Il ritorno dei Giardini dei Mirò, dopo cinque anni di
assenza dalle scene, è come un gioco di specchi.
Ootto brani delicati e leggeri come bolle di sapone.
L’inizio è affidato a Memories semplice acustica e
malinconica. Malinconia che fa da punto focale di tutto il lavoro. Mentre con Spurious love tornano in primo piano gli arpeggi delle chitarre elettriche e un finale
che non vorresti finisse mai, Ride è sicuramente il pezzo “indie” e movimentato dell’album con un
cantato e un ritornello alla mente che riportano i migliori momenti degli
Yuppie Flu.
There is a place è l’unico momento che provoca qualche sbadiglio, pezzo morbido e delicato ma
che lascia poco nei suoi tre lunghi minuti, così come Rome salvata solo dalle
impennate strumentali. Good Luck interamente strumentale è un delizioso viaggio post rock di grande pathos. E se Time on time pare poco più che un riempitivo, Flat heart society è il miglior finale che
si potesse immaginare. Scura, sinistra da richiamare gli Ulan Bator di Tohu-bouh che si prepara a una coda strumentale dove melodia e potenza si incontrano
splendidamente. Si può dire che Good luck pesca in tutto quello che è il post, lo showgaze, lo spacerock e lo
fa discretamente anche se a tratti ci si perde un po’ dentro soprattutto dopo
qualche ascolto. Ma è un disco che in
fin dei conti funziona e funziona bene pur non essendo uno dei tasselli
fondamentale della loro carriera è un momento di transizione verso un nuovo
viaggio. Daniele Bertozzi
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