Premio letterario 'Provincia cronica' prima edizione
Bruno Bianco - L'ultimo segreto
Quel libro gliel’avevo rubato vent’anni fa e l’ avevo messo nel cassetto della scrivania; poi era finito in soffitta ad aspettare che mi decidessi a renderglielo e a spiegargli tutto. Ero convinto che prima o poi l’ avrei fatto, ma si sa come va a finire quando aspetti il momento giusto per fare qualcosa; lo aspetti, ma lui non arriva mai perché c’ è sempre qualcosa di più importante che ostacola la tua decisione. Stamattina però ero andato a cercarlo nella soffitta e l’ avevo trovato ancora lì in un baule pieno di cose vecchie e superate.
“Il più grande libro della letteratura italiano; anzi il libro e basta. Per sempre, Laura” aveva scritto sul frontespizio di quella copia di “ La luna e i falò”. Io c’ ero quando lei aveva dato il libro a Giovanni.
-Guarda che non te lo regalo; è solo un prestito perché non potrei privarmi di qualcosa di così prezioso nemmeno per la persona di cui sono innamorata. E tu Sandro fai da testimone-.
Poi gli aveva stampato un bacio appassionato sulla bocca che credo a Giovanni fosse venuto un brivido per tutto il corpo; Laura era la più bella di tutte, la più intelligente, la più ironica, la più amichevole ragazza che mai conoscessimo allora; e aveva scelto Giovanni, che era sì il mio grande amico, ma è difficile pensare all’ amicizia quando di mezzo c’ è l’ amore. Non ci avevo nemmeno pensato molto e poi l’ avevo fatto un pomeriggio di luglio caldo come quello di oggi; gliel’ avevo sfilato dalla borsa e quando il giorno dopo lui si era accorto che gli mancava il libro non era più riuscito a ricordare dove poteva averlo lasciato. Per giorni interi avevamo ripercorso insieme tutti i posti dove eravamo stati, avevamo chiesto a tutti quelli che avevamo incontrato, ma non potevamo certo trovare altrove qualcosa che stava nel cassetto della mia scrivania. Quando Laura l’ aveva saputo, Giovanni mi aveva ripetuto le esatte parole che lei le aveva detto in privato.
-Io non voglio fare la ragazzina, lo so che è solo un libro e che non può stravolgere quello che c’ è tra noi; però devi capire che per me è difficile non pensare che per causa tua io non ho più qualcosa di importante. Lo capisci vero che oggi è solo un libro, ma che io ho molto altro della mia vita da affidarti e in questo momento non mi fido più; poi magari mi passa e ritornerò a avere fiducia, però oggi è così e non posso farci niente-.
Ma non le era più passata e Laura era scivolata via dalla vita di Giovanni e a così tanti anni di distanza credo anche dal suo ricordo.
Ma lui adesso era tornato. Vent’ anni dopo si era fatto sentire con un messaggio arrivato sul mio computer una domenica di luglio.
-Ciao Sandro. Sono Giovanni e sono sicuro che ti ricorderai di me anche dopo così tanto tempo. Arrivo martedì mattina alla stazione di Asti con il treno delle 8 e 55 da Torino.-
Come avesse fatto a sapere il mio indirizzo di posta elettronica era un mistero, ma in fondo lo dicono tutti che nella rete segreti non ce ne sono. Credo che per uno come Giovanni fare una ricerca su internet e trovare un indirizzo e-mail dovesse essere stato un gioco da ragazzi; 110 e lode in ingegneria non lo prendono mica tutti in 5 anni di politecnico. La sua bravura aveva trascinato anche me che non avevo né le sue capacità né la sua voglia di passare sabati e domeniche sui libri; ma quando c’ è amicizia in un ambiente ostile e competitivo è normale che nessuno si tiri indietro. Avevamo passato gli esami sempre insieme; lui con trenta o trenta e lode, io con 20 o 24. Così alla fine ci eravamo laureati insieme, tutto regolare, tutto secondo programma. Poi però i programmi erano saltati perché una settimana dopo la laurea un pirata della strada mi aveva investito scappando vergognosamente; quell’ incidente mi aveva lasciato zoppo dalla gamba sinistra, un motivo più che valido per essere sicuro di non dover fare il militare. Allora Giovanni me l’ aveva buttata lì.
-Io vado in Francia. Lo sai che se uno va a lavorare all’estero può evitare il militare.-
Certo che lo sapevo, ma uno come Giovanni che va in Francia proprio non me lo vedevo; lui che non veniva nemmeno a fare le vacanze con gli amici, lui che detestava viaggiare, spostarsi, fare e disfare le valigie, lui che il suo tempo libero lo passava a leggere seduto sul balcone di casa. Eppure era andato davvero e non si era più fatto vivo. Per qualche tempo avevo chiesto notizie ai suoi che mi dicevano che dalla Francia si era spostato in Inghilterra e poi in Spagna; alla fine avevo smesso di chiedere e di Giovanni non mi era rimasto nemmeno più il ricordo.
Ma adesso era tornato. Alla stazione l’ avevo riconosciuto subito; giacca e pantaloni di lino chiari, un panama in testa, baffi piccoli e curati, capelli dove il bianco iniziava a mescolarsi al nero. Era cambiato, ma chi non lo è dopo vent’ anni; e comunque l’ avevo riconosciuto subito.
-Ma dove ti eri cacciato in tutti questi anni.-
-Se dovessi raccontarti tutto non basterebbe l’ estate intera. Ho vagato per il mondo, ma per arrivare subito al finale, da quasi dieci anni sono ormai fermo in Uruguay; ho messo le radici o se preferisci le catene. Ti presento Gabriela, mia moglie.-
Anche Gabriela era vestita di bianco, carnagione leggermente scura, capelli neri e sorriso vivo; insieme sembravano davvero quei personaggi delle telenovela sudamericane.
-Alla fine mi sono fermato a fare il contadino in quei posti meravigliosi che una volta vedevo solo in televisione. Ho la mia casa e la mia terra; laggiù mi chiamano Juan e con Gabriela abbiamo uno splendido bambino che abbiamo lasciato dai nonni. E tu invece, come te la passi?-
-Ho anch’ io un bambino piccolo, mi barcameno tra lavoro e famiglia e non vivo in una fazenda del Sudamerica, ma in una villetta dal Monferrato astigiano. Ma adesso saliamo in macchina che vi porto un po’ in giro; abbiamo un sacco di cose da raccontarci.-
Aveva fatto di tutto in questi anni, tutto meno che l’ingegnere; lui, che all’ università sembrava destinato a un futuro da serio e stimato professionista, aveva invece fatto cento mestieri diversi in cento posti diversi, per finire poi in una fazenda sperduta chissà dove nel Sudamerica. E non voleva saperne di fermarsi; la sera lo aspettava già un treno per Milano.
-Voglio far vedere un po’ dell’ Italia a Gabriela e a me che non conosco niente. Milano, Venezia, Firenze, Roma, Napoli; abbiamo tanti posti da scoprire prima di riprendere l’aereo per l’ Uruguay.-
Si stava bene nel dehor di quel ristorante in collina dove li avevo portati, a sentire i racconti di quei posti lontani, dove le case sono bianche e anche la terra sembra più chiara; Giovanni parlava del suo passato in giro per il mondo, del suo presente in Uruguay e dei suoi sogni per il futuro, ma gli anni dell’ Italia quelli no, proprio non li voleva ricordare. Io gli versavo nel bicchiere il grignolino e il barbera di quelle colline che lo avevano circondato nella sua giovinezza, ma lui a quelle colline non tornava mai. La Francia, l’ Inghilterra, la Spagna, il Canada, gli Stati Uniti, il Messico e l’ Uruguay; quelli me li raccontava tutti, me li spiegava fino agli angoli più nascosti. Ma le nostre colline no, come se per lui non fossero mai esistite.
Così la sera lo avevo accompagnato alla stazione e avevamo ancora preso un caffè insieme; l’ altoparlante annunciava già il treno, Gabriela comprava dei giornali all’ edicola e io non avevo più resistito.
-Perché te ne sei andato? Perché ci hai messo vent’ anni a tornare? Perché non ti fermi un po’ nella tua terra?-
-Perché me ne sono andato? Perché uno come me che odiava e detestava viaggiare doveva sforzarsi di farlo. Perché non mi fermo? Perché quando inizi a muoverti, poi fermarsi diventa difficile e tornare indietro impossibile.-
Il treno era entrato in stazione, avevo già baciato Gabriela e mentre stringevo la mano a Giovanni con l’altra non smettevo di toccare nella tasca dei pantaloni “La luna e i falò”; quel libro non riusciva uscire dalla mia tasca e allora gliel’ avevo chiesto di nuovo.
-Ma perché vent’ anni per ritornare?-
Giovanni aveva già messo le mani sulla maniglia della porta; poi si era fermato e aveva parlato fissandomi dritto negli occhi.
-Investimento colposo di pedone e omissione di soccorso; non conosco bene il codice penale, ma credo che vent’ anni sia una condanna equa.-
Per un attimo il sole basso mi abbagliò e non vidi più niente; poi vidi chiaro e “La luna e i falò” precipitò nel fondo della tasca.
-Certo, vent’ anni è una condanna equa. Ora che l’ hai scontata può tornare tutto come prima.-
-Te l’ ho detto, quando inizi a muoverti poi fermarsi diventa difficile e tornare indietro impossibile. La sera mi piace prendere il fresco seduto sulla veranda della mia casa bianca, con mio figlio che gioca nel cortile e Gabriela che arriva sempre con una brocca di te freddo; lo beviamo insieme e guardiamo quelle pianure immense dove anche un occhio acuto come il mio non riesce ad arrivare in fondo. In quei momenti non ho passato, non ho colpe, non ho condanne; in quei momenti sono solo Juan e questo mi basta.-
Adesso Giovanni era sui gradini con il panama in testa e si stava già tirando dietro la porta.
-Ciao Sandro. Se vuoi vedermi mi trovi laggiù.-
-Ciao Juan.-
-E salutami tua moglie; sono vent’ anni che non la vedo.-
Restai immobile pensando a mia moglie Laura e fissando il treno che si allontanava; poi mi voltai e il rosso delle luci scomparve nel tramonto.
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