29 aprile 2013

Neverland e le sue 10 ore di musica: da Fiumani a Benvegnù, dai Pan del diavolo ad Alessandro Fiori

A causa della crisi quest’anno in Italia la programmazione musicale dal vivo è abbastanza povera, e neanche i locali più importanti organizzano qualcosa per cambiare questa prospettiva. Poi, tutto ad un tratto, il Bloom di Mezzago (MB), il locale famoso per aver portato in Italia i Nirvana, propone in una sola serata dieci ore complessive di musica indie di altissimo livello. Senza troppa pubblicità e senza troppo clamore, il Neverland festival di sabato 27 aprile 2013 ha portato in Brianza nomi abbastanza grossi e sicuramente piacevoli. Si parte nel pomeriggio con gli emergenti: Paletti (progetto solista del cantante dei The R’s), gli ottimi Albedo, i bergamaschi Karenina (in rappresentanza di una realtà musicale geograficamente vicina al Bloom), e i Sakee sed, la cui ascesa sta prendendo una piega insolitamente rapida. In serata si esibiscono Alessandro Fiori (in acustico), Diaframma (sul palco elettrico), Giancarlo Onorato con Paolo Benvegnù (in acustico) e Pan del diavolo come gruppo di punta sul palco elettrico. Come degna conclusione della serata, dirige le danze il dj set di Davide Facchini di Radio popolare. C’è da fare un applauso agli organizzatori per la coraggiosa programmazione della serata in tempi di crisi, sfidando le probabili defezioni a causa di maltempo, scarsa promozione e già noti limiti tecnici del Bloom (è scomodo da raggiungere per chi non è della zona, è piccolo, lo spazio per i live in acustico è inadeguato mentre nella sala al piano terra l’acustica non è buona, insomma una bella sfida organizzativa). Un punto a favore è sicuramente il prezzo del biglietto: dieci euro spesi benissimo. A sfavore i prezzi delle bevande (oltretutto gravati da un euro di cauzione sui bicchieri) e soprattutto il comparto ristorazione. Il Bloom ha allestito un enorme gazebo esterno con cena esclusivamente a base di panino con salamella grigliata e l’unica scelta del menu era se aggiungere anche i peperoni oppure no. A parte la mancanza di attenzione per esigenze alimentari particolari, sembra assurdo pagare 3,50 euro un panino che si mangiava letteralmente in due bocconi. 4 euro se al mini panino con mini salamella si aggiungeva anche un peperone. Uno, di numero. Ma evidentemente, in qualche modo, il Bloom doveva rientrare coi costi, e quindi gli si perdona anche questa, specie se all’interno dell’area ristorazione si può trovare un Federico Fiumani in formissima e disponibile a foto e discorsi esistenziali. In effetti, dato il target del locale, l’esibizione di Fiumani coi suoi Diaframma è quella che merita due parole in più. Entrato da anni in uno strano limbo nel quale è idolo degli addetti ai lavori ma ignorato dal grande pubblico, il toscano propone ormai uno spettacolo autocelebrativo nel quale non esiste parete divisoria tra lui e l’altra parte della barricata. Soundcheck effettuato con il pubblico già in sala e dialogo continuo con le prime file e col fonico (memorabile la richiesta, quasi seria, di poter avere sul palco un po’ di cocaina da pippare, quando il fonico lo avverte che è ora di iniziare a suonare). Ma anche tante perle naif verso fine concerto, tra cui: mollare la chitarra a canzone in corso per tirar fuori un fazzoletto di stoffa e soffiarsi il naso, improvvisare la scaletta accennando Anarchy in the U.K. dei Sex pistols ed Eroi nel vento degli amici Litfiba per coprire venti minuti finali non previsti, ma soprattutto interrompere bruscamente Marta dopo la prima strofa sentenziando: “Basta, questa viene troppo di merda”. E c’è il sospetto che dietro questi atteggiamenti di anti-divo ci sia qualcosa di sapientemente calcolato, perché gli ottimi bassista e batterista seguono senza tentennamenti ogni follia e colpo di testa del leader della band. Perfino l’esibizione acustica di Alessandro Fiori con le sue canzoni che parlano della cacca sbiadisce con Fiumani sul palco.
Giancarlo Onorato e Paolo Benvegnù presentano invece un curioso progetto ricco di cover insolite: Lou Reed, Velvet underground, Stranglers, Tom Waits e addirittura Nine inch nails e Radiohead (con riarrangiamenti geniali in acustico). Gran finale affidato ai siciliani Pan del diavolo, con il loro show elettroacustico infuocato. Ottima la partecipazione del pubblico ma scaletta troppo tirata e troppo lunga: per il loro genere, quaranta minuti sarebbero più che sufficienti. Due parole sulla scelta tecnica di alternare le esibizioni in acustico a quelle elettriche: funzionerebbe meglio se il locale fosse strutturato meglio. Per i live acustici è stata riadattata la sala cinema al piano superiore, con ambiente chiuso ed insonorizzato e posti esclusivamente a sedere. Ma questa è difficilmente raggiungibile ad esibizione già in corso e quindi come pubblico non è pensabile alternarsi tra le varie esibizioni. Di fatto, chi rimane giù al bar e al palco principale si perde le esibizioni acustiche, e chi è nella sala cinema si tiene ben stretto il posto. In conclusione, pur rimanendo intatta l’impressione di un’ottima serata con una lodevole programmazione, è inevitabile pensare a quanto potrebbe essere più soddisfacente un festival del genere in un ambiente meglio attrezzato. O forse la magia di Neverland è possibile proprio grazie al fascino antico del Bloom. Marco Maresca

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