Sono passati 20 anni da quel 20 maggio 1996, data di pubblicazione del quarto disco dei Manic Street Preachers, il primo dopo la sparizione di Richey Edwards. Everything must go è stato sotto certi aspetti l’album della loro rinascita, un manifesto esplicito sulla volontà di andare avanti, seppur con un bagaglio di malinconia (“e spero solo possiate perdonarci / ma tutto deve continuare”). Questo disco è stato però anche il primo a catapultarli nell’olimpo delle migliori band britanniche: entrato tra i primi posti delle classifiche non solo nel Regno Unito ma anche in molti paesi europei, in asia ed in Australia. Ecco perché i Manics, instacabili dal vivo, hanno deciso di portare in tour l’album per intero, come fatto l’anno scorso con The Holy Bible. Una serie di date europee (niente Italia, nemmeno questa volta) e poi, per concludere in bellezza prima dei festival, concerti nel Regno Unito. Noi siamo stati alla Royal Albert Hall di South Kensington a Londra, insieme ad altre circa 5000 persone.
Il primo set è dedicato all’esecuzione di
Everything must go per intero, che inizia con Elvis impersonator e creando da subito un crescendo fino all’inno A design for life: “questo è il potere della working class” dice Nicky Wire da dietro il suo basso. Brani come The girl who wanted to be God, raramente suonata dal vivo, sono una dimostrazione di come i testi scritti da Edwards / Wire siano sempre stati grandemente influenzati dalla poesia, in particolare quella di Sylvia Plath. Una pioggia di coriandoli e la malinconica No surface all feeling segnano la fine del primo set, che passa come un sogno (“non era apparenza ma tutto sentimento / forse all’epoca sembrava di sognare”) a riprova che questo è un album completo, uniforme, e che è sopravvissuto al vuoto di molto, troppo brit-pop. Dopo qualche minuto di pausa, durante il quale Nicky Wire, la star della band, si cambia d’abito, i Manics ripartono con il secondo set: Walk me to the bridge dall’ultimo Futurology è potentissima dal vivo, così come Show me the wonder risulta molto più apprezzabile live (come ha fatto a non diventare una hit?!). Davvero splendida la cover di Feels like Heaven dei Fiction factory, alla quale i Manics donano la loro impronta caratteristica e la meravigliosa voce di James rende ancora più malinconica. You love us ma soprattutto Natwest-Barclays-Midlands-Lloyds riportano la band gallese al momento punk del loro esordio con Generation Terrorists, una sferzata di energia che dimostra come Sean Moore sia uno dei batteristi più bravi in circolazione. Due brani eseguiti in acustico: la cover Suicide is painless e Ocean spray, così intensa nella sua semplicità. Il concerto si conclude con la imponente If you tolerate this your children will be next, altro brano che è diventato un inno alla resistenza. I Manic Street Preachers sono così: potenti ma anche malinconici, e Everything must go è un album che parla di poetesse e artisti, ragazzi perduti e fallimenti gloriosi. Diana Debord
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