4 dicembre 2004

Premio "Provincia cronica" (II edizione - sezione racconti)
Michele Fiorenza - Un tocco di classe


La fine di Luglio a mezzogiorno è afosa persino in alta collina. Un ragazzo, come me, stanco degli ultimi esami universitari superati, un sabato mattina che cosa può fare?
Me ne stavo seduto su un alto sgabello davanti al bancone del bar a consumare una buona birra fresca, alternandola con i biscotti di un pacchetto.
- Ti piacciono davvero i biscotti con la birra? – mi chiese Giuseppe, il gestore.
Risposi con un’alzata di spalle.
Il “Rifugio del viaggiatore” non è soltanto un bar: è in effetti una specie di buona osteria, che offre pochi, semplici, ottimi piatti e qualche linda camera al piano superiore; in bella esposizione diverse marche di birra e parecchi tipi di vini.
Stavo pensando che, a cominciare dal lunedì, avrei potuto più proficuamente andare ad aiutare mio padre in campagna, magari sino a mezzogiorno, quando vidi arrivare qualcuno che mi sembrò provenire da un altro mondo: alta, snella, giovanile, sobriamente vestita e silenziosa, entrò, si guardò intorno e andò a sedersi a un tavolo libero, davanti a una piccola e semplice tovaglia a scacchi.
Giuseppe fu subito da lei con il menù. Dopo una rapida occhiata, ordinò un piatto di ravioli al tartufo e un’insalata mista, con un italiano incerto e l’accento francese. Poi chiese la carta dei vini.
La guardavo rapito: camicetta bianca immacolata, gonna blu, un trucco leggero e orecchini piccoli. Età indefinita: poteva indifferentemente avere trent’anni portati bene o venti con atteggiamento da “grande”.
Dalla carta dei vini scelse una bottiglia piccola di Barolo, che probabilmente avrebbe raddoppiato il costo del pranzo.
Io fingevo di guardare le bollicine ancora presenti nella mia birra, mentre invece continuavo ad ammirarla. Doveva essere una rappresentante, in giro per lavoro. Consumò il pranzo svelta, con buon appetito, ma senza perdere quella classe, quell’aspetto di moderazione e di pulizia che accompagnava ogni suo gesto.
Stavo quasi per andar via con un sospiro, quando lei chiese a Giuseppe alcune indicazioni stradali. Il nostro oste non conosceva nemmeno l’intero villaggio, quindi mi feci avanti, rispolverando il mio francese del liceo. Aveva una cartina recente della regione e lì le indicai il percorso migliore per raggiungere la sua meta. Mentre annuiva alle mie spiegazioni, io mentalmente ringraziavo la mia severa docente di francese e respiravo quel profumo sottile e delicato che emanava dal suo collo.
Con molto garbo l’accompagnai sino alla sua auto, una bella decappottabile verde scuro e le indicai la strada per uscire dal villaggio nella direzione giusta. Feci un apprezzamento sulla macchina e lei rispose:
1
- Sì, ci sono affezionata, ma il motore soffre il caldo e dovrei farlo revisionare; però per adesso non ho tempo.
- Qui abbiamo un ottimo meccanico, che potrebbe fare almeno una buona messa a punto.
- Può darmi il numero, nel caso avessi problemi a breve?
- Non lo ricordo a memoria, ma le do il mio, anche perché l’officina è fuori dal villaggio e avrebbe bisogno di esservi accompagnata.
- Va bene, grazie.
Prese il suo cellulare e memorizzò il mio numero. Alla fine mi ringraziò con un sorriso e stringendomi per un attimo il braccio con la sua sinistra. La guardai sparire all’orizzonte come una specie di fata. Io tornai alla locanda.
- Non potevi offrirle un caffè? – mi chiese Giuseppe.
Scrollai le spalle, per dargli a intendere che non m’importava più di tanto:
- Sai se la Giannina fa chiusura d’estate?
- Credo che faccia orario unico, per passare il tempo.
Fu così che acquistai una camicetta bianca di seta per Paolina, che a giorni compiva gli anni. Gliela portai subito a casa, chiedendole di indossarla per quella stessa sera, quando sarei passato a prenderla per la solita pizza del sabato.
- Non rischio di rovinarla?
- Devi imparare a mangiare senza sporcarti: non sei più una bambina.
Le toccai i lunghi capelli: - Fa caldo: fatteli accorciare.
- Va bene: ho già appuntamento col parrucchiere.
Andai a trovare il mio amico Enrico, il meccanico:
- Hai bisogno dello spiderino, stasera?
- Sei fortunato, stasera no, posso prestartelo; però mi devi aiutare a lavarlo e devi metterci la benzina.
Fu così che alle otto in punto mi fermai davanti alla casa di Paolina. Uscì quasi subito:
- Giacca e cravatta? Che è successo?
- Credo che rinfrescherà.
Salutai con la mano e con un accenno d’inchino la mia aspirante suocera, che ci guardava contenta dalla soglia di casa.
Paolina aveva scelto una gonna dal colore pacato, in sintonia con la camicetta, e un paio di eleganti scarpe aperte.
- Sono nuove. – fu la risposta ai miei sguardi, che andavano dai capelli arricciati alle sopracciglia sfoltite, sino ai minuscoli piedi.
- Sei bellissima. – le dissi.
La pizzeria si trova in cima alla collina, e a quell’ora era quasi vuota. Scegliemmo il tavolo d’angolo. Guardai gli scaffali dei vini, notando che erano molto ricchi.
2
- Stai per compiere diciannove anni: vorresti un po’ di vino, al posto della solita aranciata?
- Purché non mi fai ubriacare…
Ordinai una bottiglia piccola di Barolo.
* * *
Domenica dissi a mio padre che il giorno dopo sarei andato con lui in campagna ad aiutarlo.
- Ne sei convinto? Lavorando si suda, con questa temperatura.
- Non vai all’alba? A mezzogiorno smetterò e mi farò una doccia.
Se lui con quel caldo lavorava, anch’io potevo guadagnarmi la mia pagnotta.
Alle dodici e trenta avevo appena terminato la doccia, quando squillò il cellulare. Riconobbi subito l’accento.
- Credo che la mia auto abbia bisogno di quella messa a punto.
- Ha bisogno di essere trainata?
- No, ormai sono a un paio di chilometri: possiamo incontrarci alla piazzetta dell’altra volta.
L’attesi con trepidazione e la vidi arrivare con piacere. Era senza trucco e appariva più giovane. Mi invitò a salire e, tra scoppiettii e impuntamenti del motore, arrivammo da Enrico, che avevo già avvertito, indicandogli il modello dell’auto.
Enrico fu laconicamente cordiale, e sorrideva sotto i baffi (che non aveva), mentre controllava il motore.
- Occorre una messa a punto e la sostituzione di un condensatore, che per fortuna ho in officina. Tra circa un’ora sarà pronta.
Che cosa si poteva fare in un’ora? Subivo il fascino di quella giovane donna, come mai mi era accaduto. E’ vero, ero quasi fidanzato con Paolina, che conoscevo dall’infanzia; ma una volta avevo inteso dire che il cuore ha ragioni che la ragione non può capire.
Mi venne in aiuto Enrico:
- Nel frattempo, puoi far vedere alla signorina il luogo della battaglia: è duecento metri più su.
Era vero: di quella battaglia eravamo tutti orgogliosi. Gliene parlai mentre lentamente salivamo lungo la stradina sterrata, tra l’erba alta e i fiori di campo che ancora resistevano alla calura.
Si mostrò interessata a quel racconto di un esiguo reparto del nostro esercito che per parecchi giorni aveva resistito a forze nemiche quattro volte più numerose, per poi essere costretto a ritirarsi per mancanza di munizioni e per il ritardo dei rinforzi.
Ammirò in silenzio il piccolo monumento posto a ricordo dei Caduti, lesse i loro nomi sulla lastra di marmo e mormorò qualcosa, forse una preghiera.
3
- Questo qui porta il mio stesso nome e cognome: dovrebbe essere un mio antenato. – le feci notare.
Sedemmo sui gradini del monumento, dalla parte all’ombra. Mi chiese dei miei progetti per il futuro e se avevo una fidanzatina.
- Più che altro è una specie di sorellina, perché la conosco da sempre. Esco con lei perché ha un bel carattere, mite e serio. E tu… sei fidanzata?
- Mi sposerò a Settembre.
Sebbene avessi già capito che doveva avere tre o quattro anni più di me, e probabilmente era già impegnata, ebbi un tuffo al cuore, e le guardai le dita: una sottile veretta di oro bianco le adornava l’anulare sinistro. Come avevo fatto a non accorgermene?
- Lui è italiano, come te, e forse ci sistemeremo a Torino. Quindi è possibile che ci rivedremo…
Mi bastava, doveva per forza bastarmi, quella vaga speranza di rivederla. Notando il mio turbamento, cominciò a parlarmi del suo lavoro, dei suoi viaggi, della gente che aveva conosciuto, e il tempo volò. Poi guardò il piccolo orologio d’oro che portava al polso e disse che era tardi e doveva rientrare.
Scendemmo rapidamente, mentre una vaga malinconia mi ghermiva.
- Adesso è tutto a posto, anche se il motore è un po’ usurato. Ho fatto un lungo collaudo. – disse Enrico, gettandomi un’occhiata birbona.
Il mio amico si prese veramente poco, per quel lavoro. Poi lei mi diede un bacio sulla guancia, che io ricambiai con gli auguri per le sue nozze.
Salì sulla macchina, mise in moto e andò via, sparendo tra la polvere sollevata dalle ruote.
Enrico mi guardava sardonicamente. Biascicai un ringraziamento, gli dissi che stavo andando da Paolina e continuai a scendere a piedi, seguendo le tracce lasciate sul terreno dalla decappottabile francese.

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