A tre anni di distanza da Battle studies e dopo diversi
rinvii è uscito il nuovo lavoro di John Mayer, Born and raised. Quarto album
in carriera per il cantante-chitarrista blues-pop (perché non definirlo così?)
che torna così in scia dopo qualche anno di purgatorio: dopo il grande successo
di Room service è arrivato il bellissimo Continuum, ma il recente Battle studies non ha convinto molto. Con questo disco il 35enne nativo nel
Connecticut (che gli amanti del gossip ricorderanno per essere stato fidanzato
per un breve periodo con Jennifer Aniston!) si risolleva confezionando musica
godibile in cui si sente il profumo dell’America rustica, tra la polvere del
Far West e l’ebbrezza dell’Oceano.
Eppure il nostro non ha passato un periodo semplice.
L’uscita dell’album è stata ritardata di diversi mesi perché Mayer si è dovuto
curare in più circostanze per la presenza di un granuloma accanto alle corde
vocali, tant’è che di recente ha scelto di non fare tournèè finché non risolve
qiesto suo problema. In effetti se si presta attenzione alle canzoni la voce di
Mayer sembra ancora più dolente rispetto al passato, a testimoniare che la sua
salute non è al massimo.
Ciò nonostante Born and raised regala gemme buone per gli
amanti del soft-rock. Queen of California
è un richiamo evidente a Neil Young (“Hello beauty, hello strange
/ Hello wonder, what's your name? / Looking for the sun that Neil Young hung /
After the gold rush of 1971”), il primo singolo Shadows days è una ballata in cui si
intrecciano le sonorità di Ry Cooder con il pathos di Tom Petty. Il Dylan in
piccolo di Speak to me precede il
blues funkeggiante di Something like
Olivia, in cui Mayer ricorda a tutti che Steve Ray Vaughan è stato uno dei
suoi grandi ispiratori chitarristici. La “title track” potrebbe essere
paragonata a uno dei migliori slow di Ben Harper (non a caso si parla di due stili abbastanza
somiglianti, specialmente in questo disco), così come in If I ever get around to living c’è molto del Neil Young intimista.
In
ogni canzone c’è un pezzo di tradizione cantautorale americana, con richiami
addirittura al passato remoto (la tromba in Walt
Grace’s submarine test è eloquente in merito). Chiudono l’album l’armonica
molto springsteeniana in Whiskey, whiskey, whiskey e il country dolente del “reprise” di Born and raised, due esempi che esprimono il quarto lavoro di John
Mayer. E’ il suo disco più acustico in cui le melodie “west coast” e la sua
voce calda e ammaliante fanno da padrone. Nonostante i problemi di salute e i
moltissimi riferimenti ad artisti più che noti, Born and raised sembra un
disco che rifletta tutto quello che è John Mayer: bluesy, sentimentale e furbo
quel che basti. Un autoritratto intimista e totalmente fedele a sé stesso
nell’attesa che guarisca completamente alle corde vocali: meglio conservarle
con cura considerando la voce che ha… Marco Pagliari
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