Premio "Provincia cronica" (III edizione - sezione racconti)
Maurizio Brescia - Sidecar
Ognuno aveva i propri sogni, la televisione stava prendendo piede e, anche se si andava ad assistere ad alcuni programmi in un bar o al cinema, si diffondevano nella mente degli spettatori nuovi bisogni, ma soprattutto la convinzione che i desideri rappresentassero delle vere necessità.
Ambrogio Schiavi era un operaio del Comune di Milano, lavorava nell’Officina Moto e oltre ad essere un esperto nel diagnosticare i guasti e nel ripararli era un vero appassionato di motociclette.
Purtroppo per molto tempo la possibilità di guidare una moto l’aveva avuta solamente durante i giri di prova all’interno del cortile che circondava i capannoni del Complesso Industriale presso il quale lavorava. Per andare e tornare dal lavoro utilizzava la bicicletta, un bel giorno venne a sapere che alcune motociclette in uso ai Vigili Urbani, sarebbero state alienate per essere sostituite con mezzi nuovi.
Andò subito a parlare col suo capo; questi era in buoni rapporti con l’Ingegnere che dirigeva il complesso, ma purtroppo anche l’Ingegnere non poteva trovare scorciatoie per rendere possibile l’acquisto di un mezzo da parte dello Schiavi. La burocrazia, purtroppo doveva seguire il suo iter. La gara d’appalto per la fornitura delle macchine nuove e il ritiro di quelle usate appariva di lunga durata.
Ambrogio quelle moto da alienare le conosceva una per una, vi aveva posto le mani molte volte e avrebbe potuto recitarne a memoria pregi e difetti. In attesa che l’iter prendesse l’abbrivio necessario, aveva già scelto il mezzo per sé. Fin dall’inizio si era dimostrata una buona moto; rispetto alle altre che risentivano dell’uso non sempre esemplare da parte dei Vigili, quella aveva patito pochissimo, era stata sottoposta alle scadenze fissate, solamente alla manutenzione ordinaria.
Il prezzo rappresentava un mistero, si sarebbe potuto sapere solamente a gara conclusa, ma era opinione comune che sarebbe stato modesto, solamente poco più di un rottame.
La fantasia galoppava, già si vedeva a cavallo del suo bolide, sfrecciare per le vie della città, ma soprattutto per le strade provinciali, affrontare salite, gareggiare con altri, fermarsi davanti al bar e ricevere i complimenti dei presenti per la pulizia e la lucentezza del mezzo.
Caricato dall’entusiasmo e dalla speranza, era già quasi riuscito a stancare i colleghi; in genere lo trovavano simpatico e di compagnia, ma da quando aveva cominciato a parlare della sua moto, riusciva, ora di sera, a diventare molesto.
L’unica persona che partecipava al suo entusiasmo era suo fratello Giuliano; anche lui lavorava nel Complesso Industriale con la qualifica di falegname. Più schivo del fratello covava a sua volta un sogno: viaggiare in sidecar.
Aveva dei problemi di vista e pur avendo la patente non se la sentiva di condurre in sicurezza una moto. L’attirava l’idea di viaggiare col vento in faccia, ma seduto comodamente e senza la responsabilità della guida. Per la paura di essere deriso dai colleghi che nelle loro prese in giro andavano giù piuttosto pesanti, conservava il suo desiderio nel cuore senza farne pubblicità.
Quando Ambrogio venne a sapere che la pratica dei nuovi acquisti era giunta a buon punto, ritenne opportuno parlarne con la moglie. Donna nata e cresciuta in campagna, dove la gente usava le proprie gambe per spostarsi, era completamente indifferente ai mezzi meccanici, l’unico mezzo di cui usufruiva, seppur saltuariamente, era il tram. In compenso era un’appassionata frequentatrice del cinema vicino a casa, in cui trasmettevano i suoi programmi preferiti. Naturalmente trasmettevano anche la réclame e stava giusto facendo un pensierino per il frigorifero. Le sarebbe piaciuto avere un televisore tutto per sé, ma i prezzi erano ancora proibitivi, la lavatrice al momento non la riteneva indispensabile.
Mentre preparava la cena, ascoltava il marito che illustrava l’opportunità di acquistare una moto, così non avrebbe più dovuto pedalare per andare al lavoro e per sbrigare commissioni, inoltre, alla domenica avrebbero potuto fare qualche gita. Lui ci mise tutto il suo entusiasmo e alla fine, convinto di averla fatta capitolare con sua capacità oratoria, ottenne solamente un: “E’ pronto!”.
A tavola, un po’ scocciato, stava giocherellando con il cibo, quando a tradimento, arrivò la staffilata: “Va bene, però prima prendiamo il frigorifero.” Ci aveva pensato anche lui e infatti il prosieguo del discorso, se avesse avuto prima qualche riscontro, dopo aver esaurito l’argomento moto, sarebbe stato di proporre l’acquisto dell’elettrodomestico. Finse tuttavia di rimanere sorpreso; purché non venisse rigettata la possibilità di soddisfare il proprio desiderio, era dispostissimo ad acquistare anche dell’altro.
Occorse ancora un mese per entrare in possesso del mezzo, ma finalmente il sogno si avverò. Il nostro uomo non stava più nella pelle dalla contentezza, rimirava il suo tesoro, montava, scendeva, provava, regolava anche se dal punto di vista meccanico c’era ben poco da fare.
La carrozzeria, oltre ad essere di un deprimente colore grigio-verde, recava molti piccoli segni, graffi e microscopiche ammaccature che necessitava eliminare.
In fondo al cortile della casa in cui abitava si trovava un magazzino con una parte non utilizzata; riuscito ad accaparrarsi quello spazio, nel tempo libero, allestì, secondo lui, la moto più bella del mondo. Rossa fiammante con i profili neri, cromature che brillavano, pedali e pomelli nuovi, non sembrava minimamente quella cosa brutta e malmessa che era stata solo poco tempo prima.
Venne il giorno della presentazione, dapprima alla moglie; la guardò appena e affermò senza indugio: ” Io su quella roba lì non ci salgo!”
Il mezzo ripristinato ottenne molto più successo con i colleghi di lavoro. Quelli del reparto moto, in quanto esperti, apprezzarono il lavoro svolto e tirarono un sospiro di sollievo: “Finalmente la smetterai di stancare le orecchie a tutti e......... complimenti per il risultato”. Apparve qualche bottiglia e con il concorso di operai degli altri reparti, l’Officina Moto si trasformò ben presto in un posto affollato di gente allegra.
Un po’ in disparte Giuliano ammirava l’opera del fratello e, mentalmente stava ideando tutti gli accorgimenti per applicare il carrozzino, che ancora non aveva, alla moto.
Ambrogio, oltre ad utilizzare il mezzo per andare a lavorare, alla domenica iniziò a fare qualche giretto. Era l’uomo più contento della terra, non stava mai via molto, gli spiaceva abbandonare la moglie anche alla domenica, d’altra parte, a spasso con la moto, era lei che non ci voleva andare.
Un pomeriggio all’uscita dal lavoro trovò ad attenderlo al cancello Giuliano che gli chiese se poteva andare con lui perché aveva necessità di parlargli. Fra i due fratelli c’era armonia, ma nessuno sapeva spiegare il motivo per cui di norma non si frequentassero fuori dal lavoro. Forse una delle cause poteva essere una certa antipatia che Giuliano avvertiva nei confronti della cognata.
Giunti a casa di Ambrogio, Giuliano spiegò il motivo della visita; si mise a raccontare della sua segreta passione per il sidecar. Dalle sue parole traspariva un fervore del quale il fratello non aveva mai sospettato e che in breve tempo contagiò anche lui, soprattutto dopo aver saputo che l’appendice sarebbe stata facilmente smontabile qualora non fosse servita.
La moglie di Ambrogio si dava da fare in cucina per preparare la cena anche per l’ospite inatteso.
Presi dall’entusiasmo decisero di interessarsi per trovare un carrozzino che si adattasse a quella moto. Ambrogio non fu del tutto sorpreso nello scoprire che il fratello era già molto avanti nella ricerca, anzi praticamente il mezzo c’era già, bastava andarlo a vedere insieme e trattare il prezzo.
Si misero d’accordo per la domenica successiva e, valutate le questioni tecniche ed economiche, l’affare fu concluso.
Venne occupata nuovamente la parte di magazzino in cui era stata sistemata la moto e il sidecar divenne degno di viaggiarle a fianco.
L’abbinamento dei due mezzi riuscì perfettamente; c’era di che essere orgogliosi, in un’epoca in cui le automobili le possedevano solamente le persone benestanti, avere una moto grossa col carrozzino, rappresentava senza dubbio un segno di distinzione.
Il popolo delle Officine Comunali, approfittò della nuova presentazione per un’altra bevuta.
Risolto il problema del parcheggio notturno con l’uso del magazzino, alla domenica, attrezzati di caschi in cuoio e occhialoni, fecero un bel giretto per impratichirsi. Specialmente Ambrogio dovette fare pratica con un comportamento completamente nuovo del mezzo. Le prime perplessità e incertezze, ora di sera furono dimenticate e guidando con scioltezza, fecero ritorno a casa.
Per la domenica successiva venne organizzata l’escursione seria. Itinerario scelto Erba-Asso-Madonna del Ghisallo-Bellagio e ritorno da Como. La strada la conoscevano bene, l’avevano percorsa decine di volte in bicicletta.
La domenica mattina di buon’ora, forniti di colazione al sacco, via.
Percorsero tutta la strada in salita, prima con cautela poi con maggiore sicurezza; la moto cantava perfettamente, al bisogno, con l’apposito manettino, una regolata all’anticipo e avanti.
Sosta e visita al Santuario, discesa con cautela a Bellagio. Un’occhiata al paesaggio e via sulla stretta e tortuosa strada per Como.
Erano felici, dalla gioia avevano perfino intonato una canzone. Prima di Lezzeno all’uscita di una galleria scavata nella roccia, una macchia d’olio sulla carreggiata, l’uso improprio del freno, non si seppe mai, il mezzo sbandò andando a fracassarsi contro la parete di roccia nella carreggiata opposta. Giuliano ancora con la canzone in gola venne sbalzato dal carrozzino, picchiò il capo contro la roccia e lì rimase. Ambrogio puntandosi sul manubrio riuscì a salvarsi per miracolo, ma quando uscì dall’ospedale, pieno di lividi, di ossa aggiustate e di rimorso, aveva del tutto perso la passione per la moto.
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