5 aprile 2013

This is head, MF/MB/, Yast: dalla Svezia tre emergenti di grande respiro


Per comprendere il livello dell'offerta musicale italiana è necessario, una volta ogni tanto, confrontarsi con quanto arriva dall'estero. A noi è capitata l'occasione di ricevere tre cd dalla Svezia, provenienti dall'etichetta Adrian recordings, che dopo svariati (piacevoli) ascolti ci hanno permesso di fare qualche considerazione.

Il primo cd è Colossus degli MF/MB/. La band, proveniente da una piccola cittadina svedese chiamata Bollnäs, è al secondo album, dopo un esordio particolarmente apprezzato: alcune loro canzoni sono utilizzate anche in serie televisive quali CSI:NY e The inbetweeners. Il secondo album è stato partorito in mezzo ad una lunga serie di malattie e lutti, ed inevitabilmente ha assunto un taglio particolare. Una discesa all'inferi, una profonda autoanalisi, con canzoni che parlano di quanto possa essere effimero il sentimento dell'amore, di quanta solitudine e quanto vuoto possano esserci nella malattia, e di quanto ci si senta impotenti di fronte alla morte di un amico. Le sonorità sono riconducibili all'incirca ai Maximo park e ai Placebo, in bilico tra l'espressività delle corde e la meccanicità dell'elettronica, ma il tutto viene rielaborato con curiosi inserti di space rock, con sintetizzatori dall'impronta futuristica e fantascientifica.

Il secondo dei cd che abbiamo ascoltato è YAST, della band omonima. Gli YAST sono originari di Sandviken, un polo siderurgico i cui abitanti non possono fare altro che sognare di essere altrove. E da questa esigenza di volare con la fantasia è nato un album di pop fantasioso e sognante, con una punta di nostalgia. Una band che va a ripescare dall'alternative rock degli anni '90 e dalle chitarre degli Smashing pumpkins, ma anche dagli anni '60 e '70, rielaborati anch'essi secondo i canoni dei '90, a volte un po' in stile Blur. L'album dà un'ottima impressione sin dal primo ascolto, con momenti estremamente interessanti e coinvolgenti come il singolo Stupid.

Dopo due cd che ci hanno fatto un'ottima impressione, abbiamo la fortuna di ascoltarne un terzo che forse è addirittura superiore ai precedenti: The album ID, dei This is head. La band era reduce da un ottimo album d'esordio, intitolato 0001, ma non aveva grandi idee per il secondo album. I quattro componenti del gruppo, legati da una solida amicizia, hanno passato mesi a giocare a ping pong nell'attesa che saltasse fuori qualche canzone, finché uno dei quattro ha dovuto confrontarsi con una dolorosa separazione e la band ha improvvisamente perso il piacere dello stare insieme. Dalle ceneri del loro periodo spensierato è nato così il materiale di The album ID, un disco che sembra avvolto da qualcosa di magico. Brani che in teoria dovrebbero essere racchiusi in una solida struttura pop eppure trovano sempre evoluzioni inaspettate, con imprevedibili code strumentali, richiami ai Visage degli anni '80 (Castaway) o ai Manic street preachers dei primi anni '90 (Illumination), e anche brani interamente strumentali (XVI) sullo stile dei Mogwai.

Che rapporto c'è tra questi tre album che abbiamo ascoltato e le produzioni italiane emergenti che recensiamo di solito? La risposta è che c'è qualche divergenza ma anche alcune inaspettate affinità. Innanzitutto, forse nel caso di questi tre album il confine di genere è più netto rispetto all'Italia. Forse c'è più sperimentazione sul versante dei suoni e della struttura dei pezzi, ma i confini di genere rimangono molto ben definibili. Le affinità che troviamo riguardano i richiami agli anni '90, che costituiscono sempre più spesso una fonte di grande ispirazione anche per molti artisti nostrani. La cosa da cui gli artisti emergenti italiani dovrebbero davvero imparare da questo confronto, però, è l'aria di internazionalità che si respira ascoltando questi lavori. Che poi è anche il motivo per il quale questi gruppi, benché ancora considerati emergenti, hanno già suonato in giro per l'Europa a supporto di nomi anche importanti. Marco Maresca

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