Correva l’anno 2005 quando Socialismo tascabile, album d’esordio degli Offlaga Disco Pax, veniva acclamato e pluripremiato come nuova perla della musica indipendente. La promettente triade musicale era composta da Enrico Fontanelli, che alternava basso e suoni analogici anni ’80, Daniele Carretti alla chitarra e al basso, e Max Collini, che declamava i suoi testi anziché cantarli. L’album, forse proprio perché completamente atipico per la scena indie italiana, fu accolto molto positivamente, merito anche dell’ottimo video che accompagnava il singolone Robespierre.
Tre anni dopo, i reggiani ci riprovarono con Bachelite. Finalmente la loro follia elettronica analogica poteva essere paragonata con qualcos’altro: il loro disco precedente. I fan della prima ora rimasero un po’ spiazzati per l’assenza di un brano di forte impatto come lo era stato Robespierre. Anche l’album era molto più complesso, meno diretto, più introspettivo del precedente. Ma alla fine, grazie anche ad un lunghissimo tour, perfino i più ostinati si convinsero che il secondo album era meglio del primo.
Ora gli Offlaga Disco Pax sono ritornati con il loro terzo album, Gioco di società, distribuito da Venus. Un album ancora più complesso di Bachelite, ancora più trasversale, ancora più intimistico. Il fulcro delle storie narrate è sempre Reggio Emilia, con la sua pianta esagonale che i tre si spartiscono in un ipotetico risiko sapientemente immortalato nell’artwork curato da Enrico Fontanelli. Le sinistrorse memorie di periferia stavolta ci parlano di un concerto dei Police del 1980 che si mischia con il fuoco delle molotov nei ricordi di un Max Collini tredicenne (Respinti all’uscio); una lotta di classe combattuta tra bambini e consumatasi su un’altalena (Sequoia); un tour virtuale nella sede di un partito comunista che era come una seconda casa (Palazzo Masdoni); una riscossione di affitto in un appartamento sotto sfratto, che poteva finire molto male (A pagare e morire…).
Nell’album trovano spazio anche due brani fortemente personali: Parlo da solo (primo singolo dell’album) e Desistenza. Anche stavolta c’è spazio per la storia strappalacrime di un eroe sportivo dimenticato, il ciclista Van der Velde, che vestito soltanto di maglietta e pantaloncini rischiò il congelamento durante una folle discesa tra neve e ghiaccio. Era arrivato da solo in vetta, mentre gli altri ciclisti correvano indossando i giubbotti. Aveva fatto finta che il freddo non esistesse, quando mancavano ancora quaranta chilometri all’arrivo. Il brano dedicato a questa nobile storia di ciclismo è intitolato Tulipani, e rappresenta una nuova vetta narrativa per Collini dopo il Ventrale del disco precedente.
Il picco creativo dell’album è, però, Piccola storia ultras. Collini va per la prima volta allo stadio Mirabello. Ha nove anni. Tifa la Reggiana perché così gli è stato detto dalla sua famiglia. “Di calcio sapevo solo che tifavo per quella squadra. Di politica sapevo solo che quando c’era Pajetta in televisione dovevo stare zitto, altrimenti volava un coppino o uno scappellotto. Se invece c’erano Fanfani o Almirante volava un coppino se stavo ad ascoltare. In casa le idee erano chiare e si comunicavano senza troppo approfondimento. Una trasmissione dei valori efficace, ancorché vagamente dolorosa”. Allo stadio gli ultras intonano un inno dai contenuti un po’ forti. Collini, ora adulto, scopre che l’inno degli ultras era costruito sulla melodia di una canzone dedicata ai caduti di Reggio Emilia del 7 luglio 1960. Anni dopo, il coro fu modificato per inneggiare al bombardamento di Gheddafi, come già ricordato dallo stesso Collini in Robespierre.
L’album è strutturato come un anacronistico vinile a 33 giri, e suddiviso nei lati A e B. La durata è, per l’appunto, quella di un vinile: poco più di quaranta minuti. Meno di Bachelite e molto meno di Socialismo tascabile. Un piccolo dubbio si insinua a questo punto nella testa dell’ascoltatore attento: gli aneddoti giovanili sui quali gli ODP costruiscono i loro brani stanno per finire? Si spera vivamente di no, poiché il trio non è mai stato così in forma come ora. L’album è indubbiamente difficile ma è ricco di contenuti pregiati ed ancor più originale dei precedenti. Tenta strade nuove quando sarebbe stato fin troppo ovvio ripetersi. L’accoglienza live sarà, con tutta probabilità, ancora più positiva del solito. L’augurio è, quindi, che l’impolverata pianta esagonale di Reggio Emilia nasconda ancora tante storie da narrare. Marco Maresca
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