30 maggio 2017

Musica intensa che dura troppo poco: i Dots lo fanno strano

Prendete del rap old school, una dose massiccia di funky, attitudine punk e suoni lo fi che proiettano velocemente negli anni 80: avrete, shakerando in maniera casuale e caotica, questo Hanging on a black hole dei Dots, una delle cose più strane in cui mi sia capitato di imbattermi negli ultimi tempi. Ora, io probabilmente sono la persona meno indicata per parlare di rap e funky (sul punk magari qualcosa di più lo so), ma evitare di parlare di quest’album sarebbe un gran peccato e quindi – Via alle danze!

Il disco dei Dots ha un grosso difetto, ben visibile da subito ma che appare evidente solo una volta che ci si mette all’ascolto: dura troppo poco. E con questo non intendo che sia poco il quarto d’ora di musica che la band propina, visto che in una durata così breve inseriscono un sacco di idee valide, quanto che i singoli brani durino troppo poco per riuscire ad avere uno sviluppo completo. Non mancano gli esempi positivi, come la conclusiva Burning indian o la bizzarra ed imprevedibile Wow, ma nella maggioranza dei nove brani che compongono Hanging on a black hole l’impressione è che si stiano ascoltando ottimi abbozzi abbandonati un po’ lì. L.I.F.E. ad esempio è trascinante al punto giusto, un mix fra un funky rilassato ed un’improvvisa corsa a perdifiato orchestrata dai Butthole Surfers, ma finisce come se alla band non importasse granché di dargli un finale all’altezza; Brain dance assomiglia ad un brano della Sugarhill Gang suonato dagli Hot Head Show di Jordan Copeland, ma reitera velocemente queste due anime senza dare ariosità al tutto, tanto che quando comincia True entertainer si fatica a capire che è iniziato un altro brano; Breaking the law si trascina piuttosto stancamente, senza offrire grossi spunti ma lasciando comunque dondolare piacevolmente la testa per (troppo) poco tempo.
Un disco con brani così brevi ed intensi lascia la sensazione, una volta terminato l’ascolto, di aver ascoltato qualcosa di troppo coeso per lasciar emergere singoli elementi. Già al secondo giro di boa però emerge che, al netto dei difetti sopra espressi, la fantasia caotica e senza fronzoli dei Dots lascia qualcosa dentro che non se ne vuole andare. Saranno il mood vagamente strafottente di Burning indian, le scratchate trascinanti che appaiono qua e là in Black hole, l’allegria contagiosa di Hot covered shoulders, sarà anche l’apporto di una registrazione lo fi che non impedisce agli strumenti di emergere chiaramente ma dona al disco un’impronta retrò assolutamente azzeccata…sarà per tutti questi elementi che Hanging on a black hole mi ha colpito, tanto da farmelo ascoltare piacevolmente più e più volte.

I Dots sono sgangherati e fieri di esserlo, suonano bene ma iniziano e smettono quando gli pare e piace, anche se il brano che stanno eseguendo sembra stopparsi a metà (e Figure it out dà proprio quell’impressione). Sarebbe bello sentirli prendersi più tempo per espandere le proprie composizioni, ma senza limare quella vena anarchica e punk che è linfa vitale per l’anima della band: un rompicapo complicato da dipanare, magari ascoltando il disco al contrario si trova la soluzione come sulla settimana enigmistica…o forse basterà aspettare il prossimo album. Stefano Ficagna

Tracklist:

1. Black hole
2. Brain dance
3. True entertainer
4. Wow
5. L.I.F.E.
6. Figure it out
7. Hot covered shoulders
8. Breaking the law
9. Burning indian

Nessun commento:

Posta un commento