Prendete del rap old school, una
dose massiccia di funky, attitudine punk e suoni lo fi che proiettano
velocemente negli anni 80: avrete, shakerando in maniera casuale e caotica,
questo Hanging on a black hole dei Dots, una delle cose più strane in cui mi sia
capitato di imbattermi negli ultimi tempi. Ora, io probabilmente sono la
persona meno indicata per parlare di rap e funky (sul punk magari qualcosa di
più lo so), ma evitare di parlare di quest’album sarebbe un gran peccato e
quindi – Via alle danze!
Il disco dei Dots ha un grosso
difetto, ben visibile da subito ma che appare evidente solo una volta che ci si
mette all’ascolto: dura troppo poco. E con questo non intendo che sia poco il
quarto d’ora di musica che la band propina, visto che in una durata così breve
inseriscono un sacco di idee valide, quanto che i singoli brani durino troppo
poco per riuscire ad avere uno sviluppo completo. Non mancano gli esempi
positivi, come la conclusiva Burning
indian o la bizzarra ed imprevedibile Wow,
ma nella maggioranza dei nove brani che compongono Hanging on a black hole l’impressione
è che si stiano ascoltando ottimi abbozzi abbandonati un po’ lì. L.I.F.E. ad esempio è trascinante al
punto giusto, un mix fra un funky rilassato ed un’improvvisa corsa a perdifiato
orchestrata dai Butthole Surfers, ma finisce come se alla band non importasse
granché di dargli un finale all’altezza; Brain
dance assomiglia ad un brano della Sugarhill Gang suonato dagli Hot Head
Show di Jordan Copeland, ma reitera velocemente queste due anime senza dare
ariosità al tutto, tanto che quando comincia True entertainer si fatica a capire che è iniziato un altro brano; Breaking the law si trascina piuttosto
stancamente, senza offrire grossi spunti ma lasciando comunque dondolare piacevolmente
la testa per (troppo) poco tempo.
Un disco con brani così brevi ed
intensi lascia la sensazione, una volta terminato l’ascolto, di aver ascoltato
qualcosa di troppo coeso per lasciar emergere singoli elementi. Già al secondo
giro di boa però emerge che, al netto dei difetti sopra espressi, la fantasia
caotica e senza fronzoli dei Dots lascia qualcosa dentro che non se ne vuole
andare. Saranno il mood vagamente strafottente di Burning indian, le scratchate trascinanti che appaiono qua e là in Black hole, l’allegria contagiosa di Hot covered shoulders, sarà anche l’apporto
di una registrazione lo fi che non impedisce agli strumenti di emergere
chiaramente ma dona al disco un’impronta retrò assolutamente azzeccata…sarà per
tutti questi elementi che Hanging on a black hole mi ha colpito, tanto da
farmelo ascoltare piacevolmente più e più volte.
I Dots sono sgangherati e fieri
di esserlo, suonano bene ma iniziano e smettono quando gli pare e piace, anche
se il brano che stanno eseguendo sembra stopparsi a metà (e Figure it out dà proprio quell’impressione).
Sarebbe bello sentirli prendersi più tempo per espandere le proprie composizioni,
ma senza limare quella vena anarchica e punk che è linfa vitale per l’anima
della band: un rompicapo complicato da dipanare, magari ascoltando il disco al
contrario si trova la soluzione come sulla settimana enigmistica…o forse
basterà aspettare il prossimo album. Stefano
Ficagna
Tracklist:
1. Black hole
2. Brain dance
3. True entertainer
4. Wow
5. L.I.F.E.
6. Figure it out
7. Hot covered shoulders
8. Breaking the law
9. Burning indian
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