E’ una costante evoluzione sonora
quella che stanno mettendo in atto i Valerian Swing, gruppo emiliano giunto con
Nights al quarto album (anche se, ahimè, mi sono perso il primo). Se infatti A
sailor lost around the earth del 2011 era un disco che faceva dei cambi di
tempo e delle ritmiche serrate il proprio punto di forza, arrivando fino a
compiacersi troppo della propria attitudine a ‘farlo strano’, ed Aurora del
2014 apriva in maniera più decisa il sound della band ad atmosfere più
dilatate, questo nuovo disco sembra andare al di là dei canoni del math rock,
un genere che già la band affrontava alla sua maniera personale ma che mai come
oggi si arricchisce di nuove sfumature.
Nelle dinamiche sonore di Nights
ha sicuramente pesato l’uscita dalla band del bassista Alan in luogo di
Francesco Giovannetti alla chitarra baritona, un avvicendamento che, come
spiegano approfonditamente nell’intervista che trovato in fondo all’articolo,
ha dato modo a Steve, chitarra storica del gruppo, di sbizzarrirsi nel trovare
nuove soluzioni sonore. Particolarmente sul fronte dell’elettronica Nights è un
disco che osa molto di più, ed un brano come Three keys ne è l’esempio più lampante: un’atmosfera sognante ed
onirica creata solamente coi synth, senza che nessun altro strumento arrivi a
metterci lo zampino. Personalmente preferisco il modo in cui nella conclusiva Eight dawns quest’anima si amalgama con
gli strumenti ‘classici’ della band, con un David alla batteria che si limita
alle sfumature, la chitarra di Steve che abbellisce armonicamente il tutto e
Francesco che si occupa di donare alla traccia la potenza distorta laddove
serve, ma è innegabile che questa maggiore propensione ad un suono atmosferico
proietta la band verso un territorio inesplorato che li rende ancora più
particolari e difficilmente incasellabili.
Non mancano certo momenti di
potenza sonora invidiabile e già l’iniziale A
leaf ne dà dimostrazione, tanto durante gli stacchi serrati, in cui esce
tutta la bravura della band a viaggiare all’unisono, quanto nei momenti in cui
la chitarra di Steve tira fuori il primo di tanti riff che ti si stampano
subito in testa: è un sali-scendi continuo questo brano d’apertura, perfetto
nei suoi momenti più intensi per essere usata come apertura di un concerto
(segnatevi il suggerimento ragazzi!). Dove i Valerian Swing tirano veramente
fuori i muscoli però è in Four horses,
traccia che dà dimostrazione di quanto gli incroci fra le chitarre siano efficaci
nel sound della band e che riesce a sopperire a livello di frequenze alla
mancanza del basso. Una corsa continua fra riff che si ripetono e mutano, fra
rallentamenti e crescite perfette che hanno tutto il tempo di farsi apprezzare
fino alla naturale esplosione: forse il brano che più ricorda i ‘vecchi’ Valerian
Swing, e che gran sentire!
Sono brani come Two ships e Five walls a coniugare invece al meglio le due anime della band,
amalgamando ottimamente momenti di relax sintetico ed incroci strumentali più
tipicamente math, e nella seconda funziona egregiamente anche la voce ultra
riverberata di Steve che, nella quasi indecifrabilità delle parole dovuta agli
effetti, si pone al livello di uno strumento ulteriore. Six feet e Seven cliffs,
pur non disdegnando massicce intrusioni dei synth, puntano più sulla potenza e,
anche se non portano al godimento provato con la già citata Four horses, rappresentano momenti in
cui tenere ferma la testa è quasi impossibile: ne è un esempio il ritmo batteristico
danzereccio che accenna David verso l’inizio della sesta traccia, e che sembra
apparentare la band ai lussemburghesi Mutiny On The Bounty ben più di quanto
non faccia il semplice fatto che entrambi sono distribuiti sul mercato inglese
dall’etichetta Small Pond.
Verso l’infinito ed oltre: i
Valerian Swing espandono ma non rinnegano, cambiano gli elementi ma senza
perdere il loro modo caratteristico di fare musica. Aurora era probabilmente un album più compatto, che osava in territori
meno ampi, Nights è invece un salto verso qualcosa d’altro che riesce molto bene
e getta le basi per ulteriori evoluzioni. Stefano
Ficagna
Tracklist:
1. A leaf
2. Two ships
3. Three keys
4. Four horses
5. Five walls
6. Six feet
7. Seven cliffs
8. Eight dawns
Intervista ai Valerian Swing
Prima del loro live al Circolo Gagarin di Busto Arsizio incontro David, Steve e Francesco per scambiare quattro chiacchiere, fra date all'estero, novità sonore e riff persi da Kirk Hammett.
Siete appena tornati dall’ennesimo tour europeo, com’è andata e quale
accoglienza avete trovato?
E’ andato molto bene, sia dal
punto di vista quantitativo che dell’attenzione rispetto alla nostra musica.
Possiamo dire che, dopo aver già solcato altre volte palchi al di fuori
dell’Italia, stiamo raccogliendo quanto seminato in precedenza, ed è la cosa
che ci dà più soddisfazione.
Con Nights mi sembra che abbiate fatto vostro il motto ‘squadra che
vince non si cambia’ dal punto di vista della produzione e della distribuzione.
Questa volta volevamo far uscire
il disco il prima possibile per poter tornare subito a suonare, rispetto a
quanto fatto con gli altri dischi per cui serviva del tempo anche solo per
cercare un’etichetta. Siamo entrati in studio a febbraio, registrando le
batterie in uno studio a Gattaco, vicino Reggio Emilia, e chitarre, voci e
synth a Bologna, sempre col nostro fonico storico Raffaele Marchetti, poi Matt Bayles lo ha mixato come per i
precedenti due lavori nel suo studio a Seattle in soli tre giorni. Con Small
Pond Records in Inghilterra ci eravamo trovati benissimo col disco vecchio,
loro sono cresciuti molto in questo periodo e ci è sembrato naturale continuare
la collaborazione, così come con Luca di To Lose La Track che conosciamo ormai
da anni.
E’ cambiato qualcosa all’interno della formazione invece rispetto agli
ultimi anni, vista la fuoriuscita di Alan dalla band e l’entrata di Francesco
(già nei Rifkin Kazan) alla chitarra baritona. E’ un cambio che mi sembra sia
stato assorbito in fretta vista la velocità con cui avete registrato Nights.
Alcuni brani ce li portavamo
dietro da un anno, ma è stato da settembre a dicembre che ci siamo chiusi in
sala per dare una forma definitiva al disco. Anche il cambio di strumentazione,
dal basso alla seconda chitarra, ci ha aperto un ventaglio di nuove possibilità
lasciando spazio a Steve di sperimentare molto con l’elettronica.
Che ruolo ha avuto Francesco nella stesura dei pezzi?
Lui è arrivato quando era ancora
in corso il tour di Aurora, ma nel momento in cui si è parlato di scrivere
pezzi nuovi c’era già l’idea di esplorare nuovi territori a livello di suoni,
con meno stacchi serrati ed atmosfere più dilatate. E’ stato per tutti
piuttosto naturale seguire quest’onda sonora, ed il suo contributo specifico lo
si può notare soprattutto nell’aggiunta di alcune parti di synth o nella
ricerca di melodie un po’ diverse dal solito, pur cercando di mantenere
l’impronta caratteristica della band. Il disco è fondamentalmente il risultato
di un flusso di coscienza collettivo in cui è difficile dire chi abbia messo
più di qualcun altro, nessuno arriva portando un pezzo completo ma solo idee e
riff che poi vengono amalgamati in sala prove. L’importante quando si suona
assieme è avere stima del gusto musicale delle altre persone coinvolte nel
progetto, perché questo fa in modo che la maggior parte delle idee trovano
l’approvazione generale e rimane solo da smussare gli angoli per capire come
farle funzionare al meglio all’interno di un pezzo. L’ultimo brano del disco è
un’improvvisazione nata in sala prove e fortunatamente registrata col
cellulare, abbiamo cercato di ricrearla in sala di registrazione, riuscendoci
solo in parte, ma dà l’idea di quello che è l’alchimia che si è creata fra di
noi: avessimo perso il cellulare come Kirk Hammett probabilmente l’album
sarebbe stato di soli sette brani!
Anche per questo disco avete deciso per una distribuzione in free
download, come mai?
Siamo convinti che se qualcuno
vuole comprarti una copia fisica del disco lo farà indipendentemente dal pagare
o meno per ascoltarlo in digitale. Con l’esplosione dei servizi di streaming
come Spotify od iTunes è anche anacronistico mettere i brani in digitale a
pagamento, senza contare che un download gratuito permette di arrivare a
persone che lo ascoltano anche solo per curiosità: su Bandcamp comunque la
formula è del ‘Pay as you want’, qualcuno che ci sovvenziona comunque
nonostante abbia la possibilità di non farlo e sono soldi che arrivano
direttamente a noi senza passare dalle percentuali di guadagno ridicole che
hanno i servizi di streaming già menzionati.
I brani hanno dei titoli che seguono la numerazione progressiva
all’interno del disco (‘A leaf’, ‘Two ships’ e così via): c’è un motivo
particolare dietro a questa scelta?
Ci siamo trovati una sera a casa
di Steve, col disco ormai pronto e solo da mandare in stampa, ed abbiamo
cominciato a ragionare sulla copertina e sul concept con cui legare i vari
brani. Abbiamo pensato ad un titolo che ci piacesse e dal quale trarre un
immaginario che fosse evocativo delle nostre sensazioni mentre lo scrivevamo: complice
la zona in cui abitiamo, caratterizzata da nebbia e grandi spazi aperti di
campagna, in cui è facile ritrovarsi a passare intere nottate a suonare in sala
prove, ed il sound più notturno e ‘fumoso’ che è scaturito dalle registrazioni,
Nights ci è sembrato un titolo assolutamente adatto. I titoli sono poi stati
scelti come fossero degli elementi del quadro generale, per cui non possiamo
dire che ci sia una vera e propria idea specifica dietro al nome dei singoli
brani, che sono piuttosto una serie di immagini evocative di quello che era il
concept generale. Anche la copertina, realizzata da Luca Zamoc, si lega perfettamente
a tutto questo discorso,con l’idra e la costellazione a farle da contorno: un
disegno minimale ma che rappresenta bene la nostra idea iniziale.
La scena della vostra zona continua ad essere molto florida ed unita,
un esempio concreto di come il supporto reciproco fra le band possa essere un modo
per emergere al di là delle differenze di genere musicale. Ci potete dire
qualcosa al riguardo?
Fra Reggio Emilia, Correggio e
Modena ci sono veramente tanti gruppi, e di tutti i generi. Forse non c’è un
filo conduttore sonoro che lega tutte queste band ma l’interesse per la musica
dal vivo è alto, ora sembra ci siano meno ragazzi che suonano rispetto a quando
abbiamo iniziato noi ma il panorama rimane comunque interessante. Il nostro
fonico con la sua associazione ha organizzato per cinque anni un festival al
Lato B, la storica sala prove di Finale Emilia, iniziato con lo scopo di
trovare fondi per ristrutturarla dopo il terremoto che ha colpito la nostra
zona ed andato avanti sempre con scopi benefici, diventando nel frattempo un
evento sempre più grande: tutte le band che suonavano in quelle occasioni lo
facevano con lo stesso spirito dell’organizzazione e questo dà meglio di molti
altri esempi la prova di una forte compatibilità a livello umano.
Cosa bolle in pentola per il futuro? L’estate sarà prolifica a livello
di live?
Quest’estate ci concentreremo
sull’Italia, ci sono già alcune date fissate fra giugno e luglio che
annunceremo a breve. A fine ottobre torneremo di nuovo in Europa per un paio di
settimane, toccando Inghilterra, Germania e Danimarca fra le altre, ed in
seguito ci sono progetti asiatici che speriamo si concretizzino…incrociamo le
dita!
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