16 aprile 2013

Max Gazzè, il versatile poeta che passa dal romanticismo al pezzo che è già coro da stadio

Il nuovo disco di Max Gazzè ha un effetto che rispecchia la personalità istrionica dello stesso autore: lo ascolti e ti piace per l’orecchiabilità versatile dei brani, lo riascolti e ti sembra modesto, poi lo ascolti ancora scoprendo i dettagli celati, e ti sorprendi. Sì perché Gazzè è un fuoriclasse, uno dei pochi cantautori italiani che, al saper fare (un bel disco, in questo caso), unisce il saper essere. Ogni disco è un nuovo capitolo da cui trarre spunti di riflessione sullo stato di salute artistica, e non solo, di un cantante e Sotto casa è pregno di argomenti e temi interessanti, dove ognuno di noi può ritrovarsi in almeno uno di essi, o anche più di uno.
Con i suoi quarantacinque anni d’età, quasi vent’anni di carriera e otto album all’attivo, Gazzè  rimane il cantautore estroso di sempre, che sa passare dalle canzonette simpatiche ai versi romantici con estrema disinvoltura, ma che è anche capace di proporre argomenti finora inediti; quali?, scopriamoli lasciamo parlare il disco e partendo proprio dal brano che gli dà il titolo, Sotto casa, appunto, la canzone con cui Max si è esibito all’ultimo Festival di Sanremo (che ha passato il turno nello scontro con I tuoi meledettissimi impegni) e che sta risuonando in questi giorni nelle radio, una canzone ironica ma che offre interessanti punti di riflessione. E’ nata dopo un avvenimento reale, mentre un giorno Max e il fratello (storico ed inseparabile coautore dei brani) stavano lavorando al disco, due ragazzi hanno bussato alla porta, erano due Testimoni di Geova e i due Gazzè hanno, prima, deciso di ascoltare quello che avevano da dire, dopo, hanno provato ad immaginare quello che sarebbe successo se nessuno avesse aperto loro la porta. E così che ha avuto origine Sotto casa, un monologo fuori la porta che rappresenta una riflessione sulla chiusura tra il mondo laico e quello credente, ma, anche, un invito al dialogo tra religioni e fedi diverse, un tema attualissimo. E’ un invito di Gazzè ad aprire le porte, a lasciarsi catechizzare dalla gentilezza delle persone che hanno qualcosa da dire (“possa la bontà del vostro cuore riscoprire che la verità si cela spesso dentro una persona sola”) a non rimanere barricati dietro l’uscio per il timore di chissà quale pregiudizio o verità da scoprire. Le parole del brano sono ben rese dalle immagini del videoclip, in cui Max compare provocatorio e bizzarro ma consono al suo modo d’essere ironico, una vera chicca cinematografica a cui ha preso parte anche il figlio.
Insomma, da affermazioni quali “ma andate a cagare voi e le vostre bugie […] siamo uomini troppo distratti da cose che riguardano vite e fantasmi futuri” di La favola di Adamo ed Eva a “ficcatevelo in testa: non si viene al mondo tanto per godere, ma soltanto perché un Bene superiore ci ha creati” di Sotto casa qualcosa è cambiato, alla base del cambiamento c’è una profonda spiritualità, un nuovo tema molto caro che Max oggi sente maggiormente, tanto da diventare presente nella sua vita e quasi tangibile nella sua musica; non credere in nulla implica impegno, quanto credere, con la differenza che la seconda condizione è un trampolino di lancio verso la speranza fiduciosa al cambiamento per chi segue il proprio istinto, e con cui andrebbero contagiati anche “tutti i poveretti che hanno perso il senso immenso della vita”, bravo Max.
Con questa ventata d’aria fresca tornano, anche, i vecchi temi tanto cari al cantautore romano: le varie facce dell’amore, quello che finisce, quello che resiste nel tempo, quello viziato dalla gelosia, quello violento e quello mitologico, il tutto reso maggiormente arioso da una novità: la presenza di una sezione d’archi nelle musiche in quasi tutti i brani che seguono.
L’amore che finisce è il tema portante di due testi: E tu vai via che, con semplicità disarmante e sintetica ma potente (“e tu vai via, mi fissi gli occhi come un cieco e poi vai via, strascico passi da ubriaco e tu vai via”), racconta il momento in cui la “lei” protagonista se ne va, e a “lui” non rimangono altro che le immagini languide di quando le cose andavano bene, e di Con chi sarai adesso, dove la fine dell’amore si mescola con l’amore geloso (“tu la tua gelosia maledetta che dall’amore si scappa quando ce l’hai dappertutto come l’assedio di un’ombra”), e in cui la scelta dell’uomo di porre fine alla storia è tormentata dal pensiero di lei con un altro uomo.
La tematica dell’amore che resiste nel tempo è presente in I tuoi maledettissimi impegni, che con Sotto casa è il punto di forza dell’intero album; con un giro melodico del ritornello, e con forti venature sentimentali, è un brano che ti entra nel cervello e te lo succhia come una cannuccia. Parla dello sconforto accorato di un uomo che non riesce a condividere, quanto e come desidera, il tempo con la sua amata perché lei è assorbita dalla sua miriade di impegni; non rimane al povero innamorato, ricco di fantasia, che elencare ipotetiche soluzioni, immaginarie, fantasiose e deliziose, per far sì che lui possa essere sempre con lei: “e non c’è una soluzione se non quella di rimpicciolirmi a dismisura fino al punto di traslocare nella borsa tua con gran disinvoltura […] o c’è una soluzione buona in più: potrei farti da fermaglio per capelli se per sbaglio ti venisse voglia di tenerli su”. E’ un romanticone Gazzè, diciamolo. Ma il romanticismo non sempre è caratteristica onnipresente nel rapporto tra uomo e donna, nemmeno nella musica, anzi, spesso viene proprio a mancare; è la realtà con cui ci scontriamo ascoltando Atto di forza, dove l’amore sfocia in violenza, ma la capacità compositiva ed interpretativa di Max fa passare quasi in secondo piano la descrizione dell’atto di abuso perché la musica e le parole ci trasportano in una dimensione eterea in cui la realtà, tremendamente tangibile e drammatica per la protagonista, si mescola con una dimensione puramente sensoriale e quasi onirica (“si attacca alla panchina, un vento di latta la frusta sulla schiena e aspetta la grandine come un ceffone […] fasci di gelo inchiodano gli alberi allo sfondo e quest’ingombro di nuvole in nero sfoga rovesci come minacce”).
La mia libertà e Quel cerino sono canzoni che racchiudono un senso assoluto, quello di osservare le cose che cambiano senza forzarle, farsi trasportare e lasciare che tutto sia, epurando l’essere umano dall’ambizione razionale di dare una dimensione ai sentimenti ed agli eventi secondo canoni oggettivi e deduttivi: “non trovi meno astratto che l’autonomia sentimentale sia abolita sempre dal concetto esatto per la quale un sintomo d’amore si misura in dosi come un recipiente?” dice Max nella prima, e “vento, lo trovi divertente quando la nebbia è un muro stare lì a non fare niente?” si interroga poi nella seconda. Osservare serenamente le cose che cambiano senza resistere: è la libertà che canta Gazzè.
E’ un album poliedrico questo, con diverse facce, o meglio, tratta diverse realtà mettendo in scena situazioni non certo abusate nella canzone italiana, L’amore di Lilith ne è un esempio. Tra tutti è il brano che mi convince di meno perché, nell’intento di dargli un’impronta psichedelica, si è esagerato negli effetti speciali e il risultato è una successione di suoni pasticciati e distorti che distraggono dal testo che, comunque, merita di essere ascoltato per le citazioni di diverse figure mitologiche, tra cui Lilith, che risollevano il brano conferendogli un non so che di affascinante: secondo gli antichi ebrei, Lilith è stata la prima moglie di Adamo precedente a Eva, e ripudiata dal marito perché disobbediente.
Concludo, non a caso, con i miei brani preferiti, Buon compleanno e Il nome delle stelle; poetici e scivolosi nei testi, melodici ed orecchiabili, non banali. Il primo è una dichiarazione d’amore che parte dal più semplice, ma anche il più personale, augurio, costruita su misura attorno e addosso alla donna amata, nella sua essenza e nella sua quotidianità: “il vantaggio di avere a disposizione almeno le prime ore del pomeriggio e passeggiare, sta nel tuo quasi astratto abituale dosaggio nelle cure che rivolgi al cane, e non rimane che lasciarti fare”. Il secondo è una lode e un atto di riconoscenza verso il creato, le stelle nello specifico, compagne fedeli di un uomo che, nei momenti di sconforto e solitudine, trova gioia alzando gli occhi al cielo stellato: “basterà l’odore della notte, e posso dare un nome a tutte le stelle che riaccendono i miei occhi quando sono tanto tristi, ma sempre così innamorati”.
Non occorre aggiungere altro, per riconoscere che Max Gazzè è uno dei migliori cantautori italiani in circolazione. E noi ne siamo fieri. Certo, c’è da riconoscere che un ascolto completo, dalla prima all’ultima traccia, rischia di annoiare ma, prese da sole, le canzoni di Sotto casa sono quasi tutte di livello alto. Bentornato Max. Sonia Stevanini

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