Non ha mai detto “basta” nonostante le sue 67 primavere ed è
tornato con l’ennesimo disco della sua quasi quarantennale carriera. Apriti
sesamo è l’album in studio numero 27 per Franco Battiato, un lavoro in cui
sfodera tutto il suo pop di cultura, tra passione per la cultura araba (il
titolo del disco, nonché della conclusiva title track è ispirato all’opera Sherazade di Rimski Korsakov) e per la tradizione classica (vedi Gluck in Caliti juncu).
Firmato in compartecipazione del suo fido Manlio Sgalambro e
accompagnato da strumentisti di grande prestigio (Simon Tong dei Verve alla
chitarra e addirittura Faso degli Elii al basso!), il maestro catanese sfodera
canzoni dove si ritrovano le atmosfere care al Battiato di sempre: il
misticismo più sfrenato (Un irresistibile richiamo), la filosofia
antropologica (Aurora, dove si può percepire idealismo quasi kantiano: “La
Mente è qualcosa di stupefacente, un tesoro, che soddisfa il desiderio, uno
scrigno di ogni possibile cosa”) e
solennità plurilinguistiche (il ritornello in inglese in La polvere nel
branco e la citazione dantesca in Testamento: “Fatti non foste per
viver come bruti, ma per seguire virtude e conoscenza”).
In un contesto puramente
synth pop, in cui tastiere, sintetizzatori e armonie classicheggianti e
ricercate fanno da padrone, il cantautore siculo sussurra con la sua solita
dolce acuta narrazioni di vario genere, saltando cronologicamente da un’epopea
storia all’altra. Come ben si sa, la sua grandezza sta nel fatto di sorprendere
sempre con la sua ricercatezza, aiutato sapientemente dal mentore Sgalambro.
Nonostante la sua classe
e la sua raffinatezza Apriti sesamo non va considerato un capolavoro, ma solo
un disco riuscito. Non c’è infatti la totalità musicale rintracciata in Gommalacca e Ferro battuto (per non parlare delle pietre miliari degli anni
’80). Sospeso tra l’immediatezza (Passacaglia e l’intimista Quand’ero
giovane) e la magniloquenza (Il serpente, Testamento e Apriti sesamo), Battiato
usa ancora la bacchetta magica incantando quanto basta. D'altronde la sua
classe ormai non ha più bisogno di presentazioni: quarant’anni di ricerca di
suoni e di infiniti orizzonti culturali sono dalla sua parte. Marco Pagliari
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