Gli Afterhours sono proprio fortunati, escono con un disco a malapena buono, ma decidono di intitolarlo “Padania” proprio nel momento dell'apice della crisi della Lega nord, scelta inconsapevole, per carità, maturata con oltre un anno di anticipo, ma sufficiente per tramutare questo album uscito nell’autunno scorso, nella (a detta di molti) colonna sonora del “tramonto del leghismo”. “Padania”, in realtà, più che questa situazione, descrive il retroterra culturale che l'ha favorita,
Gli Afterhours hanno conquistato credibilità al punto di essere termine di paragone per il rock italiano, esempio di percorso discografico parallelo (stavolta autoprodotto), capaci di interpretare gli umori anche dei più giovani, che oggi invitano a non restare incastrati nelle maglie del web, come hanno dichiarato a più riprese:
Nonostante per chi scrive “Padania” non sia assolutamente tra i dischi migliori del 2011, rallegriamoci perché gli Afterhours dopo anni di torpore sonoro sono tornati quelli di un tempo, anche se con portafogli decisamente più gonfi e chachet decisamente più elevati.
Roberto Conti
Manuel Agnelli e il suo omaggio letterario alla raffineria di San Martino di Trecate
Chissà se nel 1999 quando Manuel Agnelli, leader degli Afterhours, scrisse per Mondadori il la raccolta di racconti “Il meraviglioso tubetto”, nel primo capitolo della quale si coglie una poetica descrizione della Statale 11, dal ponte del Ticino fino a Novara, immaginava che oltre 10 anni dopo avrebbe dedicato un disco a quelle terre di confine nelle quali è nato e nelle quali alla “Padania” viene dedicata addirittura una strada (viale Padania a Marcallo con Casone, nei pressi di Magenta). Una strada che Agnelli percorreva, nel libro, spesso quando da ragazzo si recava a Novara dove al Bonfantini studiavano alcuni suoi amici del tempo:
“Nelle notti di luna piena, quando c'era l'aria limpida, potevi vedere in lontananza al termine della pianura la raffineria di S.Martino. Tutta illuminata e cosi lontana sembrava una metropoli americana e le sue ciminiere altissime e fumanti la Los Angeles di Blade Runner. Avevamo questo maggiolone Volkswagen grigio e pesante che chiamavamo ‘la Bismarck’ come la corazzata tedesca, e quando la notte era abbastanza luminosa prendevamo la statale da Magenta verso Novara larga, dritta, placida e leggermente in discesa, per poter vedere meglio l'orizzonte anche di notte. La pianura era immensa a destra e a sinistra e noi eravamo veramente dentro lo schermo di un cinema (…). Comunque la raffineria di S. Martino di notte era uno spettacolo anche da vicino. C'erano le case degli ingegneri e degli operai tutt'attorno che la tacevano assomigliare ad un centro commerciale nella città del futuro. E noi percorrevamo lenti, in macchina, le stradine asfaltate e recintate”.
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