5 luglio 2011

Premio "Provincia cronica" (III edizione - sezione poesia)
Tullio Mariani – Lo scarparo

Umido e gelo di mattine buie
il freddo tormentato nelle ossa
nervi e stanchezza del viaggio notturno
e il sonno perso che pulsava atroce
nelle tempie e negli occhi. A volte un sorso
dal termos di caffè già quasi freddo
falso conforto e strumento crudele
dell'obbligo di vivere. Sedevi
sui tuoi pacchi di faticata merce
tra le altre figure imbacuccate
e bisbiglianti. Guai a chi disturbava
i cittadini di Bologna grassa,
di Forlì, di Perugia dal tepore
del sonno quieto. C'erano le guardie
incarognite dal rancore sordo
contro la vita e contro tutti. Allora
erano multe o licenze sospese
o ritirate, ed era la rovina.

Arrivavano all'alba i bottegai
Dopobarba e sorriso tutto denti
a tirare sul prezzo, a rosicchiare
il già magro guadagno, a disprezzare
il tuo lavoro. Sempre, a mezza voce,
trovavano un difetto: era la pelle,
eran le cuciture, erano i lacci,
eran gli occhielli storti, era il colore
che non andava più. Poi soddisfatti
come rapaci, come gatti sazi
godevano la preda, ponderavano
il loro acquisto. Lo avrebbero esposto
nelle lustre vetrine a quattro volte
il prezzo che ti avrebbero pagato,
a piacer loro, forse dopo mesi
o forse mai. Comode bancarotte
arricchivano chi sapeva usarle.

Ormai era giorno. Bisognava andare.
I cittadini di Bologna grassa
di Forlì, di Perugia si svegliavano
nei letti caldi. Ancora la fatica
di riaggiustare i pacchi, di legare
ciò che t'era rimasto, di comporlo
pensando al prossimo mercato. E adesso
lo sforzo assurdo di portarli a braccia
fino al treno, caricarli, sistemarli,
che non dessero all'occhio. Ora potevi
sonnecchiare a momenti sul sedile
di legno duro, sempre vigilando
che tutto fosse lì. Se avevi forza
masticavi un panino e sorseggiavi
quel che restava del caffè. Sapevi
che all'arrivo ancor prima di cenare
ti aspettava il lavoro, altro lavoro,
altra fatica senza un'illusione.
Il futuro era di altri giorni uguali
vissuti a forza ed ingoiando amaro.

Era questa la vita di mio padre.
Così mi ha dato il pane, mi ha vestito
e ha pagato i miei studi. Così ho avuto
quel che lui non poteva mai sperare
ma voleva per me. Così mi ha dato
una vita di mani senza calli,
la costosa cultura ed il tranquillo
rilassato dormire, le certezze
abituali per noi, per noi scontate.

Non lo erano per lui, non lo era nulla,
neanche il mio affetto. Una famiglia ottusa
e ingrata mi educava a disprezzare
quel remissivo asino da soma
con l'esempio e coi fatti. Troppo tardi
l'ho visto coi miei occhi e ho conosciuto
la comprensione immensa, generosa,
senza ricatti, senza condizioni,
la insensata dolcezza, troppo strana
in chi doveva ogni giorno lottare
contro i suoi, contro gli altri, contro tutti.

Non ho saputo darti nulla in cambio,
padre mio. Se tu esisti in qualche luogo,
padre mio miserere, miserere!

2 commenti:

  1. bravo bravo complimenti
    giuseppe d'errico

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  2. Grazie Giuseppe, ma in fondo non l'ho scritta io, io sono solo il povero cronista di ciò che lui era. Ciao e grazie di nuovo.

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