“Io
mi sento musicista solo andando in giro a suonare: ci sono quelli che fanno un
solo concerto per ventimila persone, io preferisco farne dieci per duemila. È
un fatto fisico. Il momento peggiore, per me, è quando sono fermo: ho come un
senso di colpa, mi sento un perdigiorno”. A differenza di quanto dice Guccini,
Francesco De Gregori afferma di non voler assolutamente
interrompere la sua attività trentennale, tornando con un tour in cui porterà
le nuove canzoni di Sulla strada, album ispirato all’illustre romanzo di Jack
Kerouac che giunge a quattro anni da Per brevità chiamato artista.
Nel
disco troviamo un sunto di tutto il bagaglio degregoriano: l’iniziale Sulla strada è una ballata folk
dylaniana, la sublime Passo d’uomo fa
la voce a Rimmel con l’aggiunta degli
archi arrangiati da Nicola Piovani (presenti anche in Guarda che non sono io), c’è il blues mariachi di Showtime e l’intimista Falso movimento. Ma non mancano trovate
non proprio “sui generis” come la parentesi jazz anni ’20 per ricordare la Belle Epoque, il tex-mex all’italiana
nella stravagante Omero al cantagiro (“Cantami,
Omero, cantami una canzone / di ferro e di fuoco e di sangue e d'amore e
passione / lo sai che privato e politico / li confondono spesso / Sarà diversa
la musica / ma il controcanto è lo stesso”) e il rock corale La guerra.
Sulla
strada è un album leggero che regala spunti di ottima fattura, ma non riesce
nella sua totalità a catturare l’attenzione di chi lo ascolta. I testi di De
Gregori restano sempre godibili e intimisti, anche se difficilmente restano
impressi nella mente per parole e significati. In sostanza, un buon
allenamento, un omaggio a Kerouac dove il cantautore romano tira fuori con
discreto successo pensieri e sensazioni che ha partorito appena varcati i
sessant’anni. Marco Pagliari
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