Pur avendo perso il tiro e, secondo me, quella spensieratezza e quel suono pop-punk che li caratterizzavano nei primi album, il gruppo genovese, con questo nuovissimo, Marassi fa quasi centro.
È un lavoro dolce e soavemente contratto, bilanciato. Molto più gradevole del precedente In capo al mondo, prodotto tramite crowdfunding. Marassi sembra da subito più studiato e particolare, forse più elettronico ed arrangiato, ma nell’insieme più “disco”. È difficile infatti parlare di lavori musicali e chiamarli “dischi”, nel panorama dell’indie italiano. Lo è sempre stato. Ma seguo gli Ex-Otago dagli anni di The Chestnuts time, quando si girava forte con le cover dei Duran Duran e i testi in inglese e vi assicuro (parlo più che altro per i neofiti della band e del genere) che hanno sempre avuto quella cosa in più, che se anche non ti stupisce sul nascere ti fa interessare e ti fa venir voglia di ascoltare musica italiana. Questo, a parere mio, si chiama “indie”. Oppure chiamatelo musica indipendente, fate voi. E non è questione di cantanti, di personalità, di superfici o tenute di palco.
Il disco, ritornando a noi, non è comunque un lavoro clamoroso. Ti coccola comunque sin dall’inizio con I giovani d’oggi, mischiando le melodie italiche più strettamente radiofoniche alla miracolata strategia musicale del gruppo. Spensieratezza, anni ’90, disco, elettronica. Cinghiali incazzati si presta da ottima canzone da singolo, anche se il cantato parte troppo lontano e forse un po’ troppo in sordina rispetto un incipit pompatissimo. Non sono genovese e non capisco certe dinamiche poetiche e mi spiace perché vorrei recensire gli Ex Otago come un gruppo di amici coi quali condivido lo stesso suolo cittadino, ma so di per certo che Stai tranquillo faccia respirare a chiunque la malinconia di Genova ed in particolare del quartiere Marassi, piovoso e inglese, con il verde sullo sfondo, le altre valli e le altre strade,in lontananza, che formano la Liguria. Una malinconia che ricorda i Charlatans di “Us and us only”, anche se i Charlatans non provengono da una città portuale. I ritmi sono piani e cadenzati smembrati dagli Ex-Otago ed ampliati dai britannici, come in “A house is not a home”. Fine dell’inciso.
Mare è onomatopeica e nostalgica, geograficamente collocata a Levante, nel tardo pomeriggio e con in aggiunta il merito di non utilizzare alcuna rima in –are se non verso la fine (“ guardare”): la forza risiede nel rendere ridondante una complessità che già lo è per natura. Sognavo di fare l’indiano e La nostra pelle sono troppo raccontate e non rimangono impresse, per nulla. Durante l’ascolto però gli spunti ci sono sempre e non sono mai stupidi. Gli occhi della luna è molto ritmata ma poco altro e per fortuna la chiusura, con Ci vuole molto coraggio, è una vera prelibatezza. Ripete il titolo all’infinito ed è una ballata in levare, che aumenta le parole man mano che si va avanti. Poi dai, parla di quando ci si sveglia e si affrontano le giornate. C’è chi fa l’operaio e chi studia Legge, chi saluta il marito, chi trova il coraggio di votare Lega o guardare Sanremo fino in fondo. Non l’ho descritta bene così, fidatevi: così sembra un revival gaetaniano ma in realtà non lo è per niente: ascoltatela.
Etichette: la ormai consolidatissima ed attivissima INRI di Torino e la immortale Garrincha Dischi, che finalmente butta fuori qualcosa di diverso rispetto a turistate della democrazia. Insomma a me gli Ex-Otago sono sempre piaciuti, nei loro alti e nei loro bassi come nei loro avvicendamenti. Loro hanno sempre avuto coraggio e non sono mai caduti in pochezze e distrazioni. Ci vuole molto coraggio ad avere coraggio. Andrea Vecchio
***
Il connubio natura-uomo-stelle è frequente in tutto l’album, da Gli occhi della luna a Non molto lontano. Sembrerebbe quasi jovanottiana l’impronta testuale, ma poi le note la reindirizzano alla classica cifra stilistica dell’album.
Gli Ex Otago provano a scrivere testi impegnati e a tratti dissacranti, alla Rino Gaetano, o ispirandosi ai più attuali Bugo e Max Gazzè, ma senza avere quel peso che hanno questi ultimi sulla musica e sugli arrangiamenti. Il giusto peso, invece, ci vorrebbe in tempi come questi: un peso che potrebbe spiegare come “I giovani d’oggi non valgono un cazzo”, invece rimane tutto lì sospeso come una lista di cose, sensazioni che però non si tramutano in emozioni. Ecco perché siamo solo “cinghiali incazzati”: tanta rabbia apparente, che non rovina il paesaggio che rimane dolce e scanzonato, con video dove tutti corrono e in fondo sono felici di crogiolarsi in apparenza e piccola notorietà di provincia.
“Mare” che sa di Luca Carboni, in realtà racchiude un’altra canzone, “Ci vorrebbe il mare” di Masini. Insomma niente di nuovo o particolarmente originale in questo disco che ammicca agli anni Ottanta, semmai sembra che gli Ex Otago abbiano fatto dei "tributi" a grandi classici della musica pop italiana in chiave vagamente elettronica. Ad ognuno il suo stile, insomma. E ad ognuno la sua generazione, in fondo è molto reale e soprattutto collegato al reale quello che gli Ex Otago hanno proposto: meglio ripetere quello che fanno altri, l'originalità è una strada in salita e la moda non la gradisce, al momento.
Anche per cercare di dire qualcosa di "impegnato" oggi si percorre la strada dell'elettro-pop, la gente vuole ballare ed è stanca dell’ondata rock indipendente: gli Ex Otago hanno battuto con grande intelligenza questa strada, sembra abbiano avuto ragione spinti in discesa dal traino delle radio che stanno facendo piacere un disco che non ha poi gran chè di diverso dai precedenti, che nessuno o quasi lontano da Genova ha considerato. Anna Maria Russo
Nessun commento:
Posta un commento