17 ottobre 2013

MGMT: il disco omonimo delude aspettative elevatissime

Il primo interrogativo da affrontare accingendosi a recensire il nuovo album degli MGMT (intitolato, in modo molto originale, MGMT) è il seguente: a chi può interessare questo album? E l'interrogativo è direttamente collegato ad un'altra questione: a chi possono interessare gli MGMT oggi? Sicuramente non agli annoiati radical chic che nel 2007 acclamavano Oracular spectacular: per prima cosa, al giorno d'oggi la band originaria del Connecticut fa una musica completamente diversa dagli esordi, e poi nel frattempo è anche passata di moda così come lo era diventata, anche a causa di scelte artistiche abbastanza bizzarre.
Ci troviamo davanti ad un disco supportato da una fase di registrazione a budget praticamente illimitato: le idee non ci sono, i mezzi tecnici sì. Il tutto si risolve, quindi, in una carrellata di artifici tecnici per far sembrare valido qualcosa che di valido non offre molto. Una prima dimostrazione di carenza di contenuti è The optimizer, che non è una canzone ma un artificio tecnico che gli MGMT hanno applicato all'album: una sorta di aggiunta al CD, grazie alla quale è possibile abbinare le canzoni ad una serie di filmati in computer grafica, per contestualizzare meglio i brani e far rendere al meglio la componente psichedelica. Sì, perché agli MGMT di oggi è rimasta solo la psichedelia. Si parte con la tetra voce da bambino che apre Alien days, brano il cui testo funge da introduzione ad un mondo psichedelico i cui contorni rimarranno sbiaditi anche nei brani successivi. I suoni sono a volte futuristici, ma il più delle volte confusi, a causa di un'iperproduzione che soffoca tutto ciò che vorrebbe valorizzare. Le atmosfere tra il tetro e il futuristico proseguono in Cool song no. 2, per la quale è stato realizzato anche un complesso videoclip. Di questo brano colpisce il testo, che parla del timore dell'ignoto, e di come sia poco saggio l'atteggiamento di chi cerca di sviscerare tutto e trovare le risposte. Una sorta di manifesto del pensiero degli MGMT: esplorare gli stati di coscienza alterati ma conservando il rispetto per la profondità degli abissi in cui ci si può immergere. Sarà anche per questo che i brani dell'album proseguono in modo non particolarmente limpido: forse vanno vissuti così, e non tutti possono capire. L'ascoltatore potrebbe chiedersi se ci sono ancora quelle brevi ma geniali sequenze di tasti premuti quasi a caso sul sintetizzatore, che caratterizzavano canzoni come Electric feel o Kids. E la risposta è no. Qualcun altro potrebbe chiedersi se quindi gli MGMT hanno perseguito quel misto tra psichedelia e rock progressivo che aveva caratterizzato Congratulations. Ma anche in questo caso la risposta è no. Le contaminazioni musicali, sempre rivolte verso alcune semisconosciute realtà di progressive psichedelico ben lontane dai colossi del prog britannico o italiano, non sono cambiate: passano semplicemente in secondo piano. C'è infatti una cover, Introspection, di un oscurissimo artista lisergico degli anni '60 chiamato Faine Jade. Ed è uno dei brani più interessanti dell'album. Per il resto la struttura dei brani non conta più di tanto, perché tutto è sepolto da fitti strati di suoni artificiali. Si salva I love you too, death, in cui c'è un crescendo degno dei vecchi tempi, con un testo che parla di un progressivo e artificiale distacco dal mondo e dalle sue incongruenze, fino a giungere ad una sorta di pace e di saggezza molto vicina alla morte. Gli stati di coscienza alterati sono una costante, così come la necessità di distaccarsi da una vita, quella vera, che è altrettanto artificiale, come nel robotico e martellante singolo Your life is a lie, con il quale gli MGMT hanno spiazzato proprio tutti, e forse non proprio in maniera positiva. Dopo aver ascoltato questo album, ciò che rimane è una bella confusione in testa, oltre che un nuovo interrogativo: a chi può davvero piacere un album del genere? E' brutto dirlo, ma è come se questo album servisse solo ad onorare il milionario contratto con la Columbia. Quella della psichedelia sembra proprio una scusa grazie alla quale la band si sente legittimata a fare ciò che vuole, incurante dell'ascoltatore. Ma forse il parere di chi scrive è quello di chi nutriva troppe aspettative per un album che mancava da tempo, e forse nel frattempo gli MGMT sono rimasti inglobati in un gioco più grande di loro, dal quale cercano di fuggire facendo finta che il mondo reale non esista. D'altronde sono una delle poche realtà musicali che al giorno d'oggi vengono ancora pagate a peso d'oro per comporre dischi a scadenze più o meno regolari. Peccato: davano l'idea di avere un grande potenziale. Marco Maresca

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