“Mylo Xyloto? C’è qualcosa di fresco in quel titolo, che non ha nessun significato recondito. Siamo una band con parecchia storia alle spalle e penso che sia bello aver pensato a un nome che invece non ha nessuna storia. Abbiamo avuto quel titolo scritto su una lavagna per circa due anni. Altri erano più significativi, ma a noi piaceva questo, è tutto ciò che possiamo dire per difenderlo”. Queste le parole del leader del Coldplay, Chris Martin, rilasciate al tabloid inglese ‘The Sun’, che così spiega la scelta del titolo del quinto album in studio della band londinese.
Mylo Xyloto succede a Viva la vida, del 2008, rinnovando ancora la collaborazione con Brian Eno: un aspetto che li riconduce sempre più agli U2, di cui si sentono echi ricorrenti in tutti i dischi da A Rush of Blood ad oggi. Un synth apre la title-track (idea tratta da Where the streets no name? Chissà), poi via con lo speed-pop di Hurts like Heaven. Subito dopo ecco il singolo Paradise, uno dei brani più intensi del disco: apre un’orchestra epica che intona una melodia celtica, poi ecco la voce baritonale di Martin accompagnante piano e batteria ("Quando era solo una ragazza / si aspettava che il mondo / ma volò via dalla sua portata / e corse nel suo sonno / sognando il paradiso”) che precede il ritornello corale perfetto per le elegia da stadio. La naturale evoluzione di The Scientist, a livello globale.
Charlie Brown è un brano con un testo tanto beffardo (“Tutti i ragazzi / tutte le ragazze / tutto ciò che conta nel mondo / Tutti i ragazzi, tutte le ragazze / Tutta la follia che si manifesta / Tutti gli alti, tutti i bassi / Come la stanza gira, oh / Correremo selvaggi / Noi cresceremo nel buio”) che però ben si sposa al rock epico sincopato in cui la chitarra delay di Buckland (sempre più The Edge) fa da padrone in un fitto accompagnamento strumentistico (batteria, basso, piano e glockenspiel). I momenti di respiro Us against the world e U.F.O. fanno da cornice all’altro singolo Every tear is a waterfall (in cui la melodia celtica del ritornello aumenta il pathos di un’altra canzone fatta per essere intonata dalle masse) e a Major minus (il brano più aggressivo dell’album, in cui si sentono addirittura richiami al grunge e al funk).
Glissiamo su Princess of China, commercialata che fa perdere punti a un Mylo Xyloto fin lì impeccabile: il duetto con Rihanna si sposa con un testo tanto favolistico quanto banalotto. Una canzone perfetta per diventare un tormentone. Il blues di Up in flames è il preludio all’ennesimo spunto epico-romantico dell’album: Don’t let it break your heart è il manifesto di quello che i Coldpay sono oggi, sia nella musica (piano, chitarra e synth che giocano di intensità), sia nel testo (“Quando sei stanca di puntare le tue frecce/ ancora non hai mai colpito nel segno / e anche se i tuoi obiettivi sono ombre / ancora non se ne stanno andando via / andiamo, baby / Non lasciare che ti spezzi il tuo cuore”). Chiude Up with the birds, dove piano, synth e mellotron aprono alla marcia con cui Martin & co. salutano tutti con un sorriso (“Un semplice piano, ma so che un giorno / le cose belle ci verranno incontro”).Mylo Xyloto è un album ben riuscito, in cui i Coldplay hanno raggiunto la piena consapevolezza di essere una band di primo livello. Questa consapevolezza comporta due rischi: la sperimentazione, che troviamo negli intro di synth tra un pezzo e l’altro, è indubbiamente apprezzabile; meno il voler insistere allo sfinimento sulla via melodica e commerciale che li ha portati a vendere oltre 50 milioni di copie con i loro dischi (Princess of China e Every tear is a waterfall ne sono l’esempio). Non sappiamo se Mylo Xyloto è il Joshua Tree dei Coldplay, ma di certo è un segno di grande maturità acquisita nel tempo. Marco Pagliari
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