Ci sono formazioni che sono state incensate da critica e pubblico e il cui loro ricordo resta indelebile. Quanti, se dovessero esprimere un desiderio, vorrebbero assistere ancora a momenti con le band riunite con tutti i componenti storici? Pensiamo a mostri sacri del rock’n’roll come i Guns N’Roses, o i Queen: il paragone può sembrare grossolano, ma rende l’esempio. Quanti darebbero l’anima per rivedere Axl Rose abbracciato a Slash? O il compianto Freddie Mercury insieme ai suoi tre seguaci? Ecco, i Litfiba sono riusciti ad esudire in toto i desideri dei loro fan più accaniti. Nel 2010 è avvenuta la rincongiunzione tra Pelù e Renzulli (che si tratti di pace fraterna o di soldi, i motivi ci restano ancora dubbi), che ora a tre anni di distanza si ritrovano in tour con Gianni Maroccolo e Antonio Aiazzi, superstiti della formazione degli anni ’80 nonché elementi determinanti per il sound new-wave di quei tempi.
Ecco a voi quindi la prima data dell’operazione nostalgia, il tour della “Trilogia”. Come giustamente lo presenta Piero Pelù nella prima data italiana all’Alcatraz di Milano, l’evento è un “viaggio” all’interno del primo spicchio di carriera del gruppo fiorentino. Con Moroccolo e Aiazzi in scuderia e il supporto del batterista degli Atroci Luca Martelli, i nuovi-vecchi Litfiba organizzano una scaletta costruita su un meticoloso ordine cronologico, spulciando i tre album che hanno caratterizzato l’era post-punk: “Desaparecido”, “17 Re” e, infine, “Litfiba 3”.
In un Alcatraz gremito di gente svariata per età e lifestyle, gli ormai “ex ragazzi” di via de Bardi cominciano con “Eroi nel vento”, classico immortale tratto dal primo lavoro. Si passa quindi per “Tziganata”, “Instanbul”, “Guerra” e – uscite in versione ep all’epoca – “Transea” e “Versante est”. Tutte suonate con una tonalità più bassa, probabilmente per favorire la gestione delle energie del primattore Pelù. In seguito arriva il turno di “17 Re”, probabilmente il loro miglior album non solo della “Trilogia”, ma proprio della loro intera carriera. Canzoni come “Apapaia”, “Re del silenzio”, “Ballata” e “Gira nel mio cerchio” restano trascinanti ed affascinanti come nel disco, suonate magistralmente dai due ritrovati Maroccolo ed Aiazzi.
Sono proprio loro due ad essere il valore aggiunto della serata: le linee di basso dell’ex CCCP e CSI sono essenziali in ogni canzone di quel periodo. E per essere eseguite allo stesso modo - cioè in maniera sublime - hanno bisogno più che mai del loro interprete originario, l’acclamato Gianni. Stessa cosa si può affermare per le tastiere di Aiazzi che, nonostante il suo modo di porsi sul palco non sia molto in sintonia con gli altri quattro (scatenati e lisergici Pelù, Maroccolo e Martelli, sornione Renzulli e glaciale appunto Aiazzi), fanno tornare alla mente quelle trame melodiche sospese tra classico, orientale, esotico e futuristico che hanno esaltato il suono dei Litfiba anni ’80.
Pelù si dimostra sempre in grande forma, trascinante ed energico come suo solito. Discorsi brevi tra una canzone e l’altra, ma sempre centrati, e questi uniti al suo consueto modo di porsi da entertainer gitano. Il pubblico gradisce e va in visibilio quando si apre il primo bis, dedicato interamente a “Litfiba 3”. “Louisiana” è una ballata in grado ancora di scaldare i cuori e di caricare le voci, tant’è che alla fine del pezzo seguono cori da quasi due minuti da parte dell’Alcatraz. Vengono ripescate “Resta” (lasciata fuori dal set precedente) e “Il vento”, aggiunte alla dediche al compianto Ringo De Palma (“Amigo”) e ai fan accorsi in massa (“Ci sei solo tu”). Finita qui? Neanche a saperne e dopo quasi due ore e mezza di live, il party del “comeback” si conclude con l’epico inno western, simbolo dello Stato Libero di Litfiba, ossia “Tex”.
Il concerto termina tra applausi ed ovazioni: l’operazione nostalgia ha prodotto i suoi effetti. Forse qualche pecca c’è (luci un po’ troppo soffuse e alcune vecchie canzoni suonate un po’ troppo lente rispetto alle originali), ma sostanzialmente la serata è stata molto intensa ed emozionante. Sorprendente anche il sound della location: chi lo frequenta sa che l’Alcatraz in via Valtellina non è il massimo per la tenuta del suono, eppure i volumi sono stati ottimi e mai si è sentito l’”effetto rimbombo”. Questo per mettere il punto esclamativo ad una performance di ottima fattura da parte di una delle più grandi formazioni Rock mai esistite nella storia italiana e (perché no) non italiana: i Litfiba degli anni ’80. Marco Pagliari
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