“Originali, bizzarri e caotici:
sono curioso di vedere dove arriveranno col prossimo capitolo della loro storia
musicale.” Così scrivevo ormai cinque anni fa parlando di Sadicapra, secondo
album (o primo ufficiale, visto che dell’esordio omonimo si son perse le
tracce) de Le capre a sonagli. E cazzo quanto sono contento di averne visto l’evoluzione,
passata per il discontinuo ma magnetico Il fauno ed arrivata, oggi, a questo
Cannibale. Un percorso che li ha portati sempre più velocemente a farsi
apprezzare nei live club di tutta Italia, ed in maniera meritatissima: la band
bergamasca regala infatti una delle migliori performance che si possano godere
su un palco, tanto che mi vergogno di aver parlato male di una Dove you go? che
dal vivo, complice il bassista che si lancia a pogare fra la gente, è
semplicemente sensazionale. Cannibale cattura questa energia, la fa sua e
risulta, da qualunque lato lo si voglia guardare, l’episodio migliore della
loro discografia.
Il fauno era un ottimo album, ma
discontinuo. Che la cosa fosse voluta era evidente, ed una delle fascinazioni
principali della band è dovuta proprio a questa attitudine a far quello che gli
pare fregandosene se tutto si amalgama, ma Cannibale riesce in maniera naturale
a portare a compimento anche un lavoro di coesione sonora mai così efficace.
Non che manchino momenti in cui il carrozzone sbandi verso altri territori, sia
in brani interi (Ride il pagliaccio è
di una solarità quasi straniante, poco amalgamate col resto ma dotata di un
piano che le aggiunge un po’ di fascino) che in momenti particolari (quando la
folle corsa di Rito azteco si smorza
in atmosfere da cantanti confidenziali anni 60, con tanto di gorgheggi in
sottofondo, si rimane basiti per quel poco che basta ad accorgersi di quanto
sembri naturale il passaggio), ma perlopiù il nuovo album della band bergamasca
viaggia spedito su binari in cui l’ecletticità è riservata più alla struttura
dei brani che ai suoni. Stefano alla chitarra acustica, Matteo al basso, Enrico
alla batteria e Andrea alla chitarra elettrica hanno ormai trovato una coesione
invidiabile, in cui la sezione ritmica trascina spesso gli altri strumenti con
fantasia (soprattutto batteristica) encomiabile e la chitarra elettrica si
premura di aggiungere colore con suoni usciti da chissaddove: quando alla calma
pianistica della conclusiva Nerone si
aggiunge lo straniante lamento della sei corde sembra quasi di sentire un
animale ferito che barrisce…e cazzo quanto è efficace!
La forma canzone a Le capre a
sonagli non è (quasi) mai interessata, e Cannibale non fa eccezione. Parlare di
strofe e ritornelli è quasi impossibile, soprattutto prendendo casi limite come
Icaro, dove un riff di basso asincrono
e magniloquente si porta sulle spalle tutta la band per poi stopparsi a
sorpresa in un paio di punti, dove Stefano e la sua chitarra tratteggiano brevi
momenti di quiete nel caos assoluto. Dove la band dà il meglio di sé però è in
pezzi come Cannibale in mare e Treno per il Tibet, corse forsennate in
cui gli strumenti si mischiano in un pastone che lascia spazio ad ognuno di
loro ma allo stesso tempo li trasforma in una creatura sonora dalla forza
dirompente. Non meritano meno Gallo da
combattimento, percussivamente marziale e graziata da una chitarra
surfeggiante che non dà tregua (e c’è pure il flauto!), l’iniziale L’arca
di Hitchcock, sensazionale nel suo incastro fra gli strumenti e nel tiro
generale, e Rito azteco, perpetuante
senza annoiare lo stesso riff fino a quando non parte improvvisamente verso gli
anni 60 come già evidenziato sopra. Un discorso a parte merita La iella, brano dalla difficile
collocazione che unisce ad una sezione ritmica ubriacante un’atmosfera solare
che lascia un po’ perplessi: il riff chitarristico finale basta però da solo a
togliere qualunque dubbio sull’efficacia del pezzo.
Un discorso a parte lo merita
anche la voce, da sempre croce e delizia della band. Soffocato dagli strumenti,
spesso sghembo ed indecifrabile, il cantato di Stefano Gipponi fa comunque l’ennesimo
passo avanti dai tempi di Sadicapra e si configura quasi come uno strumento in
più…anche se è un peccato non riuscire a godere appieno delle scarne ed
inquietanti raffigurazioni create dalla sua mente.
Cannibale è il miglior lavoro de Le
capre a sonagli, ed a questo risultato avrà sicuramente giovato anche la
produzione di Tommaso Colliva: ciò non toglie però alcun merito ad una band che
negli anni ha saputo stupirmi sempre di più, e che dal vivo fa semplicemente innamorare
della musica tutta. Stefano Ficagna
Tracklist:
1. L'arca di Hitchcock
2. Cannibale in mare
3. Gallo da combattimento
4. Treno per il Tibet
5. La iella
6. Icaro
7. Ride il pagliaccio
8. Rito azteco
9. Nerone
Ciao! Bella recensione! Ti segnalo un refuso: la chitarra elettrica è di Giuseppe Falco! ��
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