3 giugno 2012

La voce sofferta di John Mayer e il west coast sound: ecco gli ingredienti di Born and raised


A tre anni di distanza da Battle studies e dopo diversi rinvii è uscito il nuovo lavoro di John Mayer, Born and raised. Quarto album in carriera per il cantante-chitarrista blues-pop (perché non definirlo così?) che torna così in scia dopo qualche anno di purgatorio: dopo il grande successo di Room service è arrivato il bellissimo Continuum, ma il recente Battle studies non ha convinto molto. Con questo disco il 35enne nativo nel Connecticut (che gli amanti del gossip ricorderanno per essere stato fidanzato per un breve periodo con Jennifer Aniston!) si risolleva confezionando musica godibile in cui si sente il profumo dell’America rustica, tra la polvere del Far West e l’ebbrezza dell’Oceano.
Eppure il nostro non ha passato un periodo semplice. L’uscita dell’album è stata ritardata di diversi mesi perché Mayer si è dovuto curare in più circostanze per la presenza di un granuloma accanto alle corde vocali, tant’è che di recente ha scelto di non fare tournèè finché non risolve qiesto suo problema. In effetti se si presta attenzione alle canzoni la voce di Mayer sembra ancora più dolente rispetto al passato, a testimoniare che la sua salute non è al massimo.
Ciò nonostante Born and raised regala gemme buone per gli amanti del soft-rock. Queen of California è un richiamo evidente a Neil Young (“Hello beauty, hello strange / Hello wonder, what's your name? / Looking for the sun that Neil Young hung / After the gold rush of 1971”),  il primo singolo Shadows days è una ballata in cui si intrecciano le sonorità di Ry Cooder con il pathos di Tom Petty. Il Dylan in piccolo di Speak to me precede il blues funkeggiante di Something like Olivia, in cui Mayer ricorda a tutti che Steve Ray Vaughan è stato uno dei suoi grandi ispiratori chitarristici. La “title track” potrebbe essere paragonata a uno dei migliori slow di Ben Harper (non a  caso si parla di due stili abbastanza somiglianti, specialmente in questo disco), così come in If I ever get around to living c’è molto del Neil Young intimista.
In ogni canzone c’è un pezzo di tradizione cantautorale americana, con richiami addirittura al passato remoto (la tromba in Walt Grace’s submarine test è eloquente in merito). Chiudono l’album l’armonica molto springsteeniana in Whiskey, whiskey, whiskey e il country dolente del “reprise” di Born and raised, due esempi che esprimono il quarto lavoro di John Mayer. E’ il suo disco più acustico in cui le melodie “west coast” e la sua voce calda e ammaliante fanno da padrone. Nonostante i problemi di salute e i moltissimi riferimenti ad artisti più che noti, Born and raised sembra un disco che rifletta tutto quello che è John Mayer: bluesy, sentimentale e furbo quel che basti. Un autoritratto intimista e totalmente fedele a sé stesso nell’attesa che guarisca completamente alle corde vocali: meglio conservarle con cura considerando la voce che ha… Marco Pagliari

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