12 marzo 2013

I Ministri mettono il turbo con il nuovo disco, meno ammiccante ma più popular

Lo avevano annunciato alla stampa quest’estate, all’indomani dello Sziget Festival - l’evento che è più in voga per i concerti di rock alternativo - e passati l’autunno e l’inverno tra la sala prove e la sala d’incisione Officine Meccaniche a Milano, ecco il nuovo album dei Ministri. Per un passato migliore, quarta fatica di Davide “Divi” Auteliano, Federico Dragogna e Michele Esposito, prosegue l’avventura del trio che nel giro di pochi anni si è fatto conoscere al pubblico grazie a due dischi capolavoro come Tempi bui e Fuori e ad esibizioni live al cardiopalma, ponendosi come band di riferimento dell’attuale panorama rock italiano.
Premessa: a differenza dei due precedenti lavori, questo non è un concept-album. D’accordo, i testi restano sempre ispirati dalla rabbia giovanile e dal senso di evasione dalla controversa realtà contemporanea, ma stavolta non c’è un vero e proprio filo conduttore tra le 13 canzoni. Eppure il sound è sempre quello: immediato, aggressivo, trascinante, con qualche attimo di respiro quando serve. E il risultato è comunque soddisfacente.
A partire da Mammut, bolide in cui si spazia in 4’ tra Muse, Foo Fighters e anche un po’ di Litfiba, accompagnato da un testo forse profetico sulla situazione sociale italiana (“ma uno di noi si sbaglia uno di noi si schianterà / con la stessa voglia e con la stessa rabbia”). E come non citare Mille settimane? Una frenetica accelerazione in cui Divi rivanga il suo passato da cantante hardcore. I testi si fanno ancora più crudi nella strabiliante La pista anarchica (“Ragazzo di trent’anni si butta dal balcone / Uomo di trent’anni scippa vecchia alla stazione / Dio ha quattordici anni e non è neanche il suo vero nome / Fateci cadere tutti così vediamo poi chi resta in piedi”), nonostante questa suoni come una ballata semi-acustica dal tocco melodico.
Ma quella che davvero è la caratteristica ricorrente del disco è la ricerca di inni corali pop-punk: sembra quasi irriverente dirlo, ma i Ministri giocano molto su pezzi basati su un ritmo sostenuto ma che hanno un impatto irresistibile. Il singolo Comunque ne è la pura dimostrazione, così come l’intuizione a fulmicotone Le nostre condizioni (“io non ti saluto finché non te ne vai / io non firmo niente finché non te ne vai / io ti tengo sveglio finché non te ne vai / finché non te ne vai perché non te ne vai ora”). La linea melodica raggiunge il livello massimo in Spingere, che ricorda parecchio gruppi come i My chemical romance e addirittura i Blink 182 (!!!): una canzone seria candidata ad essere il loro prossimo hit single.
Rock orecchiabile, perfetto per le orecchie dell’ascoltatore (La nostra buona stella è un altro potenziale pezzo da 90 per i live). L’elettronica presente in Fuori scompare totalmente e anche quel poco di psichedelia che si era sentito nel lavoro precedente compare solo nella struggente I tuoi weekend mi distruggono, il brano dal quale è tratto il titolo dell’album. Chiudiamo parlando delle due ballate che si segnalano come pietre miliari: la stralunata e malinconica Se si prendono te (“siccome l'aria qui è sempre la stessa / chi vince non sa mai che cosa vince / e ci scanniamo per delle mosche che / sembravano lucciole”) e l’epilogo intimista ma allo stesso tempo visionario Una palude completano pregevolmente il quadro.
Sostanzialmente Per un passato migliore è un album che prosegue le intenzioni di Divi e soci nel procacciare un sound più mainstream rispetto al passato. Dall’hardcore degli esordi - di cui le tracce sono rimaste più che altro nei tocchi energici di Esposito e nelle bordate di Dragogna, ma stiam parlando di tutt’altra storia! - si è giunti ad un rock-pop-punk che li proietterà ulteriormente verso il successo di massa. Ciò nonostante, il loro stile così così energico continua a mettere tutti d’accordo, dai fan consolidati a chi non li conosce ancora. Non è il loro miglior disco ma la strada è ormai tracciata: i Ministri sono destinati a diventare ulteriormente un gradito punto di riferimento nel rock italiano, purché non eccedano nella loro trasformazione pop.  Marco Pagliari

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