Tamara a scendere sulla spiaggia deserta per fare il bagno di notte. Ha un fisico eccezionale, un pezzo di ragazza incredibile. Quando si è tolta il vestito, si è immersa, sfoggiando un bikini, mini, ma così mini da lasciarmi senza fiato. Usciti dall’acqua, ci siamo sdraiati sulla sabbia ed ho cominciato ad accarezzarla. Lei mi lasciava fare. Ad un tratto, alzando la testa, ho visto alle nostre spalle le ombre preoccupanti di due individui. E’ stato un attimo, uno dei due ha preso Tamara per le spalle, sottraendomela letteralmente, mentre l’altro imprecava in una lingua sconosciuta, forse montenegrina. Erano il padre e il fratello, i quali, con ampi gesti convincenti, mi invitavano a tagliare la corda. Ho dovuto rivestirmi per strada ed eccomi qui con due zebedei privati della loro naturale soddisfazione”.
A fatica fui in grado di trattenere la mia voglia di ridere, per non infierire crudelmente sull’amico già bastantemente contrariato ed avvilito per la frustrazione dei suoi sensi.
La nobilissima ansia di tradurre in pratica i grandi principi della libertà, dell’uguaglianza e della giustizia, che la nostra generazione, quella dei nati dopo la guerra, ha respirato, mangiato e bevuto da quando è venuta al mondo, in siffatte boccaccesche vicende subiva un crollo definitivo e totale.

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Non furono certo più fortunati, rispetto a quelli di Gigi, gli accadimenti balneari di Massimo. La scelta di qualche disco in un juke-box galeotto consentì a Massimo di stabilire un contatto con una signora di Savona, una certa Erica, di almeno una decina di anni più avanti rispetto ai ventuno di Massimo. La savonese, nel complesso, non era male, anzi dava l’impressione di essere una donna di classe, denotando signorilità, disinvoltura ed eleganza anche quando indossava un semplice costume da bagno. Nel giro di un pomeriggio, Massimo fu letteralmente conquistato ed attratto da lei, forse anche attirato dal poter fare la sua prima esperienza amorosa con una donna più matura delle ninfette che, a Saronno, erano solite cadere facilmente ai suoi piedi.
L’immagine di Erica aveva invaso la sua mente. Lo squisito battito delle ciglia, il movimento armonioso del suo corpo gli suscitavano una profonda emozione, non riuscendo a scoprire in lei una minima imperfezione suscettibile di rompere il fascino che emanava dalle sue forme scultoree, senza che alcuna traccia dell’età comparisse su quel viso da cammeo.
Senza frapporre ulteriori indugi, dopo poche ore di conoscenza, Massimo invitò Erica a cena in un ristorante caratteristico di Albissola, forte del fatto che un’improvvisata colletta, effettuata con rapidità presso di noi, gli garantiva la possibilità di non sfigurare, potendo sperperare liberamente per essere all’altezza della sua invitata.
Durante la cena in albergo noi tre commentavamo un po’ perplessi questo repentino innamoramento di Massimo, che, in passato, si era sempre dimostrato e rivenduto come un duro nelle numerose vicende sentimentali in cui era incappato. Inoltre, per quanto lui si dichiarasse navigato nei rapporti con l’altro sesso, ci preoccupava la differenza d’età intercorrente con la sua dama, la quale, ancorché superata da poco la trentina e quantunque molto carina, lasciava trasparire l’immagine di essere una donna molto matura ed esperta e, comunque, in grado di poter dominare appieno i ventuno anni del nostro amico.
Non ci rimaneva che attendere la conclusione di quell’improvvisato connubio. Le nostre larvate perplessità non si rivelarono del tutto infondate, come avemmo modo di evincere dopo la minuziosa cronaca fornitaci da Massimo senza trascurare alcun minimo particolare della sua singolare vissuta avventura.
La cena, consumata in quel costoso ristorantino, a base di specialità di pesce ed annaffiata da un inebriante e gelidissimo “Pigato”, si svolse in perfetta intimità e reciproca corrispondenza di amabili affettuosità, con Massimo estasiato e catturato dall’ineccepibile finezza e signorilità di comportamento della sua compagna nel gestire la conversazione che aveva toccato “vertici sublimi”, spaziando su quintessenziati argomenti, (tali furono le espressioni pronunciate dal nostro compagno nel fornirci il resoconto della serata), che Massimo, ragazzo di provincia, non fu assolutamente in grado di compenetrare.
A cena ultimata, Erica si offerse di accompagnare in auto, un’Appia terza serie, il suo cavaliere per mostrargli l’appartamento di Savona, garantendogli di riaccompagnarlo ad Albissola a serata conclusa.
Grazie a tale invito, Massimo, sentendosi più a suo agio, consapevole di camminare sul terreno a lui familiare dell’incipiente epilogo scopereccio, non esitò un solo istante a cogliere al balzo quell’invitante e, al tempo stesso, intrigante opportunità calatagli, come si suol dire, su un piatto d’argento.
Durante il breve tragitto fino a Savona, il ragazzo non si curò della coltre di silenzio che era improvvisamente calata da parte di Erica, essendo troppo concentrato a pregustare il sapore dell’imminente trasgressione.
Giunti a destinazione, Erica, da perfetta anfitrione, si compiacque di accogliere, con fastosa dovizia di superalcolici, l’ospite, indugiando a raccontare spezzoni della sua vita, (“tirandola un po’ troppo in lungo”, ci disse, per onor di precisazione, Massimo), dopo essersi accomodata non sullo stesso divano su cui era andato a sedersi il nostro amico, ma su quello di fronte. Il che contribuì a raggelare momentaneamente le ambizioni lascive di Massimo che, mediante abile e disinvolta manovra di accerchiamento, andò, con nonchalance, ad occupare più consona postazione a fianco di Erica. Nell’attimo stesso in cui con un braccio cercò di cingerle garbatamente le spalle, questa, con mossa felina, scattò in piedi, urlando con smodata arroganza:
“Ma cosa ti sei messo in testa? Con chi credi di avere a che fare? Mica sono una donna di strada!”,
“Ma, veramente, sei tu che mi hai fatto capire …….”, osò controbattere timidamente Massimo,
“No! Non hai capito niente!”,
“Cosa devo capire? Mi hai invitato qui! Siamo soli ….. Pensavo che …… “,
“No, no! Lascia che ti spieghi”, lo interruppe Erica divenuta più calma e riacquistando la sua consueta classe e signorilità che tanto aveva impressionato favorevolmente Massimo.
“Massimo, tu sei un bel fanciullo e questo è quanto importa e desidero che tu divenga il mio compiacente amico. Vuoi?”.
“Ma, non capisco, prima non hai voluto……….”,
“Insomma, fai uno sforzo….. vienimi incontro ……”.
Ancora una volta Massimo cadde nel fraintendimento più clamoroso, tentando di andare verso Erica.
“No! Continui a non voler capire! Senti, tu sei uno splendido ragazzo. Senza che tu te ne accorga, sei in grado di catalizzare l’attenzione di tante donne ed è a queste che, grazie a te, voglio arrivare! ….” .
Come uscendo improvvisamente alla luce, superato un banco di nebbia, uno squarcio di intuizione lacerò con violenza e con effetto vistoso e impressionante la mente del meschino saronnese, con conseguente, immediato blocco dell’epiglottide.
Neppure un doveroso ed appropriato “gulp” uscì dalla sua bocca.
Come un automa, in un battibaleno, Massimo si trovò alla fermata dell’autobus di linea percorrente la tratta Savona – Albissola, rientrando, frastornato, intontito e confuso, nell’accogliente hotel Wanda.
Ci concluse il suo racconto con un impensabile e stravagante excursus sull’anomalia del comportamento sessuale della donna consistente nella ricerca e nel soddisfacimento del piacere erotico con persone del proprio sesso.
Completamente allibiti, ci consolammo tutti al pensiero che solo due giorni ci dividevano dal momento di far ritorno al nostro natio borgo saronnese.
Non bastavano il contorcimento del twist, dello shake, il rimbambimento dello hully-gully ed il deplorevole contatto fisico del “mattone” a coercizzare noi giovani di quegli anni ’60, fu necessario che si aprisse pure un nuovo capitolo della scostumatezza.

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La mattina dopo, mentre tutti e quattro poltrivamo con neghittosa inerzia sulle sdraio della spiaggia, si rifece viva Cinzia nella sua statuaria bellezza, venendo a sedersi sulla sabbia vicino a noi.
Ebbi la sgradevole impressione che fosse ancora più alta di quanto mi era sembrato due giorni prima in occasione del primo incontro. Si mise a parlare con noi con estrema semplicità e amabile cordialità, assumendo un comportamento che ispirava confidenza, senza fare riferimento alcuno al disgraziato episodio del moscone che mi aveva visto protagonista: la qual cosa contribuì a farmela apparire più gradita. Respinse l’invito rivoltole dai miei compagni di immergersi con loro nell’invitante acqua blu di un mare calmissimo, giustificando il suo rifiuto con la necessità di dovermi parlare.
Mi domandai per quale ragione si dimostrasse così insensibile alle più appariscenti doti di bellezza e gagliardia di Gigi, Ottavio e Massimo, i quali, quanto meno, la uguagliavano in altezza.
Rimasti soli, dopo qualche minuto di silenzio, forse impressionata dal mio atteggiamento estremamente guardingo nei suoi confronti, (paventavo qualche altra diabolica proposta da parte sua che avesse ancora attinenza con le barche), mi rivolse la seguente profferta:
“Stasera, in paese, inaugurano un nuovo locale chiamato “La Lanterna”, sai una specie di piccolo night con orchestra. Mi farebbe piacere se tu ci venissi con me”.
La tarpai subito, senza lasciarla proseguire:
“Ma, Cinzia, perché dovrei espormi al ridicolo? Ti immagini gli sfottò dei presenti quando ci vedranno ballare. Bella coppia: l’amazzone ed il nano. No grazie Cinzia”,
“Ma io non ti obbligherei a ballare con me, ce ne stiamo seduti a un tavolino per ascoltare la musica. L’orchestra viene dalle tue parti……”,
“Dalle mie parti?”,
“Sì, si tratta del complesso di Raf Montrasio, un ex componente della famosa band di Carosone”.
Il richiamo delle persone note e familiari contribuirono a farmi valutare con più accondiscendenza la proposta di Cinzia. In effetti, considerato il legame venuto a crearsi al dancing Cadorna con tale complesso, mi trovai nella situazione positiva di dover andare in un luogo nel quale avrei potuto sentirmi un po’ a mio più totale agio. Riflettei ancora un momento e poi, per non dichiararle subito la mia disponibilità ad aderire al suo invito, presi tempo, dicendo:
“Se vengo io, guarda che mi seguiranno anche Gigi, Ottavio e Massimo”,
“Ma non c’è alcun problema! Trascorreremo una serata piacevole non disgiunta dalla possiblità che avremo di rimanere un po’ soli nella mia auto quando avremo lasciato il locale”.
Quest’ultima frase, auspice di un interessante epilogo, costituì la goccia che fece traboccare il vaso in favore di una mia accettazione ad affrontare questa che poteva considerarsi l’ultima avventura di Albissola, prima di far ritorno a Saronno nell’accogliente ed ovattato Cadorna.
La fanciulla mi piaceva e l’ipotesi di godere un’intrigante intimità con lei senza più preoccuparmi della differenza di statura, mi attraeva enormemente, pur senza preventivare quali sarebbero potuti essere i limiti di sconfinamento che mi sarebbero stati consentiti durante la promettente circostanza di concludere la serata con lei.
Entrando nel locale, mi resi conto che Cinzia aveva prudentemente prenotato un tavolo a due per me e per lei, mentre gli altri miei amici andavano a sistemarsi in un angolino in prossimità del bar.
Gigi, Ottavio e Massimo erano già scesi in pista, appropriandosi di tre fanciulle isolate che dimostravano la loro voglia di essere invitate a danzare sulle note di un lento accattivante.
Cinzia, consapevole delle promesse fattemi, arrischiò una timida proposta:
“Sei sicuro che proprio non vuoi ballare?”.
Ignorai quella sua domanda preferendo obnubilarmi con un amaro servitomi con abbondante ghiaccio. Intanto un manipolo di playboy si erano proposti a Cinzia invitandola a ballare, mentre lei, in perfetta coerenza con quanto promessomi, rifiutava di scendere in pista. Ciò che mi meravigliò fu la consumazione ordinata da Cinzia: un wisky doppio, la cui incidenza, al momento del conto, sarebbe stata notevolmente impegnativa per me che, per l’occasione, disponevo di sole diecimila lire. Al primo ne fece seguire un secondo, mentre Lillo, il cantante del complesso che io conoscevo bene, durante una pausa dell’orchestra, portandosi una sedia, venne a sedersi al nostro tavolo, mostrando di conoscere molto bene Cinzia, a cui si rivolgeva assai confidenzialmente. Non mi fu necessario, pertanto, effettuare le presentazioni del caso, perché Lillo mi precedette dicendo:
“Sai, Dario, Cinzia ed io abbiamo avuto una piccola storia l’estate scorsa quando eravamo impegnati al “Nautilus” di Varazze. Non sapevo che vi conosceste”.
Come un’Erinni infuriata Cinzia interruppe la conversazione, rovesciando addosso a Lillo una sfilza di improperi:
“Sei un buffone, un manichino impomatato! Sai quanto se ne frega Dario di quella che tu chiami storia! Mi hai usata, ingannata e imbrogliata! Sei un verme!”.
Mentre Lillo cercava, senza alcun successo, di calmarla, io avrei voluto sprofondare sotto il tavolo perché, dato il tono elevato ed il grado di intensità della voce di Cinzia, tutti i presenti guardavano e seguivano la scena litigiosa con molto interesse e pruriginosa attenzione, convinti che Cinzia fosse l’oggetto del contendere tra me e Lillo, il quale, per fortuna, fu richiamato sulla pedana a continuare il suo ruolo di cantante rubacuori.
Incurante della differenza di statura, attraversai la sala, trascinando Cinzia totalmente in preda ad una crisi nervosa accentuata da un leggero, ma evidente etilismo. Saldai il conto ammontante a ottomilanovecentocinquanta lire, seguito dai miei tre compagni che mi aiutarono ad adagiare Cinzia sul sedile posteriore della sua millecento. Nelle condizioni in cui era non potevamo lasciarle correre il rischio di guidare fino a Savona. Per convincerla a cedere ad Ottavio la funzione di autista momentaneo, fummo costretti ad ascoltare un dettagliato resoconto della sua intricata vicenda con Lillo, pronunciato con grande difficoltà di eloquio a causa del tasso alcolico ingerito.
La solita banale storia della ragazza che si illude, che prima la dà e poi, delusa, si pente di averla data.
Finalmente alle due del mattino la depositammo sulla porta d’ingresso della sua abitazione, dopo averle introdotto in borsetta le chiavi dell’auto debitamente parcheggiata sul piazzale antistante.
A quell’ora non esisteva più alcun autobus di linea, per cui, con strepitosa disinvoltura, ci accingemmo a percorrere a piedi i cinque chilometri che separavano Savona dal nostro albergo di Albissola, incapaci di pronunziare qualsivoglia suono articolato che costituisse la parola, in un ostinato atteggiamento di mutismo, ma, al tempo stesso, confortati dall’idea che, tra una dozzina di ore, ci saremmo reinseriti nel consueto contesto “cadorniano”.
Siccome la sapevamo lunga, o credevamo di saperla lunga, eravamo, però, anche moderni e disincantati e non ci sfuggiva che un’ “affettuosa amicizia” tra un uomo e una donna comportasse amplessi tanto furiosamente passionali, quanto poco destinati a raggiungere il traguardo del “finché morte non vi separi”, così consueto nei film di Hollywood che imperversavano durante quella nostra vacillante generazione.

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