19 gennaio 2012

Tutto cambia perché nulla cambi: Grande nazione è il déjà vu dei Litfiba


Grande Nazione é la somma del passato remoto dei Litfiba e del passato prossimo delle nostre esperienze”. Con queste parole Piero Pelù presenta il tredicesimo album (il nono con lo storico frontman, a ben 13 anni da Infinito) in studio della ultratrentennale band di via dei Bardi. 
Il “grande ritorno” in sala di incisione della premiata ditta Pelù-Renzulli riprende gli umori rabbiosi di Terremoto mescolati a quel pizzico di elettronica che aveva contraddistinto Mondi sommersi e Infinito. Il rock’n’roll puro tipico della seconda decade dei fiorentini si sposa con testi adrenalinici e sarcastici che evidenziano il pessimo umore per la situazione attuale italiana.
Non a caso Grande nazione è considerata la seconda parte della “trilogia degli Stati”, già cominciata con il precedente live Stato libero di Litfiba. Ma veniamo al disco: si parte con Fiesta tosta, racconto duro e puro dell’Italia del Bunga-bunga (“Soldi facili sesso droga e Gesù Cristo / siamo più felici sull’orlo del disastro / godimenti compulsivi da divi / col menù scelto dal capo”). Dopo è il turno del singolo Squalo, manifesto demagogico contro le organizzazioni a delinquere e gli evasori fiscali.
Elettrica, Tra me e te e Luna dark vedono Pelù “impegnato” in testi più intimisti, che risentono della sua breve carriera solista. Tutti buoni è l’imprecazione sarcastica nei confronti di un paese dove regnano ipocrisia e omertà: una replica evidente di Proibito, come si sente dai riff chitarristici di Renzulli.
Il brano più riuscito è probabilmente la title track: Grande nazione si apre con un organo da chiesa (ricordate Gioconda?) per poi evolversi in una sfuriata rock in cui avviene l’ironica celebrazione dell’Italia che è. Ricordando l’Italia che fu (“Se siamo poeti, santi ed inventori / non impariamo niente dalla nostra storia / se Roma è ladrona / e Milano fa la padrona / l’Italia si desta / con un cerchio alla testa”), Pelù non risparmia attacchi per la difficile condizione politica, sociale ed economica in cui ci troviamo (“Noi siamo il paese dei balocchi / per i ricchi repubblica basata sulla furbata incentivata”). Chiude l’album La mia valigia, emblema dell’individuo di oggigiorno: autonomo, abbandonato e in fuga da una realtà sempre più insoddisfacente.
Nel complesso Grande nazione è un lavoro che nulla aggiunge alla ricca carriera dei Litfiba. Le tematiche dei testi sono indubbiamente rabbiose e attuali e per questo aspetto l’album ricorda Terremoto del 1993. Il problema è che manca un po’ di quella freschezza che vent’anni fa Pelù e Renzulli erano ancora capaci di portare nel panorama musicale nazionale. Inoltre, dal punto di vista melodico, lo stile è quello consolidato della seconda decade (mentre la new-wave dei primi album è totalmente scomparsa): granitico, diretto, ma in fin dei conti monotono.
Grande Nazione non lascerà delusi i tanti fan dei Litfiba, che dopo il 1999 (anno del loro scioglimento) mai avrebbero scommesso sulla riappacificazione tra il frontman Pelù e il chitarrista Renzulli,  il vero “deus ex machina” del gruppo. Ma è altrettanto vero che buona parte di questi - specialmente gli accaniti dei primi dischi - sbufferà alla mancanza di novità dell’ultima prova di Piero e Ghigo. Marco Pagliari

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