10 marzo 2013

Niccolò Fabi incanta Vercelli portando Ecco a Teatro


Ho aspettato un po’ a scrivere del concerto che Niccolò Fabi ha tenuto venerdì 1 marzo al Teatro Civico di Vercelli, perché le emozioni che regalano le melodie e le poesie hanno bisogno di essere elaborate per poter essere raccontate; sì perché Niccolò Fabi è ben oltre un cantante, è un poeta. Aspettando questo tempo (necessario), ho ascoltato e riascoltato Ecco, il suo ultimo lavoro: titolo azzeccatissimo, un avverbio indicativo che annuncia un’urgenza creativa e una voglia smisurata di raccontarsi. Nella copertina del disco Niccolò appare elegante, con l’aspetto maturo e pieno di ricci scompigliati, tra le mani tiene un arco teso con una freccia pronta a colpire. Un cd che fa centro già dalla copertina. Chi dice “ecco” mostra o porge qualcosa, una piccola parola adatta a tante circostanze, così come tante sono le sfumature emotive e sonore che abitano in questo cd.
Al disco hanno preso parte alcuni tra i giovani musicisti innovatori del panorama italiano, una family band che Niccolò si è portato anche sul palco, a cominciare da Roberto Angelini (sì, proprio quello di Gattomatto) che ha aperto il live con una performance degna di lode per l’immensità della sua voce, calda e coinvolgente, la bellezza e la passionalità dei testi, ed il talento cristallino dimostrato nel suonare la sua sfilza di steel guitar; con lui, al synth ed alle tastiere, l’ex Tiromancino Daniele “Mr Coffe” Rossi. E poi Pier Cortese alla chitarra ritmica ed ai cori, Fabio Rondanini alla batteria, Gabriele Lazzarotti al basso. Peccato per l’assenza del bravo Andrea Di Cesare, il violinista (da me scoperto ed apprezzato proprio al Civico di Vercelli ad un concerto che Carmen Consoli tenne qualche anno fa). E poi c’è lui, Niccolò Fabi e il suo legame col pubblico, fraterno e amichevole, complice e forte, unico. Due ore e mezzo di live, pienissime ed emozionanti, di musica e parole che non si sentono tutti i giorni.
E si inizia con Indipendente, una ballata ariosa, in cui si respira l’atmosfera di gruppo (a dispetto del titolo) perchè è vero che «non c’è cosa che sia più importante perché da indipendente si esiste e si resiste» ma «chi è davvero indipendente? È poi felice chi è indipendente da tutto?». Prima di introdurci al brano successivo, Niccolò ci dà il benvenuto, lamentando che scalpitava dal desiderio di suonare visto che il concerto precedente del tour si era tenuto venti giorni prima. E applaudendolo, noi accogliamo la sua Io, una canzone stile reggae concentrata su questo pronome che Fabi, cantando, rimarca ossessivamente al microfono ma che in realtà tutto è tranne una canzone egocentrica, anzi,  è un canto di protesta contro l’egoismo della società fatta da individui che soffrono di “egomania”, la nuova malattia, una riflessione che non pare del tutto inverosimile, direi. Nel finale, in un ripetersi tachicardico, il brano ricorda il sapore del sud, delle tarante (non a caso, dato che l’album è stato registrato negli studi pugliesi di Roy Paci), di una cantata stile coro da osteria che ripete “non è il mestiere mio assomigliare a Dio”; Fabi e gli altri sembrano divertirsi nel farlo e a noi la cosa piace.
Segue E’ non è, un brano immenso nel contenuto, interpretato con una tale intensità che trasuda umanità, e che, assieme ai due brani precedenti, forma una stupenda trilogia dell’essere, una fotografia con sfumature anche dolorose ma pur sempre sviluppata negli acidi della speranza; una rappresentazione della società a volte estremamente miope per tutto quello che non ruota attorno al sé. Ma l’obiettivo della musica è quello di trasportarci fuori dal quotidiano, e Fabi questo lo sa bene, lui stesso afferma di essere su quel palco, immerso nel buio di un teatro, proprio per questo; l’oscurità nutre i sogni e la musica ci fa viaggiare, a volte fuori in luoghi immaginari inesplorati ed altre volte Dentro: «vi voglio accompagnare in un viaggio che porta dove recita il titolo di questa canzone»,  attacca la musica e parte la poesia che racconta dell’esplorazione dell’anima, esplorazione profonda, che permette di comprendere che la cura dei nostri mali è dentro di noi. Quale viaggio migliore. Stupendo.
Arriva poi E’ solo un uomo, la confessione intima di un’anima che si racconta. Un uomo che, parola dopo parola, si spoglia; velo dopo velo, si rivela fino a mostrarsi nell’essenza. La voce di Fabi è tremante e da brividi. Gli intermezzi musicali tra un brano e l’altro sono evocativi, richiamando a tratti l’atmosfera creata dai suoni armoniosamente distorti dei Sigur Rós, e luminosi, per il risultato dell’effetto luci ben curato. E con questo intro vede la luce uno dei miei brani preferiti, Elementare, che è più di una canzone, è un coinvolgimento di anime, impossibile non notare la sintonia e la comunicazione puramente sensoriale tra Fabi ed Angelini: potere della musica. Bella, ricca di sfumature. Interpretata con una voce leggera e dolce, che appartiene ad una dimensione onirica, in cui Niccolò canta la voglia di cambiare le cose, lasciandosi trasportare da ciò che i disagi trascorsi della vita hanno portano a dimenticare ed ignorare ma che, sostanzialmente, sono elementari, appunto, come “un bacio in una favola, il sonno la domenica, un’altalena libera, un pallone che rotola”. Una preghiera ad abbandonare il passato, a non tenerlo ancorato a noi tenendo il piede sul freno, a correre ed abbracciare il futuro che ci aspetta, rassicurati dalla presenza di “una mano leggera che sfiora il viso” che ci accompagna e ci aiuta a comprendere che tutto ciò di cui abbiamo bisogno è lì, nella stanza del nostro cuore.
«Come è andato il viaggio?», ci domanda Fabi ben consapevole della risposta. «Avete incontrato fantasmi simpatici o scheletri ben vestiti? Sì perché, se è vero che gli scheletri stanno nell’armadio allora tanto vale, dico io, che sfruttino il nostro guardaroba», che strani discorsi che intrattiene Fabi. Viva le persone strane, quelle che si fanno domande. Come diceva Fabrizio de Andrè “Per me, una persona eccezionale è quella che si interroga sempre, laddove gli altri vanno avanti come pecore”. E Fabi, eccezionale, lo è per davvero. Sulla scia di questi discorsi, Niccolò spiega la genesi di “Sedici modi di dire verde” ed il legame con l’organizzazione Medici con l’Africa Cuamm (con una “googleata” troverete tutte le informazioni circa le iniziative a favore dell’infanzia promosse da questa associazione non governativa); un brano che, a sentirlo, sembra una filastrocca con le sembianze di una melodia, poi ti fermi ad ascoltarlo e scopri che ogni singola parola ed ogni virgola non sono messe lì a caso. Sedici modi di dire verde è poetica, coinvolgente ed avvolgente; è narrativa: “la notte qui è notte davvero è la madre del buio, ed il nero è soltanto il colore della realtà”; è riflessiva: “essere bianco non è esattamente essere candido”; è contemplativa: “le donne sopportano il peso meglio di me”. Snocciola perle di saggezza di vita, tangibili e calde, che scorrono tra le mani come pietre preziose e circolano in corpo come la linfa vitale delle verdi piante. Sì perché la vita è un concentrato di sfumature di colori, non sì può ridurre solamente al bianco e nero, Niccolò ci invita con questo brano a cercare una via o, semplicemente, cercare, come lui stesso ci dice.
Segue Vento d’estate dove la voce di Pier Cortese prende la parte che era di Max Gazzè, tanto nostalgica ma altrettanto calda visto che la temperatura si alza per accogliere prima “Costruire”, deliziosamente arrangiata (come se non fosse già bella), e poi Cerchi di gesso che si unisce a Age of Aquarius tratto dal musical “Hair” accostato con ironia ad una irriconoscibile Capelli abbellita fisicamente, nel senso letterale del termine, dall’accentuato gesticolare di Niccolò.
Si avvicina il finale del concerto con la lieve e solare Lontano da me, con cui Fabi ci porta a spasso alla ricerca di noi stessi, e dall’oscurità del Teatro di Vercelli voliamo “in un caffè in Provenza” fino ad approdare “in un mercato in Turchia” per scoprire che “alla giusta distanza la vista migliora” e che “allontanarsi è conoscersi”. E poi, ancora, lontano in Oriente, terra di carisma spirituale, come carismatica ed energica è la nuova versione del brano, soprattutto sul finale.
Seguono Offeso e Lasciarsi un giorno a Roma che generano dei veri e propri momenti di enfasi, alleanza, vicinanza tra noi e i musicisti, fatti di battiti di mani e partecipazione attiva sotto al palco che chiudono il primo set.
I bis iniziano con Niccolò che, solo sul palco, presenta con l’onestà della sua voce e il suono intimo della sua chitarra Fuori o dentro. Poi entrano Angelini e Cortese per uno dei momenti più intensi del concerto: Lontano da tutto, così delicata e raffinata e Negozio di antiquariato, di cui il pubblico canta ogni singola parola.
A seguire, si aggiungono gli altri componenti del gruppo per eseguire Una buona idea, una ballata fatta di musica in crescendo e riflessioni sui valori della vita sociale e politica di cui ci sentiamo un po’ orfani tutti e sulla necessità di mettere in circolo delle buone idee; un brano in cui la parola padre si ripete diverse volte e, probabilmente, sottolinea il percorso personale di Niccolò, la paternità volata in Cielo assieme alla sua bimba Olivia. Andando avanti nello sviluppo ascensionale del brano, l’idea che un padre possa sentirsi orfano fa gelare il sangue.
Un concerto suonato per ognuno di noi, così lo ha definito Fabi, parole a cui non ha aggiunto altro se non quelle del brano conclusivo: Ecco; il poeta degli stati d’animo ci saluta così, il brano è una melodia penetrante con parole che sanno di verità, descrizioni di traiettorie verso la speranza, di un ritorno al nuovo, per sfociare in un grido penetrante che dice “di certo non ti lascerò mai andare, di certo non ti lascerò sparire” che non lascia scampo alle emozioni, potentissima. Un brano per ognuno di noi e per la persona che sentiamo viva nel cuore.
Per Niccolò, non è difficile immaginare chi sia, dopo che egli stesso ha spiegato in un’intervista di aver “visto tanta vita, dunque tanta morte e tanta vita, tanto tutto” per la perdita della figlia e che senza la sua compagna, Shirin, non ce l’avrebbe mai fatta.
Ecco, non è solo un album bello con la B maiuscola, è una curva emotiva, un’esplosione esistenziale. A fine concerto, avrei voluto fare tante domande a Niccolò Fabi, ma mi sono limitata ad osservarlo mentre lui, tra le mie mani, autografava il suo cd. Sonia Stevanini


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