11 ottobre 2012
Morgan si dà all'opera (come regista), speriamo non canti più...
Il tentativo di connubio tra musica lirica e
cultura pop è qualcosa che a intervalli più o meno regolari viene riproposto
sotto diverse forme. Si parte dagli Who con la rock-opera Tommy e si arriva a Freddie Mercury con Barcelona, leggendario album duetto con Montserrat Caballé. Si
passa dal Pavarotti & friends, per approdare ad Andrea Bocelli che canta il
pop con timbro lirico. Dato il suo status di eclettico artista pronto a
qualsiasi sperimentazione, era quasi ovvio che anche Marco Castoldi, in arte
Morgan, prima o poi nella questione ci avrebbe messo del suo. Questi i fatti:
venerdì 5 ottobre il Teatro Coccia di Novara ha aperto la sua stagione lirica
con "Il matrimonio segreto", di Domenico Cimarosa, punto cardinale
del settecentesco genere dell'opera buffa. Sul palco un impeccabile cast di
livello internazionale, sotto il palco l'Orchestra filarmonica italiana
magistralmente diretta da Carlo Goldstein, e dietro le quinte (con qualche
breve incursione in scena, per scopi puramente mediatici, regalando qualche
accenno di canto lirico con esiti decisamente trascurabili) il poliedrico
brianzolo ex-cantante dei Bluvertigo. In realtà l'esperimento non è nato per
volontà di Morgan, il quale è stato coinvolto solo in un secondo momento. La
collaborazione ha portato, però, ottimi frutti: recensioni largamente positive
ed in certi casi entusiastiche da parte di tutta la critica, compresi i
melomani più accaniti. Certamente Morgan ha solo una piccola parte del merito,
ma da debuttante e da testa calda c'è da riconoscergli il pregio di non aver
voluto strafare imponendo le proprie stravaganze. Ha dimostrato, inoltre, di
cogliere pienamente il nobile messaggio dell'opera di Cimarosa: la forza
dell'amore che supera e trascende le piccolezze e bassezze umane che tentano di
sminuirlo. E, sebbene il suo ruolo stavolta si giocasse dietro le quinte, è
riuscito a portare sul palco, mediante le scelte registiche e scenografiche,
l'egocentrismo ma anche l'introspezione che da sempre lo contraddistinguono.
L'ha fatto mettendo in evidenza i lati oscuri dei vari personaggi: la smania di
onore ed autorità, i difetti fisici, il vizio del bere, addirittura le tendenze
sadomasochistiche, introducendo, su un palco di tradizione, strumenti quali
fruste e manette. Mai in modo volgare, però. La ricercatezza nei costumi, negli
arredi, negli attrezzi di scena è stata infatti encomiabile. Un successo
totale, verrebbe da dire, e in effetti così è stato, a maggior ragione da parte
di un artista che ultimamente aveva fatto parlare di sé più per gli eccessi
della vita privata che non per la musica, e quando ciò succede, solitamente è
sintomo di viale del tramonto. A voler essere cattivi si potrebbe certamente
accusare di aver sfruttato il nome di Morgan per vendere qualche biglietto in
più, o di avergli filantropicamente regalato una seconda possibilità. In realtà
dall'unione tra la lirica e Morgan, anch'essa un matrimonio come quello che dà
il titolo all'opera, ci hanno guadagnato tutti, e non solo economicamente. Si è
dimostrato, una volta di più, che l'arte è un fenomeno complesso, che racchiude
la musica e a volte la supera ampiamente. Che il confine del genere musicale,
per l'ascoltatore attento, non costituisce un limite. Che un artista completo
sa uscire dalla propria zona di comfort e portare efficacemente la propria
competenza in qualcosa di nuovo. E che quando un periodo storico o un contesto
musicale finisce, e questo è inevitabile, un artista non sempre è costretto ad
invecchiare malamente recitando la parodia di se stesso, come nel film This must be the place, ma può mettersi
in gioco una seconda volta, nonostante i propri limiti e le proprie umane
debolezze. "Apprezziamo chi invecchia dignitosamente / consapevole della
sua curva discendente", cantava giustamente Morgan, ormai diciassette anni
fa. Ora speriamo che faccia meravigliosamente il regista e che non canti più,
per lo meno non all'interno di un'opera lirica. Marco Maresca
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