16 gennaio 2005

Marco Bruschi - Puttana

Premio letterario 'Provincia cronica' prima edizione
Mario Bruschi - Puttana

Ce ne stavamo tutti sotto il nocciolo a far niente come al solito. Si fermò davanti a noi una macchina piena di ragazzi, risate e parolacce. Erano gli amici di Marione, il fratello di Dino, che tornavano dalla città. Lo lasciarono lì e se ne andarono strombazzando. Lui si avvicinò a noi compiaciuto, con un ghigno da uomo dipinto su quel faccione imbecille. Era grasso quanto Dino, ma alto mezzo metro più di lui, e quando mulinava le sue mani enormi ci metteva addosso una paura del diavolo.
Si piazzò davanti a noi con le braccia incrociate e prese a ridacchiare fra sé. Ci disse:
- Allora bambini, com’è andata la giornata? -, e si accese una sigaretta.
Accentuò particolarmente la parola bambini. Noi rimanemmo muti, odiandolo profondamente e sperando con tutto il cuore che in quel momento passasse di lì suo padre e lo gonfiasse di botte vedendolo fumare. Ma segretamente ammirammo la sicurezza che ostentava.
Sbuffò il fumo verso di noi e se ne andò camminando sull’aria, scuotendo la testa e ghignando di gusto.
Norberto lo guardò sparire dietro la curva e poi chiese:
- Dino, tuo fratello è andato in città oggi?
Lui si massaggiava il collo pieno di ciccia.
- Sì, ve l’avevo detto. È andato con quei suoi amici antipatici.
Quelli che erano dentro la macchina, che ridevano con la bocca aperta e ci prendevano sempre in giro perché eravamo più piccoli. Una manica di bastardi.
Dino ci pensò ancora un po’ su e poi disse:
- Se lo vedono fumare lo accoppano.
- Già -, dissi io.
- È strano -, rifletté Dino. - Sembrava che non gliene fregasse niente.
Norberto aveva gli occhi piccini, segno che stava intensamente pensando a qualcosa.
Dopo un po’ disse:
- Tuo fratello oggi è andato a puttane.
- Cosa dici? -, sbottò Dino, come se qualcuno lo avesse appena punto con uno spillone grosso così.
- È così. E probabilmente era la prima volta -, sentenziò Norberto, e schioccò la lingua.
A me si accese un lampo in testa e capii che aveva ragione. Dino farfugliò un poco convinto “non è possibile” ma poi si azzittì, perché l’evidenza dei fatti lo stava inondando.
Mi ricordai all’improvviso una cosa successa due giorni prima.
- Ecco di cosa parlavano quando se ne stavano tutti chiusi in cerchio come se stessero progettando di ammazzare qualcuno!
- Vero -, disse tranquillo Norberto. - Scommetto che l’idea è stata di Nicola. La macchina è sua, e suo babbo lo riempie di soldi fino a farlo scoppiare. Sono sicuro che lui ci va spesso, al bordello. Potrei metterci poco a scoprirlo, basta fare due domande in giro.
L’oscura cerchia di conoscenze di Norberto ci aveva sempre incuriosito parecchio.
Rimanemmo un po’ in silenzio poi Dino disse:
- Che schifo.
- Già -, farfugliai io.
Norberto non disse niente.
Ce ne andammo a casa per cenare. A tavola non spiccicai una parola. Dormii male, fra lenzuola sudate e sogni sconci.
Il giorno dopo Norberto bussò alla mia porta molto prima del solito. Avevo appena fatto colazione e la mia pancia era piena di latte freddo. Uscimmo che ancora il caldo non si era impossessato dell’aria e ci mettemmo a passeggiare fra i viottoli polverosi. Norberto aveva l’aria strana e ogni tanto schioccava la lingua. Quando fummo lontani dalla vista si accese una sigaretta e me ne offrì un tiro. Io lo accettai anche se non mi andava per niente. Fu allora che disse:
- Dì un po’, quanti soldi hai da parte?
Quella domanda mi spiazzò. Gli chiesi perché lo volesse sapere e lui aspirò tranquillamente il fumo, poi lo gettò fuori dal naso e mi domandò di nuovo:
- Quanto?
Il mio compleanno era stato poco tempo prima e i nonni quell’anno erano stati particolarmente generosi. Gli riferii l’ammontare dei miei risparmi e lui sorrise meditabondo.
- Bastano -, disse.
- Ma per cosa Norberto? -, gli chiesi. Come se non l’avessi capito.
- Tu non sei mai stato con una donna vero? -, mi domandò a bruciapelo.
- E perché, tu? -, replicai d’istinto, punto nell’orgoglio.
Lui evitò sapientemente la domanda e andò dritto al punto.
- In quel bordello ci sono donne bellissime pronte a fare tutto. Lo sai vero? -, lo disse guardando gli alberi, come se fosse la cosa più naturale del mondo.
Le mie guance avvamparono per il rossore e io sperai con tutto il cuore che non se ne accorgesse.
- Norberto ma sei impazzito? Vuoi farmi andare con una di quelle? Con una..
- Puttana -, si voltò a squadrarmi il viso. - Sì, voglio andare con te al bordello.
Non riuscii a sostenere il suo sguardo e così ripresi a camminare. Non avevo niente da dire. La cosa mi ripugnava, però il pensiero di quelle donne belle e lascive mi gettava in uno stato di fascinazione morbosa.
Continuammo a camminare macchinalmente dirigendoci verso il nocciolo vicino a casa mia, dove sicuramente Dino ci stava aspettando. Era là infatti, anche da quella distanza vedevo i suoi rotoli di grasso. Mentre ci salutava con la mano Norberto mi sussurrò:
- Pensaci, ma con lui non farne parola.
Quel giorno mi chiusi in un mutismo quasi totale. Ogni tanto Dino mi chiedeva che cosa avessi e io mi limitavo a rispondere con un’alzata di spalle. Cercavo in ogni modo di scacciare quei pensieri sudici dalla mia mente ma non era affatto facile. Mi pareva che ogni tanto Norberto sorridesse fra sé, convinto di aver centrato il bersaglio.
Guardavo i miei amici in silenzio e me li figuravo giù al bordello, proprio dentro le camere. Nudi, davanti al letto sfatto dove li attendeva una donna svestita, invitandoli con occhi ardenti. Dino non ce lo vedevo. Pensavo che la ragazza avrebbe riso della sua ciccia e lui sarebbe scappato inciampando nel tentativo di infilarsi al più presto le mutande e tutto quanto. Norberto invece forse sarebbe stato a suo agio. Era capace di esserci già stato con una di quelle. Riguardo alle sue esperienze non ci aveva mai detto niente di preciso, ma ogni tanto ci lanciava addosso delle allusioni pungenti e misteriose, che ci facevano sentire piccini. Lui si sarebbe avvicinato sicuro di sé e si sarebbe avvolto nelle lenzuola peccaminose con quella.. puttana. Era una parola forte, che solo a pensarla mi impastava tutta la bocca.
Quando venne l’ora di separarci Norberto mi salutò con un “ci vediamo domani”. Ma era come se mi avesse detto: so che stanotte non dormirai pensando alla mia proposta.
Beh, ci azzeccò in pieno.
Passai gran parte della nottata accovacciato sul letto, con la cassettina dei risparmi aperta davanti a me. Ogni tanto mi voltavo e di fianco a me c’era una ragazza tutta nuda. La pelle pallidissima in contrasto col suo sesso corvino. E io non riuscivo a staccarle gli occhi da dosso.
Come scusante per le mie occhiaie profonde, la mattina dopo dissi a mia mamma che non avevo dormito bene a causa di un fottuto mal di pancia. A lei non dissi fottuto. Ottenni che decise di farmi mangiare in bianco per tutta la giornata e io accolsi la cosa come una giusta punizione. Tanto, non avevo per niente fame.
Poi, mentre mi dirigevo dagli altri col brodo che mi gorgogliava nello stomaco, presi una decisione improvvisa e inaspettata.
Dino e Norberto mi aspettavano ciondolando sotto l’ombra del nocciolo. Parlavano di qualcosa, ma io non avevo voglia di aspettare. Piombai i mezzo a loro e dissi a Dino, tirando fuori dei soldi dalla tasca:
- Tieni, perché non vai a prendere una bottiglia di limonata per tutti?
Lui protestò che era caldo e che l’osteria era lontana eccetera eccetera. Lo convinsi dicendogli che poteva spendere il resto dei soldi in dolciumi.
Rimasti soli Norberto aspettò che fossi io a parlare.
- E quando avresti intenzione di andarci in città? -, evitai accuratamente di dire bordello.
Con mia sorpresa non tentò di canzonarmi. Non comparve nemmeno sul viso il suo solito sorriso sardonico.
- C’è un mio conoscente che ci va ogni domenica con l’auto -, disse. - È un tipo solitario e scontroso, ma meglio così. Si può star sicuri che non dirà niente a nessuno perché non ha molti amici. E poi non sarebbe nel suo interesse parlarne, ti pare?
- E tu come cavolo fai a conoscerlo?
- Gli ho procurato dei pezzi di ricambio per la macchina. Tramite mio cugino, che conosce il proprietario dello sfasciacarrozze.
Le amicizie di Norberto erano come una ragnatela su cui lui si muoveva come un ragno sornione. Cazzo se lo ammiravo per questo.
Mi dibattevo in silenzio come uno che sta davanti a un fosso troppo ampio per essere saltato. Dino si avvicinava con una bottiglia di limonata nella mano sinistra. Quando fu a una ventina di passi Norberto mi sussurrò:
- Allora, questa domenica?
- Va bene -, dissi io.
Avevo spiccato il balzo.

La domenica ci liberammo di Dino con delle bugie balorde. L’amico di Norberto ci aspettava nella sua macchina a un chilometro buono dal paese, per via che nessuno ci vedesse. Norberto me lo presentò, si chiamava Vincenzo. Io dissi: piacere, e lui mi rispose con un grugnito. Non mi stupii del fatto che non avesse amici. Guardarlo in faccia mi faceva pensare a un cuscino vecchio e sudicio, pieno zeppo di capelli morti.
A un tratto mi sentii triste e mi venne voglia di tornare a casa correndo. Ma ormai ero lì e salii sul sedile posteriore. Norberto era seduto davanti. Ogni tanto scambiava col guidatore delle frasi secche che sembravano essere pronunciate in un’altra lingua tanto erano coperte dal rumore gracchiante di quel motore scassato. Ne fui felice, perché non mi importava proprio niente di sentire cosa avevano da dirsi.
Mi sentivo sporco e fuori posto. E allo stesso tempo tremendamente eccitato.
La guida di Vincenzo era nervosa. L’auto sobbalzava continuamente, complici le sospensioni marce. Mi lasciai scivolare su quel seggiolino che sembrava fatto di legno, decisi di non pensare più a niente e di farmi portare da quella faccia brufolosa ovunque avesse voluto.
Scendevamo dalla collina e sotto di noi si vedevano già i primi palazzi della città. Mi chiesi a quale casa fossimo diretti e tutto a un tratto mi accorsi che non avevo la minima idea di che aspetto avesse, un bordello.
Vincenzo non si diresse in centro, ma costeggiò ben bene tutte quelle costruzioni e si gettò a capofitto in una strada più larga che partiva dalla città per andare chissà dove. Proseguì dritto per un po’ e proprio nessuno aveva voglia di parlare.
Finalmente Vincenzo svoltò a sinistra e attraversò un grande cancello. In fondo al viottolo di ghiaia occhieggiava una villa a due piani. Davanti all’entrata erano posteggiate una mezza dozzina di macchine; parcheggiammo anche noi lì di fianco.
Eccoci lì, finalmente.
Quella costruzione bellissima mi intimorì all’istante. La facciata era avvolta dai rampicanti, il portico era fatto di pietre e terracotta. Tutto sapeva di ordine, cura e pulizia. Mi aspettavo un buco infimo e putrido, invece mi trovavo davanti al tempio del Sole.
Vincenzo disse a Norberto che prima sarebbe entrato lui e noi avremmo dovuto aspettare quindici minuti almeno, prima di bussare. Parlava come se qualcuno lo stesse rincorrendo. Ci disse di chiedere di madame Rossana. Disse proprio così: madame Rossana.
Lo guardai attraversare il vialetto. Quando sparì dietro la porta presi un respiro profondo. Ora c’era solo un quarto d’ora che mi separava da ciò che mi aspettava in una camera da letto sconosciuta. Non mi mossi dal mio sedile posteriore. Norberto si accese una sigaretta e rimanemmo così, in silenzio, a lasciar passare il tempo.
Dopo un po’ Norberto disse:
- Andiamo?
Il suo tono mi sembrò improvvisamente poco convinto e privo della spavalderia che aveva dimostrato fin dall’inizio di tutta quella storia. Ebbi la certezza che se avessi risposto: no, ce ne saremmo rimasti lì ad aspettare il nostro untuoso autista, per poi tornare a casa come se niente fosse successo.
Invece aprii la portiera come inebetito e iniziai a strusciare i piedi sulla ghiaia verso quella porta che mi sembrava enorme. Eravamo arrivati fin lì, non potevamo tornare indietro. Non volevo tornare indietro. Norberto fu subito di fianco a me. Bussammo. Ci aprì una donna grassa dal vestito svolazzante e con un po’ troppo profumo addosso.
- E voi ragazzi che volete? -, domandò quasi ridendoci in faccia.
- Vogliamo vedere madame Rossana -, disse Norberto fra i denti dopo un attimo di smarrimento.
La donna rise di gusto e scomparve nell’atrio semibuio lasciando la porta aperta. Noi ci guardammo smarriti e poi sgusciammo dentro scrollando le spalle. Rimanemmo un po’ lì senza avere idea di cosa fare. Io mi torturavo il colletto della camicia e Norberto si stropicciava le mani schioccando ogni tanto la lingua.
Dopo qualche minuto si avvicinò a noi una donna di mezza età che camminava come un gatto. Era alta, magra, austera. Un tempo doveva essere bellissima. Non ci sorrise. La sua persona ispirava professionalità e freddezza ma anche cordialità, in un certo qual modo.
- Buonasera ragazzi. Mi hanno detto che mi stavate cercando. Il mio nome è madame Rossana.
Lo disse a entrambi, ma sembrava rivolgersi a me in particolare.
- Io sono Michele, lui è Norberto -, farfugliai io. E poi, vedendo che lei si limitava a guardarmi dissi: - Cercavamo due ragazze.
- Naturalmente -, disse lei atona. - E che tipo di ragazze cercate?
Non ero preparato a una domanda del genere.
- Delle belle ragazze -, risposi. E poi aggiunsi: - Le più belle.
Lei annuì una volta sola e poi ci disse di seguirla.
Salimmo una rampa di scale e poi percorremmo un lungo corridoio senza mai incontrare nessuno. C’erano varie porte sia a destra che a sinistra. Madame Rossana puntò sicura verso una di esse e bussò piano. Mise la testa dentro la stanza e pronunciò qualche parola sottovoce. Da dentro qualcuno rispose qualcosa che non capimmo. Poi madame Rossana si rivolse a Norberto e disse che poteva accomodarsi. Lui mi lanciò una veloce occhiata e poi attraversò la porta.
Noi continuammo a camminare, finché ci fermammo davanti a un’altra stanza. Lei stava per bussare ma io dissi precipitosamente:
- Madame Rossana!
Si fermò con la mano stretta a pugno a mezz’aria.
- Sì, cosa c’è? -, mi chiese guardandomi intensamente.
Mi si mozzò il respiro in bocca. Abbassai gli occhi e dissi:
- No, niente.
Ci fu un attimo di silenzio.
Lei mi disse: non preoccuparti. E a me venne voglia di abbracciarla.
Poi bussò.
La prima cosa che notai fu il grande letto perfettamente rifatto, con le lenzuola bianche che davano un’idea di pulizia. Della stanza non vidi nient’altro perché i miei occhi furono catturati da una ragazza dai capelli rossastri, morbidi e boccolosi, che mi sorrideva. Mi disse qualcosa che io non sentii nemmeno. Vidi solo che mi sorrise di nuovo amabilmente e io gliene fui grato.
Di quella ragazza non seppi mai il nome, ma la ricorderò sempre con grande affetto. La cosa che mi preoccupava di più, e cioè che ridesse della mia goffaggine, non accadde. Fu invece molto comprensiva e ascoltò tutto quello che avevo da dire con vivo interesse. Non mi prese in giro nemmeno quando i miei discorsi iniziarono a farsi sempre più sconclusionati e la mia faccia divenne un campo di pomodori maturi.
Ricordo ancora i baci teneri che mi stampò sul viso e il suo profumo di lavanda che mi invadeva la testa.
Alla fine le porsi tutto il mio gruzzolo di risparmi, perché non avevo idea di quanto potesse costare una cosa del genere. Lei mi disse di aspettare, e uscì. Io la attesi seduto sul letto, molto più tranquillo e sollevato di quando ero entrato lì dentro. Mi sentivo diverso da prima, anche se non ce n’era motivo, ed ero sicuro che da quel momento in poi avrei affrontato tutte quelle faccende con occhi nuovi.
Sentii bussare alla porta. Era madame Rossana, che in silenzio mi accompagnò fino all’uscita. Giunti lì mi restituì il mio pacchetto, intatto, guardandomi fisso negli occhi e annuendo piano solo una volta.
- Grazie. Arrivederci -, le dissi.
In macchina c’erano già gli altri due. Vincenzo fumava spaparanzato sul sedile e aveva lo sguardo inebetito perso davanti a sé, con una specie di ghigno sul volto.
Lo odiai con tutto me stesso.
Anche Norberto fumava. Teneva gli occhi bassi e non mi guardò nemmeno una volta.
Io mi misi sul mio sedile posteriore, e quando la macchina partì mi scoprii a sorridere, nonostante tutto, languidamente.

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