Attendevo questa serata come l’evento musicale dell’anno. Siamo arrivati al Magnolia alle 20:30 e abbiamo imprecato contro il solito parcheggiatore dell’Idroscalo che voleva i suoi cinque euro, ma questa è la norma, Milano a volte cerca di abbatterti. Entrati nel locale siamo andati verso l’area in cui si mangia, alla ricerca di un panino o di una pizza. Gli Octopus stavano già suonando, anzi, avevano già quasi finito. Il basso funky di Marco Castellani detto Garrincha, ex bassista delle Vibrazioni, era protagonista assoluto della scena. Anche il batterista e il cantante non erano male. Sebbene la struttura di alcuni loro pezzi rispecchi in modo davvero palese quella di alcune vecchie canzoni delle Vibrazioni (mentre li ascoltavamo ci è venuto naturale canticchiare qualche strofa di “Sai”, “Sensazioni”, ed altri brani dei primi due album), Garrincha si diverte molto di più ora. Può dare sfogo a tutta la sua tecnica senza la necessità di doverla racchiudere in una canzone pop, e gli altri del gruppo lo supportano alla grande, facendo da allegro sottofondo musicale agli spettatori intenti a cenare.
La coda per cibarsi è immensa. Ci viene in mente che il paninaro fuori dal locale sembrava abbastanza accessibile, e ci fiondiamo lì, anche perché dobbiamo aspettare altri amici. I Ministri sulla loro pagina Facebook l’avevano detto di arrivare puntuali, che per le 21 avrebbero iniziato a suonare. Non ci credevamo: lo scrivono sempre, e difficilmente iniziano prima di mezzanotte o l’una. Mentre gustiamo un ottimo panino con la salamella e ne chiediamo addirittura un bis, sentiamo i primi colpi di batteria che ci fanno capire che il gruppo è salito sul palco e sta aprendo il concerto con “Il sole (E’ importante che non ci sia)”. Pazienza: dall’inizio del 2011 questa è la settima volta che posso ammirare dal vivo il loro sapiente mix di potenza grezza post-grunge e melodia da cantautorato italiano. Posso anche perdermi l’inizio del concerto. Bevo la mia birra e aiuto una ragazza a finire la sua scolandone metà, dopodiché ci dirigiamo verso il palco centrale, il cui parterre è ormai pieno di gente. Non credo di essere mai stato così in fondo ad un concerto dei Ministri. Il gruppo suona tre canzoni del primo album in versione più intensa del solito, complice il fatto che il concerto durerà meno di un’ora (ma noi ancora non lo sappiamo) e quindi non c’è l’esigenza di risparmiare energie. Il chitarrista Dragogna sul palco si muove più del solito e sulla bellissima cornice multimediale del palcoscenico si vedono in alta definizione tutte le gocce del suo sudore. Seguono i pezzi forti del gruppo milanese: “La piazza”, “Tempi bui”, “Noi fuori”. Divi, il cantante, fa gli auguri a Dragogna per il compleanno, ma sono loro a fare a noi un regalo: “Vicenza (La voglio anch’io una base A…)”, a sorpresa, senza che il pubblico la richiedesse urlando come è usanza nei loro concerti. A metà della canzone i Ministri si interrompono. In quel momento noi fan di vecchia data sappiamo che è tradizione del cantante e del chitarrista rivisitare in una sorta di ironico “coro delle voci bianche” qualche grande classico musicale. Negli ultimi concerti, il loro brano da destrutturare era “Somebody to love” dei Queen. Stavolta hanno spiazzato tutti con un esilarante duetto sulle note del mega classico sanremese “Non amarmi” di Aleandro Baldi e Francesca Alotta. Finito il momento demenziale, il gruppo riattacca col finale di “Vicenza”, a cui segue “Diritto al tetto”. Divi appare in perfetta forma vocale e rispetto alle altre volte non si risparmia nello scream. Evidentemente dà il massimo quando il concerto dura meno di un’ora. Conclusione con “Abituarsi alla fine”, tuffo finale sul pubblico (Divi lo fa sempre), strumenti a terra colpiti dalle loro mitiche giacche napoleoniche usate come frusta, e Divi che salta furioso con i piedi sul suo basso.
Prendo un’altra birra, e mi preparo per i Mogwai. Li ho già visti qualche mese fa all’Alcatraz. Sono unici, come musiche e come atmosfera. Quando iniziano a suonare, il parterre è completamente pieno di gente. Alla terza canzone il pubblico ondeggia in preda ad una trance collettiva. Nel frattempo prendo un Cuba libre e sento intorno a me odore di sostanze psicotrope ma c’è gente che non ha bevuto o fumato niente ed ondeggia lo stesso. Le scenografie di paesaggi scozzesi che vengono proiettate di sottofondo alle loro canzoni trascinano via le menti. I pensieri della vita quotidiana si allontanano, esiste solo la loro musica, le melodie ipnotiche di tastiera, la voce filtrata, il groove di batteria ripetitivo, il basso pastoso e trascinante, ma soprattutto le loro chitarre distorte dal suono pieno e completo, che riempie così tanto da non far pensare ad altro. Un sapiente mix di Fender, amplificatori Marshall ed effetti vari. Un muro di suono che si inserisce perfettamente nelle loro strutture precisissime e sognanti.
Mi ci vuole una decina di minuti buoni per riprendermi dal concerto. Nel frattempo la gente si disperde per le varie aree del locale. Fiumi di persone che si gettano qua e là mentre i vari DJ prendono posto e il volume sonoro aumenta. Se si è in compagnia di alcuni amici come nel mio caso, e non si vuole perdere il passaggio verso casa, è consigliabile non distrarsi nemmeno un secondo, altrimenti il fiume umano trascina via tutti e ci si ritrova da soli con l’impossibilità di far sentire la propria voce al telefono. Dopo alcuni giri del locale, riassemblata la comitiva, siamo andati a ballare sul parterre del palco centrale. C’era elettronica pesante, al limite della techno, con un DJ che che in alcuni momenti cercava di accattivarsi le simpatie dei fruitori “normali” rivisitando alcuni pezzi house abbastanza conosciuti, che venivano riproposti in maniera velocizzata e con suoni più violenti. Anche nella scelta musicale il Magnolia si distingue come al solito.
Concludo il mio report con un commento finale. Divi, il cantante dei Ministri, ringraziando il pubblico, ha detto in tono più o meno agrodolce: “Questa città diventa sempre più bella ogni giorno che passa”. Ho riflettuto un po’ su quella frase. E’ ovvio che Milano è in declino, e l’Italia pure, però il Magnolia ha organizzato ottimamente un evento complesso. 20 euro per due gruppi famosi a livello nazionale e uno di livello internazionale. Un palco principale ed uno secondario entrambi con dancefloor, una terza dancefloor con tendone, un ristorante con area ristoro, un’area riposo e mercatini vari, decine di bagni chimici, ed un locale che in pochi giorni ha subito un restyling totale per ospitare l’evento. Un’Associazione che lo Stato dovrebbe sostenere invece di cercare di abbattere. Una delle poche voci fuori dal coro in un Italia che non riesce più ad organizzare eventi musicali come questo. Marco Maresca
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