16 maggio 2017

Le capre a sonagli mangiano tutti: ecco Cannibale

“Originali, bizzarri e caotici: sono curioso di vedere dove arriveranno col prossimo capitolo della loro storia musicale.” Così scrivevo ormai cinque anni fa parlando di Sadicapra, secondo album (o primo ufficiale, visto che dell’esordio omonimo si son perse le tracce) de Le capre a sonagli. E cazzo quanto sono contento di averne visto l’evoluzione, passata per il discontinuo ma magnetico Il fauno ed arrivata, oggi, a questo Cannibale. Un percorso che li ha portati sempre più velocemente a farsi apprezzare nei live club di tutta Italia, ed in maniera meritatissima: la band bergamasca regala infatti una delle migliori performance che si possano godere su un palco, tanto che mi vergogno di aver parlato male di una Dove you go? che dal vivo, complice il bassista che si lancia a pogare fra la gente, è semplicemente sensazionale. Cannibale cattura questa energia, la fa sua e risulta, da qualunque lato lo si voglia guardare, l’episodio migliore della loro discografia.
Il fauno era un ottimo album, ma discontinuo. Che la cosa fosse voluta era evidente, ed una delle fascinazioni principali della band è dovuta proprio a questa attitudine a far quello che gli pare fregandosene se tutto si amalgama, ma Cannibale riesce in maniera naturale a portare a compimento anche un lavoro di coesione sonora mai così efficace. Non che manchino momenti in cui il carrozzone sbandi verso altri territori, sia in brani interi (Ride il pagliaccio è di una solarità quasi straniante, poco amalgamate col resto ma dotata di un piano che le aggiunge un po’ di fascino) che in momenti particolari (quando la folle corsa di Rito azteco si smorza in atmosfere da cantanti confidenziali anni 60, con tanto di gorgheggi in sottofondo, si rimane basiti per quel poco che basta ad accorgersi di quanto sembri naturale il passaggio), ma perlopiù il nuovo album della band bergamasca viaggia spedito su binari in cui l’ecletticità è riservata più alla struttura dei brani che ai suoni. Stefano alla chitarra acustica, Matteo al basso, Enrico alla batteria e Andrea alla chitarra elettrica hanno ormai trovato una coesione invidiabile, in cui la sezione ritmica trascina spesso gli altri strumenti con fantasia (soprattutto batteristica) encomiabile e la chitarra elettrica si premura di aggiungere colore con suoni usciti da chissaddove: quando alla calma pianistica della conclusiva Nerone si aggiunge lo straniante lamento della sei corde sembra quasi di sentire un animale ferito che barrisce…e cazzo quanto è efficace!
La forma canzone a Le capre a sonagli non è (quasi) mai interessata, e Cannibale non fa eccezione. Parlare di strofe e ritornelli è quasi impossibile, soprattutto prendendo casi limite come Icaro, dove un riff di basso asincrono e magniloquente si porta sulle spalle tutta la band per poi stopparsi a sorpresa in un paio di punti, dove Stefano e la sua chitarra tratteggiano brevi momenti di quiete nel caos assoluto. Dove la band dà il meglio di sé però è in pezzi come Cannibale in mare e Treno per il Tibet, corse forsennate in cui gli strumenti si mischiano in un pastone che lascia spazio ad ognuno di loro ma allo stesso tempo li trasforma in una creatura sonora dalla forza dirompente. Non meritano meno Gallo da combattimento, percussivamente marziale e graziata da una chitarra surfeggiante che non dà tregua (e c’è pure il flauto!),  l’iniziale L’arca di Hitchcock, sensazionale nel suo incastro fra gli strumenti e nel tiro generale, e Rito azteco, perpetuante senza annoiare lo stesso riff fino a quando non parte improvvisamente verso gli anni 60 come già evidenziato sopra. Un discorso a parte merita La iella, brano dalla difficile collocazione che unisce ad una sezione ritmica ubriacante un’atmosfera solare che lascia un po’ perplessi: il riff chitarristico finale basta però da solo a togliere qualunque dubbio sull’efficacia del pezzo.
Un discorso a parte lo merita anche la voce, da sempre croce e delizia della band. Soffocato dagli strumenti, spesso sghembo ed indecifrabile, il cantato di Stefano Gipponi fa comunque l’ennesimo passo avanti dai tempi di Sadicapra e si configura quasi come uno strumento in più…anche se è un peccato non riuscire a godere appieno delle scarne ed inquietanti raffigurazioni create dalla sua mente.

Cannibale è il miglior lavoro de Le capre a sonagli, ed a questo risultato avrà sicuramente giovato anche la produzione di Tommaso Colliva: ciò non toglie però alcun merito ad una band che negli anni ha saputo stupirmi sempre di più, e che dal vivo fa semplicemente innamorare della musica tutta. Stefano Ficagna

Tracklist:

1. L'arca di Hitchcock
2. Cannibale in mare
3. Gallo da combattimento
4. Treno per il Tibet
5. La iella
6. Icaro
7. Ride il pagliaccio
8. Rito azteco
9. Nerone

1 commento:

  1. Ciao! Bella recensione! Ti segnalo un refuso: la chitarra elettrica è di Giuseppe Falco! ��

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